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Carlo Pelanda: 2008-3-11La Voce di Romagna

2008-3-11

11/3/2008

Vincoli esterni e blocco interno

Quale politica economica può realmente fare un governo nazionale condizionato da un mercato che è globale? Che spazio di manovra ha un governo italiano dopo la cessione della sovranità economica all’Unione europea? All’avvio della campagna elettorale è utile che i lettori possano valutarlo.

L’economia senza frontiere mette in concorrenza ogni territorio nazionale (e locale) con gli altri del globo. Questo succede perché il capitale è libero di decidere dove investire, l’imprenditore dove costruire un’azienda o localizzare le produzioni. Un turista può prendere un aereo ed andare ovunque. E se il capitale è libero va dove è più conveniente. Per questo non esiste più, almeno da 20 anni, la possibilità di sostenere un modello economico nazionale che diverga dal criterio di competitività. Se si fa una politica economica divergente poi la ricchezza esce dal territorio punendo con l’impoverimento la politica che ha fatto così e la nazione che la ha votata. C’è un solo modello economico che funziona: il capitalismo competitivo. E in tutte le nazioni del pianeta è in atto un processo di difficile e sofferta convergenza verso tale modello. Ora sta emergendo una grande differenza sui modi del capitalismo competitivo tra società democratiche, occidentali, ed autoritarie, per esempio Cina. Il capitalismo autoritario, basato su modelli economici senza costi di welfare e in generale della democrazia, pone la sfida della ipercompetitività al mondo del capitalismo democratico. In sintesi, oggi una democrazia deve per forza avere un modello economico che rispetta i seguenti criteri competitivi: (a) credibilità complessiva nazionale, tra cui quella dei conti pubblici; (b) elevata sicurezza militare, civile e di polizia; (c) minimi costi sistemici e fiscali; (d) massima libertà di impresa; (e) elevata istruzione di massa; (e) istituzioni funzionanti come orologi; ecc. Ed in più c’è il problema di reggere l’impatto dell’ipercompetitività dei paesi emergenti. In base a questo vincolo esterno i programmi dei due partiti principali mostrano, nelle intenzioni, di essere consapevoli dei requisiti del capitalismo competitivo, motivo per cui il PD ha abbandonato l’estrema sinistra, ma appaiono piuttosto deboli sul piano delle soluzioni.

 La sacrosanta enfasi sulla detassazione da parte del PdL è ostacolata dai vincoli europei: non è permesso all’Italia derogare dal limite di deficit per qualche anno allo scopo di poter abbassare sostanzialmente le tasse. In tali condizioni bisognerebbe abbattere sostanzialmente la spesa pubblica per avere lo spazio di riduzione fiscale utile al rilancio della crescita. Mail centrodestra non se la sente di rischiare consensi dando un messaggio ansiogeno ai circa 5,2 milioni di persone che vivono di posto pubblico. Tantomeno se la sente il centrosinistra. Questo, per altro, è più incisivo, a parole, del centrodestra nel mettere in priorità la riduzione del debito e della spesa per interessi annuale che sfiora i 70 miliardi, vendendo patrimonio pubblico. Ma il centrosinistra lo fa perché pensa di perdere le elezioni, mentre il centrodestra che ritiene di vincerle e di governare non ritiene facilmente praticabile la vendita dei pacchetti azionari di Eni, Enel, ecc. (100 miliardi di euro) ed immobili (dai 50 ai 350 miliardi di euro) per usare la minor spesa per interessi a favore della detassazione. In conclusione il vincolo esterno impone alla politica di trovare più efficienza interna, ma questa non appare ancora in grado di sconfiggere gli interessi statalisti e gli istinti (suicidi) protezionisti ormai incancreniti.

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