Non capisco la sorpesa nel vedere che in Italia cominci l'impoverimento. E' il minimo che può capitare in un sistema che disincentiva gli investimenti e le attività economiche a causa dei pesi fiscali e regolativi che gravano su di queste. Semplicemente, per questo motivo, il paese non é competitivo in confronto ad altri. Le industrie italiane lo sono ancora. Ma per continuarlo ad essere devono spostare la produzione all'estero tenendo in Italia il meno possibile. E' ovvio che il lavoro cominci a diminuire e le sue condizioni di esercizio a peggiorare. Perdonatemi un'autocitazione. Non é narcisimo, ma modo per semplificare un messaggio importante. Nel 1995, insieme a Giulio Tremonti, pubblicai un volume dal titolo "Il fantasma della povertà". Veniva anticipato lo scenario ora in corso nonché spiegato il perché. Quello detto sopra. Il messaggio è che né io né Tremonti stavamo inventando qualcosa di esotico. Abbiamo solo combinato le conoscenze ordinarie al riguardo della nuova economia globale, ed ai suoi requisiti di competitività, con il modello statalista italiano ( enon solo). Ed é stato banale proiettare uno scenario di impoverimento. Infatti la nostra ricerca ha dato più enfasi alle soluzioni (per fortuna ce ne sono, certo non a sinistra). Il messaggio? C'é una conoscenza economica "normale" che sa spiegare in dettaglio le cause dell'impoverimento, in generale, ed in particolare il perché lo statalismo é la causa principale di questo. Caso mai é sorprendente come mai tale senso comune non si sia diffuso nelle analisi giornalistiche, politiche e, purtroppo, di tanti colleghi del mondo della ricerca.
Nei convegni si sentono alcuni di questi dire, per esempio, "che il problema della tasse non é la quantità, ma la qualità". Commentate voi. Uno stimato docente della Bocconi il 15 luglio, a Biella, ha sostenuto perfino che non é vero che il sistema italiano sia sfavorevole alla competitività delle imprese. Anzi. Pur ammettendo che la qualità dei lavoratori in Italia é eccezionale, tra il meglio del pianeta, e che quindi ciò costituisca un vantaggio competitivo, c'é il piccolo problema che il capitale non lo finanzia perché prevalgono altri fattori di svantaggio: tasse, rigidità, complicazioni burocratiche, incertezze legali, inefficienza infrastruturale nonché la prospettiva delle 35 ore (tollerabile dalla grande industria, ma insostenibile per la piccola). Io sono rimasto di sasso nel vedere un collega della miglior scuola economica d'Italia sottostimare questo punto. E, francamente, mi sono spaventato del fatto che i politici di sinistra possono avvalersi di analisi sbagliate, ma prestigiose, a sostegno delle tesi ulivista che per rendere competitiva l'economia (e fare occupazione) non occorra cambiare tutto il modello statalista, anzi che questo perfino é un sostegno alal competitività. Non capisco come questa tesi possa invece trovare la certificazione da parte di ricercatori e, quindi, credibilità istituzionale. Ma c'é un economista serio in Italia? Non capisco.
Capisco ancor meno la reazione isterica del governo. Invece di adeguarsi realisticamente ai primi segnali di impoverimento strutturale del paese abbassando le tasse e liberalizzando il liberalizzibile, unica via per reincentivare i capitali a finanziare nuove opportunità di lavoro per gli italiani, si mette a cercare capri espiatori. Parte della nuova povertà non é fatta di disoccupazione, ma di sotto-occupazione, cioé lavoro nero a bassa e, spesso, saltuaria remunerazione. Il governo e le forze di sinistra che lo sostengono non hanno dubbi: agire con metodi di polizia per estirpare il lavoro nero. Lo si perdona per il passato se accetta di emergere, ma se ne lo fa lo si punisce con spietatezza. Assurdo. Il lavoro nero é per lo più una soluzione disperata per riuscire ad avere un valore competitivo di mercato che con il lavoro in chiaro - l'impresa gravata di balzelli e rigidità- non si riesce ad ottenere. Certo che é brutto. Certo che molti ci marciano e tanti ci restano. Ma il punto é che il lavoro nero non avrebbe senso di esistere se le tasse fossero metà di quello che sono e se i rapporti di lavoro fossero flessibili. Questa é la soluzione. Invece il governo vuole tenere tutto come é ora e costringere con il terrore i neristi a sbiancarsi. Ed é questo che non capisco. Il 30% dell'economia italiana, circa, é in nero con grande concentrazione al sud. Il governo vuole farla emergere per ricavarne gettito fiscale ora evaso e per dare salari decenti ai lavoratori in ombra (che sono, appunto, una parte dei nuovi poveri). Ma se si costringe il lavoro nero ad emergere (per lo più terzisti, artigiani, ecc) questo perde competitività perché si grava di più costi. E si chiude l'attività. Che senso ha? Far emergere per affondare.
Lettori, non capisco. O sono io scemo o lo é il sistema. Qualora fosse vero il secondo caso - non posso escludere il primo- siamo veramente nei guai. Contro la violenza di un governo c'é la rivoluzione. Ma contro la scemenza cosa si fa?