Secondo Trichet, Governatore della Banca centrale europea, in questi mesi la tendenza recessiva nell’eurozona ha raggiunto un picco, le conseguenze si sentiranno fino a fine anno in termini di crescita negativa o comunque stagnante, poi nel 2009 pian pianino riprenderà la crescita. E nel 2010 forse l’inflazione da costo, cioè quella generata dall’impennata dei prezzi energetici, rientrerà. Almunia, Commissario europeo per gli affari economici e monetari, avverte che in tale scenario la massima priorità è quella di evitare la rincorsa salari/prezzi. Questo è il quadro che ci viene fornito dalle principali autorità europe. In sintesi, ci dicono di stare tranquilli, di mettere in priorità l’equilibrio dei conti pubblici e, implicitamente, che non ci sono motivi per ridurre il costo del denaro ed il suo impatto su mutui e costi debitorii in generale. Chi scrive non è d’accordo.
Il volume del commercio internazionale sta scendendo più e più velocemente di quello che si pensava. Un sintomo, per esempio, è la veloce caduta del prezzo del petrolio a causa di un calo della domanda globale e non solo per risparmio, moderazione dei fenomeni speculativi ed interventi calmieratori, ma per una vera forte riduzione delle attività. In generale, nelle ultime settimane è aumentato il rischio di contrazione dell’economia globale. Se ciò verrà confermato, allora il traino alla crescita fornito dall’export europeo sarà minore. Poiché la crescita dei mercati interni nell’eurozona è piatta si profila il rischio di recessione più grave del previsto. In tal caso le priorità sono due: taglio del costo del denaro, ora il tasso di riferimento è al 4,25%, e riduzione dei costi per famiglie ed imprese. La Bce certamente cerca un punto di equilibrio tra le esigenze contrastanti di contenere l’inflazione alzando i tassi e quella di non alzarli troppo per evitare recessioni gravi. Ma l’equilibrio attuale, e quello implicitamente annunciato, appare troppo restrittivo e rischia di acuire la tendenza recessiva. Un tasso di riferimento adeguato al momento, secondo chi scrive, sarebbe il 3,5%, pronti a scendere al 2 se la situazione precipitasse. Per favorire tale opzione stimolativa antirecessiva i governi dovrebbero fare di tutto per ridurre i costi di sistema, cioè per ridurre l’inflazione, tagliando con priorità la componente fiscale dei prezzi al consumo dei combustibili ed intervenendo sulla trasparenza di questo settore del mercato. In America i prezzi del carburante sono scesi con la stessa velocità di quelli del petrolio grezzo. Non si capisce perché in Europa, e Italia in particolare, non si riesca fare lo stesso. I governi, inoltre, dovrebbero attuare stimolazioni fiscali d’emergenza, pur calibrate con i vincoli di equilibrio di bilancio. Ma gli eurovincoli ai bilanci statali dovrebbero tener conto del momento recessivo e fare spazio a tali iniziative. I lettori vanno avvertiti che queste raccomandazioni di buon senso sono inutili. La Bce ritiene che i governi non aiuteranno a disinflazionare perché “fermi”. La Commissione ritiene che i governi non ridurranno spesa e tasse e non vuole lasciare neanche il minimo spazio di aumento della prima in deficit. In sintesi, il sistema europeo preferisce rischiare una recessione piuttosto che un aumento dell’inflazione perché non si fida delle capacità disinflazionistiche dei governi. Qui il problema che andrà risolto con cambiamenti sostanziali: se la stabilità europea deve essere ottenuta impoverendo i cittadini, allora non potrà durare molto.