Puo’ l’aumento del prezzo del petrolio creare una recessione globale nel prossimo futuro? I parametri – per la media dei paesi sviluppati - sono i seguenti. Ogni aumento di 10 dollari al barile tende a far aumentare dello 0,50% l’inflazione e a ridurre dello 0,25% la crescita. Negli ultimi due anni, l’impatto inflazionistico aggiuntivo, in media, e’ stato di circa l’1,25%. Minore negli Stati Uniti, dove l’efficienza economica tende ad assorbire meglio l’incremento dei costi energetici. Maggiore in Europa perche’ meno efficiente e dove la svalutazione dell’euro ha aumentato l’inflazione importata. Comunque: (a) se il petrolio restera’ per tutto il 2001 sopra i 30 dollari cio’ provochera’ una tensione sui tassi che deprimera’ pesantemente la crescita sia in America sia in Europa; (b) se nei prossimi mesi il prezzo puntera’ verso un, pur temporaneo, picco di 40, a causa della tipica impennata della domanda di energia nel periodo invernale, una crisi recessiva e’ molto probabile. La Federal Reserve tende ad escludere questo caso peggiore. Ma la questione e’ controversa, perfino al suo interno. Alcuni ritengono che l’efficienza tecnologica e finanziaria sara’ in grado di assorbire tale picco senza compromettere la produttivita’, cioe’ il fattore che limita il trasferimento di maggiori costi in fase di produzione ai prezzi finali. Altri sono meno ottimisti. Oltre la soglia dei 30 dollari, infatti, si comincia a vedere un effetto diffuso inflazionistico ed un decremento della crescita di produttivita’. Soprattutto, i consumatori statunitensi si preparano ai maggiori costi energetici riducendo la spesa per altri beni. La caduta della domanda aggregata in quel mercato potrebbe essere forte ed improvvisa. Se l’America andasse in recessione, l’Europa si troverebbe in crisi perche’ la sua crescita e’ tutta trainata dalle esportazioni verso la prima. E cio’ non provocherebbe solo una limatura dell’eurocrescita per il 2001 dal 3,5% al 2,2% come ha recentemente ipotizzato il Fmi, ma - stimiamo io ed altri - una caduta maggiore. In sintesi, i governi devono affrontare l’emergenza in due tempi: tenere il prezzo del petrolio attorno ai 30 dollari nei prossimi 5 mesi; portarlo tra i 22 ed i 28 entro il 2001, quota ritenuta di sicurezza. Che mezzi hanno? Clinton - considerando l’irrilevanza europea in tale materia - ha a disposizione 571 milioni di barili in forma di riserva strategica sepolta nelle caverne del Texas e della Louisiana. Inoltre ha da parte una buona quantita’ di gasolio da riscaldamento da gettare sul mercato. E la possibilita’ di premere sull’Opec attraverso due paesi vassalli, Venezuela ed Arabia (e Mexico), infatti gia’ mobilitati. Bastera’? Probabilmente si’ per evitare la catastrofe a breve, ma non per portare i prezzi petroliferi entro la quota di sicurezza nel medio periodo. Il problema e’ che l’offerta e’ ai suoi massimi limiti tecnici di estrazione mentre la domanda, trainata dal boom globale in atto, cresce. Soluzioni? O l’Opec autolimita i prezzi oppure bisognera’ mandare il pianeta in recessione, far crollare la domanda di petrolio, rimandare in crisi i paesi produttori e rieducarli ad essere piu’ lungimiranti la prossima volta. Nel frattempo, sarebbe da incoscienti non ridurre la tassazione sui prodotti petroliferi in Europa. Ora.