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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1999-11-19Il Foglio

1999-11-19

19/11/1999

La Cina non è nel caos né fuori, ma solo sotto esame

Beijing International Club Hotel, fine ottobre. Uomini d'affari chiedono a Henry Kissinger quale sia l'atteggiamento giusto da tenere in relazione allo scenario cinese. Questi risponde con tre battute: sarà il più grande mercato del mondo; affrontiamo i suoi problemi interni man mano che si presentano; é irrazionale prendere posizioni prevenute, in un senso o nell'altro. Tale posizione pragmatica potrebbe sembrare banale se non servisse a correggere l'attuale eccesso sia di catastrofismo sia di ottimismo al riguardo della Cina. I prestigiosi Financial Times ed Economist, sono un esempio del primo atteggiamento. E viene naturale sospettare che ciò dipenda dal fatto che l'establishment londinese non abbia ancora assorbito lo schock della cessione di Hong Kong. Nel numero di settembre della rivista - americana - Foreign Affairs il direttore di ricerca del britannico IISS, forse il più blasonato centro di studi internazionali al mondo, ha fatto una tirata astiosa contro chi sovrastima la Cina e le sue prospettive. In essenza, ha scritto: che questa va trattata come una media potenza regionale e non globale, a cui bisogna tirare quattro sberle per calmarne l'espansionismo aggressivo e per forzarla ad instaurare la democrazia; che prima di diventare il più grande mercato al mondo ne passerà di tempo in quanto è un sistema opaco, poco meno che mafioso, arretrato ed instabile. L'accordo bilaterale di reciproca apertura commerciale che Clinton ha firmato lunedì scorso con Zhu Rongji non ha tenuto conto di questo punto di vista in quanto, sul piano politico, appare come una attribuzione di grande credibilità nei confronti della Cina. Ciò ha fatto infuriare ancor di più le fonti britanniche di opinione. Ed hanno amplificato le previsioni negative sulle prospettive cinesi: il sistema legale non diventerà mai una cosa seria, la crisi bancaria sarà incontenibile, le regole di trasparenza commerciale non verranno mai rispettaste nei fatti. In realtà non é vero che Washington abbia dato ai cinesi un credito incondizionato. L'interesse nazionale statunitense di medio termine é quello di forzare la Cina ad assorbire più esportazioni americane per ridurre l'enorme deficit commerciale. E l'unico modo per ottenerlo é quello di dare un incentivo a Pechino - la cooptazione - affinché apra veramente il proprio mercato interno rendendolo stabile finanziariamente ed ordinato sul piano legale. Ma é un credito condizionato. Solo che questo non si può dire. Inoltre Clinton deve superare parecchio dissenso interno per far ratificare il trattato commerciale al Congresso e quindi ha bisogno di far produrre immagini molto positive al riguardo dei cinesi. Questo, pur detto così frettolosamente, mi sembra il motivo per cui attualmente gli scenari di fonte occidentale sulla Cina risultino o troppo pessimistici o eccessivamente ottimistici. Riusciamo a capire cosa stia realmente accadendo? Certo, la Cina é semplicemente sotto esame ed ha dovuto accettare che i professori siano americani.

Prima di tutto una prova concreta di questa ipotesi. Qualche giorno fa la Microsoft ha fatto causa allo Yadu Technology Group perché usa software copiato illegalmente. Il risarcimento richiesto é minimo, circa 200mila dollari. Ma il valore simbolico é enorme. Nel 1988 il 95% del software in Cina era pirata. Se il tribunale di Pechino darà ragione agli americani, allora ciò dimostrerà che, per la prima volta dopo anni di insensibilità, il governo cinese vuole sul serio combattere la pirateria che danneggia le imprese occidentali. E in cambio guadagnerà un punto di credibilità. Il gioco funziona così. E le élite cinesi devono per forza accettarlo settore per settore. Si sono ormai troppo esposte nella riforma verso un'economia di mercato per rischiare di farsi escludere o sanzionare da quello globale. Resterebbero a metà del guado con 150 milioni di disoccupati per strada e salterebbe tutto. E un importante esame lo hanno già superato in precedenza. Il governo non copre più totalmente il debito delle imprese e banche di Stato. Queste hanno premuto disperatamente per far svalutare lo yuan, mossa che le avrebbe salvate. Ma Pechino non lo ha fatto proprio per imporre uno standard di nuova efficienza. I creditori esteri hanno urlato alla crisi bancaria. Il governo ha detto loro, giustamente, che erano stati degli idioti a dare dei soldi senza fare un minimo di analisi. Soprattutto avevano fatto l'errore di corrompere funzionari secondari senza fare lo sforzo di capire come funziona il vero sistema di potere in Cina. Tuttavia, dopo averli spaventati, ha offerto loro, pragmaticamente, un aggiustamento riservato per far smettere il canaio sulla presunta crisi finanziaria totale in Cina, amplificata da poco informati commentatori. Certo, lo scenario futuro é del tutto incerto. Ma la realtà di oggi é fatta di due dati fermi: le élite cinesi cercano disperatamente di guadagnarsi la credibilità internazionale e solo gli americani hanno la forza per sottoporli ad esame. Come ha detto Kissinger, si vedrà caso per caso.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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