Torna alla ribalta il problema di come chiudere tangentopoli. Bettino Craxi ha segnato un punto. Anni fa in Parlamento, come noto, invitò tutti i politici ad ammettere che il costume del finanziamento illecito era generalizzato. Con questo appello alla verità ha rigenerato e perpetuato il proprio potere morale pur venendo sconfitto sul piano politico e del consenso. E ciò gli permette ora di dettare condizioni. E di essere ascoltato anche da chi, come chi scrive, non lo ammira. In sintesi, la mancata chiusura di tangentopoli rende Craxi rappresentante della coscienza nazionale.
La giustizia non può chiudere il caso. Il numero dei politici coinvolti non é di poche decine, ma di centinaia di migliaia. Negli anni 80 e primi 90 circa ottocentomila persone vivevano di politica. Oggi é più meno lo stesso, togliendo quelli che stavano nei portafogli delle aziende pubbliche adesso privatizzate. Il tasso di cambiamento del personale nelle istituzioni enti ed entini é stimato attorno al 30%. Poco più del ricambio fisiologico. Fatto che dimostra la continuità della classe politica e, almeno sul piano antropologico, della Prima repubblica. I partiti non si sono rinnovati. Quelli nuovi di centrodestra hanno incorporato i vecchi dirigenti nazionali e locali della Dc e del Psi. A sinistra tutto é rimasto uguale. E' evidente che tale continuità politica, a fronte della verità denunciata e reiterata da Craxi, é fonte di grande imbarazzo corrente. La magistratura non può indagare e processare centinaia di migliaia di persone, per limiti fisici oggettivi. Se si mette in caccia di pochi crea un'ingiustizia. Perché quelli sì e gli altri no? E non é finita qui. Tangentopoli é molto più estesa. Non si trattava solo di corruzione, ma di violazione generalizzata delle regole e leggi in tutti i settori. Per esempio, l'intervento politico stimolato da imprenditori violava le regole di concorrenza. Quanti potrebbero chiedere un risarcimento per i danni subiti? Milioni. Infattibile, su questi numeri la macchina di polizia di uno Stato si inceppa. D'altra parte una nazione che non punisce l'illecito distrugge la propria struttura istituzionale. La mancata chiusura del caso, infatti, deprime la credibilità di chiunque pratichi la politica o ne sia a contatto. Certo, una soluzione sarebbe quella di chiedere a centinaia di migliaia di persone (sindacalisti, funzionari delle cooperative rosse, consiglieri comunali e di enti locali, rappresentanti di consigli di amministrazione di enti pubblici, ecc.) di lasciare i loro posti. Ma non si può fare. La situazione é in stallo? No, i politici e dintorni di tutti i partiti hanno l'interesse, a questo punto, di chiudere la questione per dimenticanza, di autoassolversi per prescrizione di fatto. Possiamo accettare questa soluzione pragmatica?
Direi di no. L'amnistia darebbe un segnale terribile. Fate tutti i reati amministrativi che volete e avrete una probabilità del 96% (stimata da un matematico) di farla franca. Cosa resta? Una riparazione di carattere sistemico da parte della classe politica nei confronti del Paese. Se uno analizza tangentopoli a fondo trova che le sue cause di fondo stanno nel sistema consociativo, cioé in un organizzazione dove i poteri istituzionali non sono separati e dove la poilitica informale prevale su quella formale e controllabile attraverso meccanismi di trasparenza. Per capirci, se avessimo avuto un presidente della repubblica o capo del governo eletto direttamente, alllora tangentopoli non ci sarebbe stata, per lo meno non così estesa. Più si separano i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e meno i partiti possono fare il bello e cattivo tempo. Questo fa venire in mente la natura del possibile contratto di riparazione tra politici e popolo in Italia. Se i primi ci danno un'Assemblea costituente che almeno tenti di rinfrescare la Costituzione e di rendere più efficienti le istituzioni, allora potremmo accettare un'amnistia. Ma solo a questa precisa condizione.