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Carlo Pelanda: 1998-8-6Il Foglio

1998-8-6

6/8/1998

Asia, troppo catastrofismo

Troppo catastrofismo al riguardo della crisi asiatica. In realtà si sta sviluppando lentamente. E sia il mercato che i governi hanno il tempo per adattarsi. Quindi é improbabile che si realizzi il "caso peggiore". Cioé una recessione planetaria innescata da una sequenza di svalutazioni combinata con crolli borsistici assoluti. Ci sarà turbolenza, certamente, e molti ci lasceranno le penne. Ma, proprio perché il mercato globale entra in una instabilità solo relativa e non totale, questa diventerà opportunità per nuove speculazioni. Infatti pare più interessante rivolgere l'attenzione a queste piuttosto che restare sui catastrofismi annunciati dai giornali in questo periodo.

Lo yen che scivola sul dollaro crea l'opportunità di fare enormi affari gettandosi su investimenti in quella valuta. Ma quando entrare? Nel momento in cui si é convinti che lo yen ha raggiunto il punto più basso e, da lì in poi, non potrà far altro che risalire. Ma qual é il punto più basso? A 150 sul dollaro scatta la reazione americana di contenimento. Si vendono dollari contro yen e questo si rialza un po' (recentemente la Fed ha bruciato quasi un miliardo di dollari per fare il giochino). Ma poi lo yen da solo non risale perché l'economia nipponica resta in crisi recessiva e di fiducia a causa dell'enorme indebitamento inesigibile del suo sistema bancario. Il governo tenta riforme, ma in realtà punta sulla svalutazione competitiva per rilanciare la crescita. E ciò deprime il rimbalzo. Ma prima o poi le misure di rilancio e stabilizzazione dell'economia giapponese qualche effetto lo sortiranno. Poi, a forza di pressioni svalutative e contoreazioni di contenimento, si arriverà ad un punto di equilibrio tra l'esigenza di competitività monetaria giapponese e quella di non esagerare. Da questo punto in poi il Giappone dovrebbe riprendere la crescita, lo yen un trend al rialzo e la borsa volare. Questo é il punto interessante da monitorare.

E la grande crisi bancaria giapponese? Non la si può risolvere con con mezzi ordinari. Il debito reale é tra i 400 e i 600 miliardi di dollari, peggio delle peggiori stime finora fatte. Un modo ci sarebbe. Portare lo yen a 180 sul dollaro. Gli istituti finanziari giapponesi con molti dollari all'estero acquisiscono quelli indebitati e, dato il rapporto di cambio, risanano una bella parte del debito denominata in yen svalutatissimo. Ma ciò implicherebbe un trasferimento improvviso di enormi quantità valutarie dal dollaro allo yen. Allora sarebbe il primo a crollare e la Fed dovrebbe alzare i tassi. Recessione in America. Quindi se gli americani vogliono evitare questa ipotesi e calmierare il cambio devono lasciare che i giapponesi facciano finta di risanare l'irrisanabile, magari chiudendo due banchette e chiedendo ai loro presidenti di suicidarsi per rassicurare l'opinione pbblica mondiale che Tokyo fa sul serio. Conviene a tutti. Quando si metteranno d'accordo il sistema dovrebbe ripartire come detto sopra.

Ma la opportunità speculativa più succulenta é a Wall Street. Da una parte il mercato interno americano tira e sostiene la pressione del capitale che vuole gonfiare le azioni. Dall'altra proprio la crisi asiatica riduce i profitti di parecchie aziende quotate. Il mercato é polarizzato tra pessimisti ed ottimisti, in bilico. Questo significa che si può giocare all'altalena. Spingo - chi ha la scala per orientare il mercato- al ribasso per acquistare più azioni che i pessimisti presi dal panico svenderanno. Poi rialzo gli andamenti contando sul fatto che sono rimasti in gioco molti ottimisti. Affare d'oro. Qual é il punto di decisione? Due. Il trend rialzista é ancora un pelino più forte e i "market makers" ritengono di guadagnarci di più seguendolo nel verso del pelo e puntando a quota 10mila. Poi c'é il rischio che, innescando la fase ribassista si generi un tracollo borsistico vero e proprio se questa va in riverbero con una crisi asiatica che diventa veramente catastrofica. Ma appena si vedrà che questa non lo é, allora é probabile che scatti il gioco detto sopra. Possibile proprio grazie al fatto che la crisi asiatica ha la natura di una grande instabilità che mobilizza i capitali, ma non di una catastrofe recessiva globale.

Potrei sbagliare, ovviamente. Ma ho sentito nelle ultime settimane, in ambienti ovattatati, troppi inusuali brindisi vocalizzati con un sonoro: "grazie Asia".

(c) 1998 Carlo Pelanda
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