Venerdì scorso ha preso corpo il fantasma del “caso peggiore” temuto dal mercato: la continuazione della crisi del credito/mutui statunitense con la possibilità che vada oltre la soglia di gestibilità. Le Borse americane ed europee hanno reagito negativamente facendo registrare un sensibile ribasso sia per la preoccupazione detta sia per l’ennesima impennata del prezzo del petrolio. C’è molto disordine, si diffonde la sensazione di una situazione che sta andando fuori controllo. Siamo sull’orlo di uno sviluppo catastrofico o no?
Le società semipubbliche statunitensi che garantiscono l’erogazione dei mutui sono in difficoltà. Se la loro crisi si avvitasse lo Stato dovrebbe intervenire nazionalizzandole con il rischio di dover aggiungere al debito pubblico qualcosa come 5 trilioni di dollari. Tale aumento del debito, o la semplice probabilità percepita dell’evento, farebbe crollare il dollaro sul serio (ora è sottovalutato, ma non crollato). Ciò creerebbe una tempesta monetaria globale di difficile gestione, una recessione molto grave negli Usa e, soprattutto, farebbe schizzare alle stelle il prezzo del petrolio. Da qui si potrebbe innescare una depressione a livello globale caratterizzata da poca crescita o stagnazione endemica combinata con inflazione elevata. Poi comincerebbero i licenziamenti nelle aziende in crisi, per altro già avviati nel settore automobilistico (globalmente) colpito dai prezzi crescenti dei carburanti, e si aggiungerebbe la disoccupazione. Non sarebbe il 1929, ma comunque una situazione brutta e pericolosa simile a quella degli anni ’70. Ci siamo veramente vicini? Secondo alcuni analisti sì. Ma chi scrive, insieme ad altri, scommette ancora su uno scenario ottimistico. Siamo, infatti, nella coda della crisi finanziaria innescata inizialmente dall’insolvibilità dei mutui erogati in America a persone di cui non era stata accertata la possibilità di pagarli (subprime). Tale crisi ha creato sfiducia in tutto il sistema del credito, e non solo quello dei mutui, congelando la circolazione del capitale. Questo fenomeno sta generando a catena delle crisi nei diversi settori della finanza (credito al consumo, prodotti finanziari assicurativi, grandi banche di investimento, ecc.) oltre che toccare anche i mutui “buoni”. Il contagio è curabile in tre modi: assicurando la liquidità che manca sul mercato, riducendo le tasse per dare più denaro alle famiglie in modo che possano onorare i debiti e, in generale, dando segnali di controllabilità della crisi. L’autorità monetaria statunitense (Fed) è in grado di dare al sistema il capitale necessario. Il governo americano ha già fatto una detassazione d’emergenza. Manca ancora, invece, un segnale netto che la crisi sia in esaurimento. Probabilmente questo fatto psicologico, unito allo shock dei prezzi energetici raddoppiati in un anno e che continuano su questa via, lascia in tensione ed in ansia il mercato e ciò lascia aperta la crisi. Alcuni analisti parlano di collasso nervoso dell’America più che tecnico. Difficile confermarlo, ma certamente il clima pre-elettorale e un’Amministrazione Bush in scadenza, ed ipercriticata, combinati con con la situazione recessiva sono fattori di forte ansietà che a sua volta alimenta il pessimismo del mercato. Soluzioni? L’America ha bisogno di una buona sorpresa e se ciò avverrà la ristabilizzazione sarà velocissima (un anno). Ma anche se non verrà o verrà tra qualche mese con il nuovo clima tipicamente portato da un presidente neo-eletto, la situazione tecnica non appare ancora di tale gravità da far pensare all’avverarsi del “caso peggiore”.