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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1998-11-4L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

1998-11-4

4/11/1998

L'immigrazione porta ricchezza

Capitale umano. L'immigrazione, in generale, va vista come una grande risorsa economica. Per due motivi principali. Primo, l'immigrato proviene da situazioni negative ed é carico di volontà di riscatto. Ciò significa aver voglia di lavorare, di diventare benestante, di fare tutti i sacrifici necessari allo scopo di ottenere una vita migliore. L'immigrato va visto positivamente proprio per il suo potenziale di attivismo economico. Secondo, questo fatto é esaltato dal fatto che chi migra, mediamente, ha qualità umane "forti": coraggio, spirito di intraprendenza, tenacia. Non é facile, infatti, fare i bagagli, lasciare tutto quello che si conosce ed andare verso l'ignoto. Certo, lo stato di necessità - o l'imitazione del vicino - forza allo spostamento anche gli individui meno dotati di queste capacità. Ma i dati storici mostrano la prevalenza di un'alta qualità media degli emeigranti, per lo meno sul piano dell'attivismo. Per questo, una comunità ricevente dovrebbe vedere l'immigrazione come un vantaggio. Appunto, in teoria, una risorsa.

Capitale morale residente. In pratica, la realizzazione del valore potenziale contenuto nel popolo migrante dipende dalle qualità morali - politica, organizzazione e cultura- della comunità ricevente. Per esempio, l'immigrato esibisce il massimo di potenziale economico se viene assimilato dalla cultura ospite. Prende la lingua del nuovo Paese e la insegna ai propri figli, impara presto a muoversi entro le nuove regole, diventa di fatto un nuovo "cittadino" migliorando la struttura demografica ed economica della nazione ricevente apportandovi forze giovani e nuovo attivismo (nonché maggiore varietà bio-culturale). Ma l'assimilazione non é un fatto automatico. Anzi, é una condizione molto difficile ad ottenersi. Ci vogliono strutture educative ed istituzioni molto efficienti, un tipo di economia aperta alle opportunità e senza troppi vincoli protezionisti, una cultura de-etnicizzata e non eccessivamente conservatrice, tolleranza religiosa e tantissime altre cose che permettono la ri-cittadinazione veloce dell'emigrante. Tutti insieme, questi fattori costituiscono il "capitale morale" di una nazione, cioé la qualità del tipo di società valutata in relazione alla miglior combinazione tra livello di ordine, quantità di opportunità economiche disponibili agli individui ed apertura culturale della popolazione residente. Gli Stati Uniti forniscono l'esempio migliore di "società ricevente" in base a questi criteri. Il primato mondiale di questa nazione é proprio basato sul fatto di essere da secoli aperta a sempre nuove iniezioni di capitale umano d'alta qualità e di averlo saputo assimilare alla cultura anglofona e relativi valori. Ma proprio un esame approfondito del miglior caso al mondo mostra come la società aperta sia sempre esposta a rischi di instabilità. Il successo degli emigranti spinge sempre più immigrazione fino al punto di costringere a limitazioni di entrata per non sovraccaricare il sistema. Le concentrazioni etniche di lingua e cultura diversa tendono a creare delle ghettizzazioni e il rischio futuro di frammentazioni nazionali (si pensi alle comunità ispaniche e cinesi). Questo, frettolosamente, per dire che non é certo facile mantenere stabile un modello di società aperta e, quindi, usare al meglio il potenziale del capitale umano immigrante. Tuttavia, non é impossibile, riuscendo a rinnovare e potenziare continuamente i fattori che fanno prevalere la forza assimilativa sulla tendenza degli immigrati a costituirsi in comunità speciali dentro quella generale della società ricevente e, se ciò accade, a generare patologie sociali e relativo degrado. E non é impossibile regolare i flussi migratori in entrata. E questa possibilità positiuva individuata in almeno un caso reale appare una grande opportunità strategica che l'Italia dovrebbe considerare molto seriamente.

Il nostro Paese é in accelerato declino demografico. Andando avanti così, la popolazione sarà dimezzata in pochi decenni, oltre che invecchiata, l'Italiano lingua fossile. Il benessere, inoltre, pur raggiunto solo in parte, sta già diseducando la popolazione italiana al rischio ed all'attivismo economico. In generale, il Paese sta perdendo vitalità sia economica che culturale. Non si vede altra possibilità di ripristanarla se non aprendolo all'immigrazione. Nuove famiglie di emigranti vorranno più case ed il mercato immobiliare si riprenderà facendo da volano all'economia interna. Più padri poveri che trovano un'opportunità di ricchezza faranno più figli e ciò darà nuovo impulso all'economia generale. Va poi detto che gli altri europei sono bloccati su un modello di società chiusa all'immigrazione. Se l'Italia si aprisse assumerebbe un potenziale competitivo enorme nei loro confronti sul piano economico. Non solo. Anche sul piano morale. Un Paese "aperto" che offre opportunità di ricchezza a chi le cerca indipendentemente da etnia o religione é il miglior marketing che si può fare per competere nel mercato globale. Si chiama "gestione simbolica" e serve a dotare di valore aggiunto valoriale un prodotto o una strategia di attrazione territoriale del capitale. Capitale morale chiama capitale monetario.

In sintesi, aprirsi all'immigrazione sarebbe un grande affare per gli italiani residenti di oggi e per i loro figli. Ma lo Stato dovrebbe cambiare sostanzialmente. Un mercato più libero e meno protetto. Capaci strutture educative e di formazione continua. Maggiori investimenti nelle forze di polizia per reggere il controllo degli immigrati durante la fase di assimilazione. Soprattutto ci vorrebbe l'ambizione a diventare una grande nazione.

Dati. Quanti immigrati e da dove? La ricetta potrebbe essere la seguente. In dieci anni dovremmo aumentare di circa 7 milioni di unità - giovani - la popolazione italiana ricorrendo all'immigrazione (quote annuali di permessi residenziali provvisori, cittadinanza dopo tre anni di prova ed un esame finale di lingua e cultura, scheda penale immacolata, espulsione immediata per chi l'ha macchiata). Tale numero é quello che serve per far ripartire il volano demografico ed economico interno dandogli spinta propria per il futuro.

Quale mix etnico sarebbe preferibile? Forse é immorale chiederselo, ma bisogna anche considerare gli aspetti pratici dell rifornimento di capitale umano in base all'utilità e compatibilità assimilativa. Suggerirei 1/3 dalla Cina (forte cultura lavorativa e familistica di base, vantaggio di ottenere un aggancio linguistico e parentale di fatto con quell'enorme mercato nascente), 1/3 dall'est europeo e Russia (popolazione cristiana con già elevata educazione) ed il resto da dove capita. Senza dimenticarsi di importare qualche ingegnere. Tenere queste proporzioni renderebbe equilibrato ed utile l'aumento di varietà etnica e di mobilità sociale ascendente nel Paese.

Comunque questi cenni servono solo a stimolare una discussione e non certa a concluderla. Ma che sia realistica e strategica, per favore, e non polarizzata tra astrazioni pericolosamente pietistiche, da un lato, e ottusamente conservatrici dall'altro.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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