Lo scenario globale 2015 mostra crescenti focolai di instabilità. La ripresa dell’economia italiana è quasi totalmente dipendente da fattori esterni poiché mancano stimolazioni interne. Ciò impone una nuova strategia di politica estera. Il rischio più grave riguarda il ritorno di una crisi di sfiducia sul debito italiano che ne aumenterebbe i costi di rifinanziamento fino a livelli di insostenibilità e destabilizzerebbe il sistema bancario: la ricaduta in recessione sarebbe certa e catastrofica. I motivi per cui tale scenario potrebbe attualizzarsi sono numerosi: contagio di una non escludibile nuova insolvenza della Grecia, insolvenze di nazioni emergenti che si sono indebitate in dollari quando era previsto restare basso ed ora hanno problemi poiché in rialzo, incapacità del governo italiano di stimolare un livello di crescita che permetta la sostenibilità dell’enorme debito stesso. La buona notizia è che la Bce, ben consapevole del problema, ha annunciato la disponibilità a comprare debito delle euronazioni, pur non chiaro ancora il modo aderente ai trattati che impediscono o limitano tale azione, così di fatto ergendosi a garante di ultima istanza, indiretto, del debito anche italiano. Ha dovuto fare così perché, come già colto e risolto nel 2012, una crisi incontenibile del debito italiano implicherebbe lo scioglimento dell’euro. Ma la brutta notizia è che per ridurre gli ostacoli, principalmente tedeschi, a questa funzione di garanzia, l’Italia deve dimostrare capacità di rigore a scapito delle politiche stimolative del mercato interno. Il punto: non vi piacerà, ma l’Italia non ha alternative e deve mostrare di potersi dare più ordine della Germania stessa, smettendo la sua politica lamentosa o di coltivare suggestioni populiste, per poter trattare con Berlino alla pari allo scopo di ottenere un euromodello più adeguato. Proprio per questo, nel breve termine, l’attenzione deve rivolgersi alla quantità e durata della svalutazione competitiva, unica leva di crescita. Gli analisti prevedono due anni circa di euro basso. Ma dubito che la Fed accetti di lasciar alzare di tanto il dollaro, sia per il problema di indebitamento delle nazioni dette sopra sia per mantenere in tiro la crescita statunitense. D’altra parte la Fed deve ridurre la liquidità globale in dollari per evitare bolle finanziarie ed ha bisogno che la Bce aumenti, a compensazione, quella in euro con lo scopo di mantenere in pressione la “pompa di capitale” che mantiene artificialmente alte le Borse, priorità assoluta per tutto il mondo in quanto la strategia di ripresa della domanda globale, ancora bassina (3,2%), si basa sul traino dell’economia reale, ferita gravemente nel 2008, da parte della finanza. C’è aria di compromesso e ciò è una buona notizia perché mostra che esiste un pilastro euro-dollaro nel sistema mondiale e, per l’Italia, che ci sarà un mercato dove esportare con ragionevole competitività valutaria e capitale abbondante da poter importare. Ma, attenzione, nello scenario si osserva una possibile divisione in due settori del mercato globale: stabile la parte delle democrazie mature, ad instabilità crescente quella emergente: Cina, Russia, nazioni minerarie e quelle con regime autoritario appaiono proiettate verso crisi sistemiche. Tale situazione non implica per l’Italia l’abbandono di una strategia di capacità commerciale globale, ma impone la priorità di collocare il business italiano più saldamente nella parte stabile e sicura del mercato mondiale: (1) prima di tutto spingere, e l’Italia può essere influente, la chiusura del trattato di mercato integrato tra Ue e Stati Uniti (TTIP) considerando che tale evento costringerebbe le gestioni di dollaro ed euro a meglio convergere, fattore fondamentale della stabilità finanziaria mondiale; (2) spingere per la connessione tra nuovo mercato delle democrazie atlantico e quello asiatico in formazione (TTP) per unirli in un unico sistema; (3) riscoprire l’Italia come protagonista europea che pressi la Ue affinché renda più fluido l’euromercato. In conclusione, il mondo sta andando in una direzione che rende necessario per l’Italia, come priorità di politica estera e di stile gestionale interno, favorire la compattazione della parte occidentale ed occidentalizzata e di trovare in essa una posizione primaria. Fine dell’illusione globalista di un mondo pacifico e stabile dovunque? No, fine dell’illusione che il mercato globale possa restare stabile senza un nuovo potere occidentale, riorganizzato e ricompattato, che lo tenga in ordine.