La priorità è quella di scongelare il mercato dei capitali. Al momento, con fenomeni più gravi in America ed Europa, le banche non si prestano denari tra di loro e riducono il credito ai loro clienti. Se tale situazione durasse solo qualche settimana, ma con segnali immediati di miglioramento, la recessione conseguente sarebbe di media intensità e relativamente breve. Ma se il mercato finanziario restasse bloccato per mesi lo scenario diventerebbe catastrofico. Il corpo dell’economia reale globale non avrebbe più sangue e andrebbe al collasso. I governi stanno contrastando precisamente questo rischio e sanno di avere pochi giorni per riuscirci. Questa sarà la settimana più critica.
E’ importante che il lettore capisca la relazione tra crisi finanziaria e crisi dell’economia reale e dove esattamente siamo. La scorsa settimana le Borse sono crollate non per il “panico”, ma perché erano l’unico luogo del mercato in cui si poteva vendere qualcosa, tutto il resto con scambi congelati. Quindi chi aveva bisogno di liquidità immediata non ha avuto altra scelta che svendere azioni per ottenerla. Non siamo ancora arrivati al punto di panico. Ma questo potremmo arrivarci tra pochi giorni se non si sblocca, almeno inizialmente, il mercato interbancario e del credito in generale. Le banche non lo stanno sbloccando per tre motivi: (a) paura che l’altra banca o fondo finanziario fallisca; (b) impiego della liquidità per coprire le proprie perdite; (c) trattenimento della liquidità per mettersi al riparo da guai se arrivano. Ci sono anche parecchi casi in America ed alcuni in Europa dove gli istituti preservano la liquidità per cogliere opportunità speculative se la crisi si aggrava, ma è un fenomeno minore. Tale situazione spiega perché i governi, per prima cosa, abbiano dovuto dare la garanzia che nessuna banca fallirà e che negli istituti con problemi entrerà direttamente lo Stato. Tale tipo di garanzia è un passo necessario per lo scongelamento, ma ha creato un problema di architettura politica. Lo Stato nazionale ha i soldi pronti per interventi veloci e diretti. Ma parecchie banche americane ed europee sono internazionali e la loro eventuale ricapitalizzazione potrebbe eccedere i mezzi di un singolo Stato. Per questo il mercato, ed alcuni economisti, avrebbero preferito che nella riunione del G7 a Washington di sabato scorso gli Stati creassero un fondo comune di garanzia con quantità credibili. Ma tale azione avrebbe dovuto ottenere il consenso in un molteplicità di democrazie con rischio di ritardi e che in qualcuna il Parlamento rifiutasse, come successo inizialmente negli Stati Uniti nel caso del voto sul pacchetto di salvataggio di 700 (in realtà 850) miliardi di dollari. Per questo motivo è stato deciso che ogni governo gestisca i propri problemi nazionali, ma con l’aiuto degli altri in caso di difficoltà. Tale scelta è stata ottima sul piano del realismo e della velocità. Il modello è quello delle garanzie nazionali di intervento con la retrogaranzia di supporto internazionale se ce ne sarà bisogno. A livello globale ed europeo è stato organizzato ed in queste ore viene rifinito n ei suoi aspetti tecnici. Facendo un calcolo generale le risorse complessive messe in campo globalmente e sul piano europeo, circa seimila miliardi di euri, superano di quasi sei volte il possibile fabbisogno di copertura delle perdite e ricapitalizzioni bancarie (globali) stimabili in mille miliardi (un trilione) di euri. I numeri ed il coordinamento utile per erogare la garanzia totale ci sono. Ora tocca al mercato ed alla gente capirlo e riprendere fiducia.