Va approfondito il rapporto tra benefici e costi/rischi riferiti allo sfruttamento dei notevoli giacimenti di petrolio e gas in Italia. Il beneficio principale riguarda la possibilità di mettere al servizio della riduzione dell’enorme debito pubblico i proventi derivanti, via royalty, da una maggiore estrazione di idrocarburi. Il debito è oltre i 2 trilioni di euro, con un costo annuo per interessi tra i 60 e 80 miliardi che pesano sul bilancio dello Stato impedendo detassazioni stimolative, investimenti pubblici modernizzanti, una maggiore sostegno alla popolazione povera, istruzione d’eccellenza per tutti e più risorse alla ricerca di base in un’economia globale sempre più trainata, e selezionata, dalla conoscenza. Le riserve minerarie appaiono molto superiori a quelle stimate finora. Pertanto in prima ipotesi valuto che almeno la metà del debito sovrano, circa mille miliardi, possa essere abbattuta in 20 anni grazie a questi proventi. Fosse anche di meno, poniamo 500 miliardi, il debito scenderebbe sotto il 100% del Pil riducendone i costi di rifinanziamento per minore rischio di insolvenza e la spesa minore per interessi sarebbe tra i 20 e i 25 miliardi all’anno. Inoltre, siglando contratti di concessione con una varietà di società petrolifere, usando questi contratti come valore e rendimento sottostante di obbligazioni, si potrebbero usare subito le obbligazioni stesse (a 15-20 anni) per pagare parte dei titoli di debito che giungono a maturazione, riducendo la massa da rifinanziare con cassa e, conseguentemente, il volume assoluto del debito. Si potrebbe, cioè, anticipare la riduzione del debito con sollievo immediato, quando possibili le prime emissioni dei nuovi petrobond. Un altro beneficio riguarda lo sviluppo di un’industria estrattiva con tecnologie di ultima generazione, e con una durata probabile attorno ai 40 anni prima dell’esaurimento, e relativo indotto in territori depressi. L’area dei giacimenti appare come una “S” che attraversa la valle padana, continua nell’adriatico, per poi rientrare sulla terraferma nella Basilicata e dintorni per poi proseguire verso sud interessando parte dello Ionio fino alla Sicilia, e oltre. Appare evidente che un sistema estrattivo nel Meridione possa aiutare sostanzialmente l’economia dell’area. Ci sono altri benefici: sul piano della bilancia commerciale, su quello della rilevanza geopolitica per lo status di maggiore paese produttore in Europa, ecc. Sul piano dei costi vanno analizzati il rischio ambientale e di de-valorizzazione turistica di alcuni territori. Il primo è minimizzabile dalla tecnologia. L’obbligo di standard supersicuri potrebbe aumentare i costi estrattivi e ridurre le royalty richieste alle società concessionarie per mantenere un conto economico attraente, ma è un costo necessario per evitarne altri, comunque sostenibile. La de-valorizzazione turistica potrà essere azzerata grazie a tecnologie con basso impatto visivo e ciclo chiuso. Francamente, non vedo problemi tecnici, se non quello del rapporto tra costo di estrazione e prezzo del petrolio e del gas: ma è certo che nel futuro tornerà elevato. Vedo, invece, un enorme problema politico/istituzionale: non è possibile assicurare la qualità della nuova industria estrattiva se questa resta troppo condizionata dalla politica locale, Regioni e Comuni, con alta probabilità d’inefficienze e dequalificazioni. Quindi il punto di tutto il progetto per espandere l’industria estrattiva in un’Italia che galleggia su un mare d’idrocarburi, dipende dal portare sotto la gestione centralizzata dello Stato la regolazione e il controllo degli insediamenti estrattivi ed il ciclo logistico derivato. Ciò non vuol dire che le località non avranno benefici: li avranno in varie forme, ma decise in trattativa con il governo centrale e non in base ad un potere autorizzativo proprio. Immagino le urla scandalizzate degli anticentralisti. Ma da pro-federalista devo amaramente riconoscere che le autonomie locali in Italia sono fallite perché la loro gestione, pur con eccezioni, è per lo più arretrata e dissipativa. In particolare, proprio l’ipotesi che le risorse minerarie possano essere usate per ridurre il debito pubblico via loro finanziarizzazione implica una gestione diretta statale che fornisca le necessarie garanzie sul piano degli standard di sicurezza, di stabilità delle operazioni e dei contratti di sfruttamento. A queste condizioni i benefici saranno immensamente superiori ai costi e ai rischi, approfondiamo.