Qualche giorno fa le previsioni del Fondo monetario hanno suscitato polemiche, particolarmente in Europa. Il Pil 2009 della Germania potrebbe cadere di oltre il 5%, il resto più o meno così, con un impatto devastante. I governi le hanno accusate di catastrofismo. Cerchiamo di chiarire la questione sia tecnica sia politica.
Le previsioni del Fmi sono proiezioni delle tendenze correnti. Vuol dire che, senza cambiamenti, le cose andranno così. La metodica non include, e non lo potrebbe, la rappresentazione in peggio o in meglio dei cambiamenti, per esempio, i mutamenti dell’umore del mercato. Per questo tali previsioni vengono aggiornate ogni tre o sei mesi. E, in generale, tendono ad essere meno precise nei momenti di discontinuità. Venendo al punto, è probabile che le previsioni del Fmi esagerino il pessimismo per la loro natura metodologica. Ma il metodo prende molto bene la tendenza, anche se non i suoi numeri precisi. Quindi la lettura corretta del dato è che comunque la recessione nel 2009 avrà un impatto molto pesante, più in Europa che altrove. Tale scenario produce imbarazzo negli eurogoverni. La crisi è dovuta al crollo della domanda globale che ha ridotto l’export. Le principali economie dell’eurozona adottano un modello economico con pesi fiscali e regolamentari eccessivi che comprimono soffocano la crescita interna. Tale deficit di crescita viene compensato con quella trainata dalle esportazioni, ora depressa. Per invertire questo tipo di recessione ci vorrebbe un vero e proprio cambio del modello stesso. Cioè ridurre di 1/3 le tasse e i costi statali e togliere protezioni per rendere più dinamico il mercato interno. Ma i governi dell’eurozona non vogliono/possono farlo. La detassazione stimolativa implica un aumento temporaneo del deficit che è vietato dalle regole di stabilità dell’euro. La riduzione dei costi statali sarebbe traumatica. L’aumento della concorrenza per vitalizzare il mercato implicherebbe una contrastata modifica delle garanzie economiche. Se un eurogoverno proponesse tali misure vi sarebbe una reazione violentissima da parte dei sindacati e dalla gente che vive di tutele nonché un conflitto violento con le regole europee. Per tale motivo gli eurogoverni sono in trappola. Se tentano le mossa tecnicamente giusta perderebbero il consenso. Se per mantenerlo non contrastano la recessione a monte perdono la crescita. Come stanno reagendo al dilemma? Contengono l’impatto recessivo a valle con ammortizzatori finanziati a debito, dimostrando così di privilegiare il requisito del consenso. Alla fine l’impatto in termini di disoccupazione, deindustrializzazione e di aumento del debito sarà comunque pesante. Ma il dissenso resterà limitato perché i disoccupati avranno tutele. In caso di riforma del modello, invece, il dissenso sarebbe più esteso perché tutto il sistema economico ed i suoi attori subirebbero una scossa, cioè nuove sfide concorrenziali, spostamenti di lavoro, ecc., in generale una doccia fredda rivitalizzante, ma portatrice di stress diffuso. Per questo i governi europei non la fanno, preferendo finanziare la crisi piuttosto che risolverla. Su questo punto ci potrebbe essere stata intenzionalità nell’eccesso di pessimismo previsionale del Fmi. Probabilmente ha voluto segnalare ai governi europei che la loro scelta di gestire la crisi a valle e non a monte ne renderà più grave l’impatto è più lunga la durata, con alto rischio di cedimento strutturale del sistema. In effetti tale pericolo c’è, ma l’elettorato europeo non è disposto a pagare i prezzi per evitarlo. E nemmeno, di conseguenza, i governi.