Il G20 è un forum e non un vero organo di governo globale. Ma nelle contingenze il G20 in Turchia ha rilevanza per la convergenza tra i governi e le Banche centrali dei principali sistemi economici del pianeta su un punto essenziale per evitare il collasso del mercato globale: limitare il ricorso delle nazioni alla svalutazione come mezzo di compensazione di una crisi interna. Il problema è che la domanda globale è in contrazione perché la locomotiva cinese è grippata, quella europea è ferma e solo quella americana tira, ma con forza insufficiente. Per solo descrivere la tendenza ora in atto verso una crisi globale ci vorrebbe tutto lo spazio di questo articolo, ma problema e soluzione possono essere facilmente sintetizzati. C’è una tendenza alla crisi dell’export; la quasi totalità delle nazioni dipende più dalle esportazioni che dai consumi e investimenti interni; nessuna di queste, in particolare le economie emergenti e la stessa Cina che lo sta tentando, potrà riuscire a convertire in tempi brevi il modello economico per renderlo meno dipendente dall’export stesso. Pertanto ogni nazione è tentata dal protezionismo, di cui la svalutazione competitiva della moneta per tentare di mantenere elevate le esportazioni è il primo passo. Se il mondo chiudesse i confini al commercio internazionale, la depressione globale sarebbe certa, come successo negli anni ’30. Pertanto va subito detto che almeno l’impegno nominalistico a non svalutare, e quindi a non avviare processi protezionistici, in questa contingenza è una leva stabilizzante vitale. E i governi del G20 stanno prendendo tale impegno. Ma il suo rispetto reale nel prossimo futuro dipenderà dalla possibilità o meno di mantenere sostenuta la domanda globale per permettere alle nazioni che non riescono, appunto, a cambiare modello economico possano contare su un ragionevole contributo dell’export al loro Pil ed evitare catastrofiche implosioni interne che poi, per l’interdipendenza globale delle economie, innescherebbero processi degenerativi non più controllabili a livello mondiale. Gli scenari che stanno circolando in materia sono terrificanti. Da un lato, non c’è ancora motivo per fasciarsi la testa. Dall’altro, ci sono motivi per cambiare qualcosa di sostanziale perché senza un nuovo fattore di traino l’economia mondiale, in effetti, è orientata verso un rischio crescente di problemi che eccedono le capacità di risolverli. Cosa dovrebbe cambiare? Secondo me, e il mio gruppo di ricerca, la soluzione è in teoria molto semplice. La causa del problema è il grippaggio della locomotiva cinese. Quindi si tratta di riparare più velocemente quella europea, scontando che l’americana continui a tirare anche se un po’ di meno. Semplificando, la domanda globale potrà essere ripristinata e mantenuta con il traino di queste due locomotive, considerando che una maggiore capacità di assorbire export asiatico da parte dell’Europa sarebbe un fattore importante per tenere sui binari i sistemi economici di quell’area, Cina e Giappone in particolare, facendoli tornare locomotive ausiliarie per il resto del mondo che esporta materie prime, raddrizzandolo. Immagino la critica: in teoria ha senso, ma in pratica non è pensabile che le nazioni europee facciano politiche di stimolazione economica capaci di aumentare la crescita nell’Eurozona a un punto tale da renderla co-locomotiva mondiale. Corretto, ma se non pensiamo e agiamo così non c’è altra locomotiva possibile nel pianeta. Inoltre, l’Eurozona, in particolare Germania e Italia, vivono di export. Per continuarlo a fare devono dare un contributo maggiore al ciclo globale dell’export stesso. Possibile? Pur restando pessimisti sulle capacità di riforma interna degli eurogoverni, possiamo sperare in due leve di crescita futura: (1) la politica monetaria espansiva della Bce che ha recentemente confermato questa posizione; (2) la formazione di un mercato integrato euroamericano (TTIP) i cui negoziati ora sono in corso e che promette di aumentare la crescita sia in Europa sia in America nell’orizzonte del prossimo decennio, con impatto positivo immediato al solo annuncio che il trattato si farà. In conclusione, la salvezza del globo e di tutte le nazioni collegate dall’interdipendenza economica dipende dalla costruzione di una locomotiva euroamericana che avrebbe un traino del convoglio mondiale sufficiente nonostante la lentezza riformatrice degli europei. Funzionerebbe, acceleriamo il TTIP e preghiamo che Draghi resti in buona salute.