La ripresa c’è, ma sarà messa a rischio, a breve, da una contrazione della domanda globale e, a medio, da un probabile rialzo dei prezzi del petrolio e del denaro. Il governo sembra riposare sugli allori della ripresina corrente, rimuovendo dalle sue attenzioni i rischi che abbiamo di fronte nel 2016 e, soprattutto, nel 2017-18. Finora la ripresa in Italia è stata favorita dalla politica monetaria della Bce e dal temporaneo calo dei prezzi del petrolio. Il programma Bce di acquisto dei debiti eurodenominati (PSPP) ha fatto calare il valore di cambio dell’euro, favorendo l’export e l’importazione di turismo e investimenti da aree non-euro, e ha creato una garanzia di fatto sul debito italiano, riducendone i costi di servizio (interessi) e di rifinanziamento, facendo risparmiare miliardi allo Stato. Inoltre, l’iniezione massiva di liquidità a costo quasi zero nell’Eurozona ha permesso un miglioramento dell’offerta di credito da parte del sistema bancario, pur ancora non riparato. Il calo dei prezzi energetici, in particolare, ha indotto una deflazione apparente che ha permesso alla Bce di aprire i cordoni della borsa e di produrre uno stimolo forte sulla ripresa italiana, senza violare i limiti restrittivi del suo statuto. Ma ciò avrà termine quando i prezzi energetici risaliranno. La strategia saudita di tenere più alta della domanda l’offerta di petrolio per ridurne il prezzo allo scopo di disincentivare i futuri investimenti di nuove risorse e distruggere quelli in atto, per poi rialzare il prezzo stesso grazie a una nuova scarsità, sta funzionando. Calcolando lo smaltimento dell’eccesso di offerta attuale, i prezzi dovrebbero risalire nel 2017, iniziando il movimento già nel 2016 e spingendo l’indice di inflazione oltre il 2% anche se quella al netto dell’energia, ora verso l’1%, restasse bassa. Pertanto è improbabile che l’allentamento monetario duri oltre il 2017, con un metodo che anche garantisce il debito italiano. Prima di allora, il rialzo del costo del denaro in dollari, o a dicembre o a metà del 2016, impatterà sull’Eurozona con l’effetto di una richiesta di rendimenti più alti per i titoli di debito. Da un lato, Draghi cercherà di tenere isolata l’Eurozona da un movimento che alza i costi del debito. Dall’altro, non sarà facile, come ha fatto capire nel suo recente intervento a Lima. Questo possibile evento, combinato con la fine del programma PSPP, lascerà nuovamente il debito italiano senza garante ed esposto a maggiori costi e a rischi percepiti d’insolvenza se la crescita reale restasse bassa come ora: forse non come nel 2011, ma quasi. Il punto: la crescita promette di restare insufficiente perché al calo della domanda globale ora in atto per la crisi degli emergenti, cosa che fa prevedere un po’ meno export, non corrisponde una crescita del mercato interno abbastanza forte nel 2016-17. Scenario 2017-18: la ripresa insufficiente combinata con la fine delle condizioni favorevoli esterne aumenterebbe i dubbi sul debito italiano e questi, oltre a destabilizzare il bilancio statale, interromperebbero poi la ripresa stessa. Pericolo evitabile con alcune azioni forti da impostare subito: (a) operazione patrimonio pubblico contro debito per portarlo nel 2018-20 vicino al 100% del Pil, dal 133% di oggi, considerando che il piano in atto è di portarlo al 121% nel 2020, riduzione del tutto insufficiente; (b) andare più vicini al pareggio di bilancio annuale per non aumentare il debito e dimostrare disciplina; (c) tagliare più spesa pubblica per dare spazio di bilancio alla detassazione; (d) riallocare più spesa pubblica per investimenti infrastrutturali e meno per finanziare impieghi improduttivi; (e) riparare il sistema bancario via smaltimento più veloce dei crediti deteriorati; (f) spingere a livello Ue il trattato che istituisce il mercato integrato euroamericano (Ttip) allo scopo di dare, e far scontare al mercato, un futuro di maggiore crescita all’export italiano altrimenti considerato a rischio per la prolungata turbolenza globale. Il governo sta lavorando sulla (e), troppo poco sulla (b), (c) e (d), al riguardo della (a) vende qualcosa senza voler praticare metodi di finanziarizzazione che permetterebbero operazioni sintetiche di grande volume e rapide, sostiene la (f), ma senza vera pressione. Sono azioni complesse, me ne rendo conto, ma il governo e la troppo poco incalzante politica di opposizione dovrebbero capire che senza queste, o simili, iniziative il rischio si attualizzerà.