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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1998-3-18L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

1998-3-18

18/3/1998

Apologia controcorrente dell'oro

Nella piccola economia famigliare, olte ai risparmi in moneta liquida, titoli e - per alcuni- in azioni o quote di fondi, é ancora importante una riservetta d'oro. Per molti, specialmente i più anziani con la memoria delle svalutazioni post-belliche o inflazionistiche, l'importanza non é solo data dal valore convertibile in moneta cartacea, ma da quello di riassicurazione nel caso la banconota, per un motivo o per l'altro, perdesse valore. In questo caso ad un grammo d'oro corrisponderebbero parecchi chili di pane che neanche una tonnellata di banconote potrebbe comprare. Ma é ancora valida e consistente questa riassicurazione aurea?

In apparenza no. Un'oncia d'oro, nel 1980, costava circa 850 dollari mentre oggi ne vale circa 300. In poco meno di venti anni il valore dell'oro é sceso quasi del 70%. I produttori del metallo prezioso sono disperati perché solo in pochissimi casi riescono a fare un profitto dopo aver detratto i costi di estrazione e molti si preparano a chiudere le miniere. Quali fattori stanno deprimendo il prezzo del lingotto giallo portandolo a minimi?

Il più importante é la riduzione dell'inflazione sul piano mondiale. Ora la politica disinflazionistica attuata da tutte le banche centrali é arrivata all'obiettivo di una buona stabilità dei prezzi e di una fiducia consolidata sul fatto che il loro valore del denaro sarà difeso nel tempo dagli Stati. In questo scenario, la riduzione del valore "rifugio" dell'oro ne ha compresso in buona parte il valore. Altrettanto importante é il fatto che le banche centrali non considerano più i lingotti un valore né di garanzia né di riferimento. Ed é ovvio. Ormai le masse monetarie richieste dall'economia contemporanea sono talmente grandi da non poter trovare più alcuna corrispondenza con un controvalore aureo, intrinsecamente limitato per quantità. Quindi é impossibile, e per questo inutile, ancorare il valore di carta alla sua convertibilità totale o parziale in oro. L'ancoraggio, oggi, lo si fa attraverso la costruzione della fiducia nello Stato e nell'autorità monetaria. Per questo motivo le banche centrali non sanno più che farsene delle riserve auree. E le vendono deprimendo ulterioremente il prezzo del metallo in quanto il mercato ne prevede nel prossimo futuro un eccesso di offerta. A questi fattori ne va aggiunto un altro di fondo. L'efficienza tecnologica permette di trovare ed estrarre più oro compromettendone la componente di valore basato sulla rarità, anche se ciò é in parte compensato dal fatto che emergono nuovi usi industriali del metallo prezioso (per esempio i satelliti spaziali).

Uno potrebbe chiedersi. Ma perché le banche centrali dovrebbero vendere l'oro in un momento in cui i suoi corsi sono depressi? Giusto. Ma si deve sapere che molte di queste hanno messo nei loro bilanci valori dell'oro posseduto molto inferiori al prezzo del mercato. Quindi la realizzazione sul mercato stesso, pur a prezzo basso, risulta comunque in un bel guadagno. E in periodo di ristrettezze finanziarie degli Stati molte banche centrali si chiedono perché devono tenersi in casa valori inutilizzabili quando potrebbero realizzarli (ricordate la polemica Waigel-Tietmayer sulla rivalutazione delle riserve auree in Germania per far quadrare i bilanci pubblici). Se questa tendenza si conferma, allora sarà difficile vedere il prezzo dell'oro andare oltre i 300 dollari all'oncia e, probabilmente, si assesterà più verso i 200.

Ma aspettate a guardare con disprezzo le catenine ed i monili d'oro. Personalmente ritengo che comunque l'oro resterà un bene rifugio in caso di guai. Il ragionamento é il seguente. E' vero che di guai inflazionistici, dovuti a svalutazioni, guerre o chissà che altro, non se ne vede l'ombra adesso, per nostra fortuna. Ma se capitasse qualcosa di brutto e la carta moneta perdesse significato, o lo diminuisse di molto, quale altro valore stabile di scambio avrei a disposizione per comprarmi il pane? Nessuno così prontamente riconoscibile e negoziabile in base ad una cultura aurea comune che dura da millenni.

Pessimista? No. Il fatto é che la cultura della stabilità finanziaria (e politica) ha pochi anni, mentre la storia, anche recente, mostra instabilità periodiche e ricorrenti. E da questa ereditiamo una prudenza sospettosa che nessun pezzo di carta può ancora convincerci ad abbandonare. Ed é proprio questo enorme valore simbolico dell'oro, non rappresentato dal suo prezzo attuale, che sollecita il mio istinto a comprarne un po' ora che é basso, anche se la razionalità tecnica mi consiglierebbe il contrario. Va bene che la ricchezza é sempre più immateriale, ma quel colore, quel suono, quel peso........., quel luccichio. Orsù.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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