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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2007-5-1La Voce di Romagna

2007-5-1

1/5/2007

Dall’ambientalismo passivo a quello attivo

L’ortodossia ambientalista recita: il cambiamento climatico c’è, è causato principalmente dalle emissioni che creano un effetto serra, per ridurre il riscaldamento terrestre bisogna eliminarle. Provate a ipotizzare che tale formula sia una fesseria e vi fucileranno. Ma rischio il piombo, cari amici dell’esarcato senza acqua, perché l’emergenza ambientale c’è, ma non ha, forse, le cause addotte dall’ortodossia né, certamente, quella soluzione.

Vi chiederete come mai uno che è titolato, sul piano accademico, ad occuparsi di politica ed economia internazionale osi sbertucciare l’ortodossia kyotista (Trattato di Kyoto, 1997, per la cooperazione internazionale contro le emissioni) alimentata da studi specialistici. Proprio qui è il punto. Sono almeno due decenni, ne ebbi esperienza diretta quando lavorai per l’Onu tra il 1988 ed il ’90 in materia ambientale globale, che gli economisti aspettano dai climatologi una modellazione scientifica dotata di robustezza tale da poter, poi, alimentare il disegno di politiche ed iniziative economiche adeguate al problema. I modelli che vengono legittimati dall’Onu imputano alle emissioni il 95% del cambiamento climatico e lo tracciano come piuttosto veloce. Ma nella comunità scientifica dedicata è una canea. Qualcuno fa notare che la fase recente di riscaldamento iniziò prima dell’era industriale, quindi senza emissioni. Altri indicano che la correlazione tra riscaldamento/raffreddamento è con il ciclo solare e dell’orbita e non con le emissioni stesse. Cosa deve credere un povero cristo di politico o ricercatore di politica economica di fronte a dati così instabili e con odore di ideologia. Vi risparmio le molte ricerche che temono una glaciazione a causa dello scioglimento dei ghiacci artici che modificherebbe la Corrente del golfo attraverso una riduzione della salinità del mare perché ne uscireste pazzi. Ma qui qualcuno deve cominciare a prendere decisioni pur nell’ambiguità dei dati. Vi dico la mia. Le emissioni vanno ridotte comunque perché avvelenano l’aria e qui non ci piove. Ma mi sembra che il punto sostanziale sia diverso: il pianeta cambia di suo e non c’è verso di regolarlo come pare a noi, pensate alla glaciazioni del passato. Il contributo delle emissioni può essere tanto o poco, ma anche se le eliminiamo il clima comunque cambia. Allora? La soluzione più pratica è quella di prendere atto che viviamo in un ambiente variabile e, invece di cercare stupidamente di fissarlo, dobbiamo adattare i nostri sistemi territoriali alla variabilità. Come? Costruendo sistemi artificiali che ci facciano vivere indipendentemente dal clima. E cosa serve per farlo? Tantissima energia a basso costo, quindi nucleare, e megatecnologie di trasformazione del territorio. Per esempio, se ci sarà più caldo o più freddo metteremo le parti vitali dei nostri habitat e del ciclo del cibo sotto calotta climatizzata. Se mancherà l’acqua dolce desalinizzeremo quella marina. E la natura? Con la genetica faremo nuovi organismi ad adattamento migliorato. Ulivi che resistono al ghiaccio? Quelli proprio no. Ma alberi con le radici in aria per prendere l’umidità e le foglie a terra, per scaricarla ed irrigare, in caso di desertificazione, certamente sì. Il punto è quello di generare finalmente un’ecologia artificiale che definisca le tecniche per adattare l’ambiente a noi e non viceversa. Gli ostacoli per riuscirci, nei prossimi secoli, non sono economici o tecnologici, ma culturali. Il primo da abbattere è la teoria dell’ecologia anticapitalista: se hai un ecoproblema la colpa è sempre del mercato e la soluzione è sempre quella di limitarlo. Basta con queste fesserie e passiamo ad un ambientalismo progettuale. Perché Romagna Regione autonoma? La cultura pionieristica ed audace dei romagnoli sicuramente tenterà il primo prototipo di Eden artificiale.

(c) 2007 Carlo Pelanda
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