Il fondo Atlante è certamente uno strumento, finalmente, robusto per la riparazione del sistema bancario italiano. Ma è solo una gamba del gigante che per reggere lo sforzo ha bisogno di una seconda. La missione di Atlante è duplice. Prima, garantire quella parte di soldi che il mercato eventualmente non vorrà dare per la ricapitalizzazione di alcuni istituti che devono farla. Seconda, comprare, valorizzare e vendere i crediti deteriorati che, costringendo gli istituti a coprire il rischio d’insolvenza con riserve di cassa, ne limitano la capacità di finanziare famiglie e imprese, così riducendo la trasmissione della megaliquidità resa disponibile dalla Bce al mercato. Liberare le banche da questo peso è una priorità per consolidare la ripresa. La Commissione europea non ha permesso di ingaggiare risorse statali dirette (cassa), e ha limitato molto quelle indirette (garanzie) per tale priorità sistemica. Pertanto il governo ha dovuto chiamare la finanza privata a soccorso. Questa sta arrivando, pur con riluttanza, per evitare il caso peggiore: la mancanza di soluzioni, fino a qualche giorno fa, ha portato il mercato finanziario a deprezzare violentemente i valori azionari di tutto il settore bancario, deprimendo il complesso di Borsa italiana, con danno diffuso. La soluzione trovata è buona, ma va perfezionata non tanto a livello di meccanismo del fondo Atlante, ma su quello collaterale, cioè con una seconda gamba. In generale, un’iniziativa privata di sistema porta con sé un brutto odore di operazione in perdita: per salvare la baracca mi espongo a minusvalenze. Ciò non va bene per la credibilità dell’iniziativa e per le aziende ingaggiate: ho salvato il sistema e il mio valore di avviamento, ma il mercato mi classifica come a rischio di pochi profitti. Ciò potrebbe ridurre la muscolatura della prima gamba. Per questo la prima cosa da fare è tirar fuori un deodorante che immetta un profumo di sano profitto per gli attori privati ingaggiati. Da un lato, la cosa è stata capita e ha convinto il governo a facilitare il recupero rapido dei crediti da parte delle banche intervenendo sulle norme specifiche, tra cui quelle fallimentari. Dall’altro, il problema non è solo quello di far recuperare più velocemente a una banca il valore di garanzia di un debitore insolvente, per esempio immobili. Sta anche nella mancanza di norme che facilitino la cartolarizzazione “valorizzante” di crediti deteriorati. Secondo me questo è uno dei punti tecnici principali per valutare il valore di un credito con garanzia sottostante di un immobile: oggi vale pochino, ma domani o dopo ha probabilità di valere di più e quindi lo trasformo in un prodotto finanziario che permetta di derivare dal futuro il prezzo del presente. Per esempio, mi trovo in bilancio un pacchetto di crediti con garanzia immobiliare che ho dovuto svalutare, per dire, del 40%, ma che tra 10-15 anni avrà un valore che torna al 100% e oltre grazie al ritorno dell’inflazione. Se creo un prodotto finanziario lungo, con sottostante gli immobili, potrò vendere oggi sul mercato, quotandolo su una Borsa titoli, quel pacchetto a prezzi molto più elevati di quelli ora contabilizzati. Per esempio, con tale seconda gamba Atlante potrebbe comprare senza sconti eccessivi crediti dubbi con una buona speranza di profitto, dandolo anche alla banca cedente. Sul lato della prima gamba la ricapitalizzazione di alcune banche sarebbe favorita se la seconda gamba instaurasse una profezia di maggiori guadagni futuri per il settore bancario: più denaro di Atlante resterebbe disponibile per smaltire crediti deteriorati. Ciò implica una relazione tra crescita del Pil e riparazione bancaria che è ovvia, ma da enfatizzare perché i commenti non ne marcano a sufficienza la rilevanza: il raggio sistemico dell’azione governativa non dovrà limitarsi ai dintorni del sistema bancario, ma dovrà estendersi alla stimolazione di tutta l’economia per far funzionare Atlante. Appunto, la seconda gamba che aiuta la prima. In conclusione un avvertimento al governo: non distrugga aziende via norme fallimentari più restrittive che riducano la possibilità per imprese nei guai di uscirne via procedure continuiste. Raccomando una forma di amministrazione controllata per aziende insolventi non solo simile al Chapter 11 statunitense, ma anche disegnata per lo re-start up di un’impresa, se ha dentro qualche valore da risviluppare. Anche questo è un modo, in Italia importante, per ripagare i debiti alle banche.