Da anni Air France tenta di acquisire Alitalia perché grazie a questo passo, avendo già in pancia Klm, diventerebbe la prima compagnia europea per scala. Scenario di mercato: (a) il traffico turistico potenziale e globale da e verso l’Italia nei prossimi dieci anni, è stimato in aumento; (b) la prossima liberalizzazione delle rotte aeree tra America ed Europa farebbe valere moltissimo la dominanza europea di Air France; (c) a causa di una distorsione del nostro mercato Alitalia detiene una posizione di semimonopolio sulle rotte interne, parecchie molte profittevoli, che Air France erediterebbe. Se si trasformano questi dati in valore potenziale, allora il prezzo di Alitalia offerto da Air France si configura come vera e propria svendita. Per gli stessi motivi Alitalia, se ben gestita ha spazi enormi di rilancio e crescita, non più preda ma predatore.
Air France ha dato il termine del 31 marzo per dire sì o no alle condizioni dettate. La posizione del governo, fino a poco fa, è stata quella di accettare con l’argomentazione che Alitaliaperde un milione di euro al giorno, ha cassa per pochi mesi e che non è in condizione di rilancio con mezzi propri anche perché la Commissione europea impedirebbe gli aiuti di Stato. Inoltre la sua flotta è vecchia, pur tenuta in invidiabili condizioni di sicurezza, e va rinnovata: si tratta di comprare o prendere in leasing speciale dai 40 ai 63 nuovi aerei. In sintesi, noi azionisti di Alitalia ci troviamo a scegliere tra due storie diverse. Prima, Air France è il salvatore di una azienda, e del suo indotto, che altrimenti fallirebbe domani mettendo sul lastrico circa ventimila lavoratori. Seconda, si tratta di una svendita, forse sollecitata da interessi strategici francesi, che non appare necessaria anche perché Alitalia, pur malmessa da un decennio di malagestione, è ancora in grado di riprendersi. Chi scrive ritiene che la prima sia stata costruita per favorire, con un artefatto senso di emergenza, Air France. Indizi. Dal 1993 Parigi cerca di conquistare risorse rilevanti in Italia, aziende tecnologiche, banche, energia ecc., per ottenere una influenza geoeconomica intraeuropea utile a bilanciare la scala di quella tedesca. Tale piano le è riuscito solo in parte, ma insiste. Il divieto europeo a ricapitalizzazioni pubbliche di Alitalia ha visto la Francia, stranamente, molto vigile sulla materia. Il management di Alitalia è stato molto passivo ed acquiescente. I ministri italiani più inclini alla vendita d’emergenza sono stati premiati con onorificenze francesi (Legion d’Onore). In sintesi, ce ne è abbastanza per sospettare, anche se non a sufficienza per accusare. Infatti ieri Prodi, in evidente imbarazzo e forse per disinnescare una mina elettorale, ha fatto marcia indietro, auspicando l’intervento di un compratore italiano. Cosa fare, quindi? Piuttosto che perdere certamente miliardi, sia come svendita di Alitalia sia come danno al sistema aeroportuale ed indotto, sarebbe più saggio investire un centinaio di milioni – tre o quattro mesi di sopravvivenza in perdita dell’Alitalia corrente - per comprare il tempo utile a creare il giusto valore nella (comunque necessaria) privatizzazione di questa azienda pubblica. Non possiamo fare la strategia di business di Alitalia sui giornali, ma possiamo pretendere, come azionisti, che si persegua, ed in modi trasparenti, il miglior business e non la svendita combinata con una distruzione di valore sistemica.