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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2010-4-20La Voce di Romagna

2010-4-20

20/4/2010

Il rischio maggiore è la variazione climatica

Le prime stime delle perdite economiche create dalla nuvola di ceneri vulcaniche sull’Europa indicano un danno giornaliero attorno ai 600/700 milioni di euri. Il blocco dei voli toglie introiti alle compagnie aeree ed alle aziende turistiche, le aziende che trasportano merci per via aerea non possono consegnare, ecc. Se tale situazione durasse solo qualche giorno, il danno sarebbe assorbibile senza  grossi problemi sistemici. Ma se continuasse per settimane vi sarebbero grossi problemi sul piano dell’economia globale. La durata dell’emergenza (per lo più ora concentrata nell’area europea) non è ancora prevedibile in quanto non sono precisabili due sue cause: (a) il tempo di dissoluzione della nube di ceneri che può rovinare i motori aerei; (b) la durata dell’eruzione del vulcano islandese che alimenta la nube. Proprio il secondo fatto e l’entità del fenomeno in atto consigliano di  riaprire i libri di  storia dove si trova che le eruzioni vulcaniche sono tra quei fattori ecologici con la maggiore capacità di provocare mutamenti repentini nei sistemi umani. Nessun allarme, ma è utile un ripasso. 

Il pericolo sistemico di una megaeruzione vulcanica consiste nella nuvola di ceneri/aerosol che filtra i raggi solari e riduce l’irradiazione generando crisi ambientali. Proprio ad un vulcano islandese, l’Hekla, gli storici imputano il grande sconquasso del 1.100 AC che fece finire molti imperi dell’Età del bronzo e indusse grandi migrazioni, tra cui quella degli indoeuropei in Italia e dei Dori nell’area micenea. Nel 1783 l’eruzione del vulcano, sempre islandese, Laki provocò una crisi dell’agricoltura in Europa e parecchi sostengono che ciò fu un fattore della Rivoluzione francese del 1789. L’eruzione del vulcano Tambora, Indonesia, nel 1815 provocò, nel 1816, “l’anno senza estate” (quindi con raccolti falcidiati) in Europa ed America, spingendo le migrazione verso ovest nella seconda. Il Krakatoa, Indonesia, nel 1883 immesse circa 17 milioni di tonnellate di anidride solforosa nell’atmosfera che riducendo l’irradiazione solare fecero calare di 0,6 gradi la temperatura media dell’emisfero boreale  con conseguenze rilevanti per l’economia agricola. In sintesi, la storia ci insegna che le eruzioni vulcaniche possono creare mutamenti climatici catastrofici. Non sembra che i fenomeni correnti abbiano la scala per una crisi ambientale planetaria, ma va fatto il pensiero: che cosa facciamo se succede? Alcuni commentatori, nei giorni scorsi, hanno filosofeggiato che contro la Natura possiamo fare ben poco. Altri che la scienza non riesce a prevedere i fenomeni complessi. Ambedue le considerazioni hanno senso se viste in assoluto. Ma in termini relativi, cioè per fenomeni che non distruggono il pianeta intero, scienza e tecnologia sono in grado di indicare le misure  per mantenere funzionante una società e la sua economia anche in fase di catastrofi  medio-grandi. Un “inverno vulcanico” che durasse un decennio potrebbe essere affrontato aumentando la creazione di ambienti artificiali e dell’energia. Per esempio, in questo caso la prevenzione è quella di avere pronta un’enorme potenziale energetico, possibile solo con l’adozione estesa di impianti nucleari. Ciò serve a dire che sono sbagliati sia la rimozione psicologica dei grandi rischi sia il catastrofismo. E’ giusto, invece, preparare le soluzioni tecnologiche ed organizzative per ogni evenienza, magari aggiungendo una preghierina che costa poco e comunque può essere utile.  

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