Oggi l’America sceglie il presidente. L’esito elettorale sarà particolarmente importante per il resto del mondo perché la locomotiva americana che da più di 60 anni traina la crescita del mercato mondiale ha gravi problemi di funzionamento. Infatti sta rallentando, causando via minori consumi interni una rapida recessione globale per caduta delle importazioni. La gestione politica sarà determinante per accorciare o allungare i tempi di riparazione del sistema economico e finanziario statunitense. Sarebbe meglio Obama o McCain? Difficile valutarlo perché i loro programmi politici non sono stati aggiornati in relazione agli ultimi sviluppi della crisi e certamente chi dei due vincerà dovrà farne di nuovi. Nell’attesa vediamo un problema che richiederà comunque nuove soluzioni .
Al momento le previsioni tendono a convergere su un’ipotesi di recessione in America che duri almeno tre trimestri, a partire dal terzo del 2008 (Pil a -0,3%). La deflazione sarà trasferita ai Paesi che più dipendono dall’export. La Cina fa il 32% del suo Pil via esportazioni dirette negli Usa ed il 42% aggiungendo quelle verso Europa e Giappone. Germania ed Italia sono le economie europee più dipendenti dall’export. Il calo della domanda sia in America sia in Cina, colpirà ambedue ed il Giappone. Se veramente l’America riprendesse la crescita nella primavera del 2009 l’impatto sul resto del mondo sarebbe grave, ma non al punto da destabilizzare l’economia globale. Tuttavia c’è un problema strutturale. Certamente l’America ha un sistema economico flessibile e vitale capace di reagire con velocità alla crisi recessiva. Ma non necessariamente quando tornerà in crescita lo farà con un forza tale da trainare il resto del pianeta come nel passato perché il suo sistema interno è stato seriamente danneggiato e ha bisogno di riparazioni. Se l’America restasse a bassa crescita per un periodo prolungato i Paesi più dipendenti dall’export dovrebbero bilanciare con più crescita interna la riduzione di quella esterna. Ma europei, giapponesi e cinesi sono in grado di modificare il loro modello economico in poco tempo? La Cina finanzia con export l’industrializzazione e la migrazione dalla città alla campagna. Sta usando tale modello da metà degli anni ’80 con successo. Proprio per questo non le sarebbe facile modificarlo in poco tempo. Le cronache ci mostrano ogni giorno quanto sia difficile, sia per europarametri sia per problemi di consenso, ridurre anche di un pelo le tasse in Italia e negli altri Paesi dell’eurozona per stimolare la crescita interna. Il sistema consociativo nipponico è altrettanto rigido pur per motivi diversi. In sintesi, se l’America importasse di meno per tre anni le altre principali economie del mondo non riuscirebbero a compensare via maggiore crescita interna. La crisi di deflazione diventerebbe grave e ciò potrebbe destabilizzarle. La loro moneta cadrebbe, le crisi di insolvenza sarebbero devastanti, la gente chiederebbe soluzioni protezioniste ed assistenziali che peggiorerebbero il quadro. L’America importerebbe questo caos dal mondo, destabilizzandosi anch’essa, e certamente non è nel suo interesse. Per questo chiunque sia il presidente tenterà di farla tornare locomotiva robusta. Ma non sarà facile né breve. Per questo il nuovo presidente americano dovrà avere un’idea in più, ma anche noi europei. Quale? Una nuova architettura politica del mercato globale. Sarà inevitabile per salvarlo e salvarci.