La vittoria dei repubblicani che hanno conquistato la maggioranza nel Congresso ha un rilievo particolare per l’Italia: potrebbe favorire il trattato per la formazione di un mercato euroamericano (TTIP) ora in una difficile e stanca fase di negoziato. L’Italia avrà il massimo vantaggio economico comparativo dall’entrata in vigore del TTIP per la maggiore densità di piccole imprese che verrebbero favorite da un accesso più fluido al mercato statunitense. Ciò rende il TTIP la più realistica, e non remota, opportunità per l’Italia di uscire da 20 anni di crescita zero, considerando che le riforme di efficienza interna sono molto contrastate e che l’ambiente europeo non è incline a politiche espansive. In sintesi, la salvezza dell’Italia dipende dall’esterno, cioè da un’integrazione tra mercati europeo ed americano che dinamizzi ed incrementi il volume complessivo degli affari nonostante la persistenza di inefficienze sistemiche. Il punto: è parere di molti analisti, di cui ho trovato conferma in telefonate con alcuni amici eletti e neo-eletti repubblicani, che l’accelerazione del TTIP sul lato statunitense sarà una delle poche forme possibili di collaborazione tra la devastata Amministrazione Obama (in carica fino al gennaio 2017) ed un Congresso a maggioranza repubblicana. Obama vuole finire il suo mandato con qualcosa di storico e positivo. Finora le sue azioni riportabili nella storia hanno lasciato solo un segno negativo per l’Occidente e per l’America stessa. L’unica azione positiva che gli resta nel suo mandato è quella di indurre l’evento epocale di unire America ed Europa, avviandone la convergenza verso un mercato unico. Obama lo propose nel febbraio 2013. Ma lo fece poco convinto. Meglio dire che era stato convinto da chi mostrava che la futura speranza di crescita americana dipendeva dalla formazione di un mercato integrato delle democrazie, ma gli interessava di più l’accordo di libero scambio con quelle asiatiche (TTP). Qualcuno gli raccomandò di non ripetere l’errore del 2009 quando dichiarò unilateralmente la fine del G7, cioè dell’alleanza sistemica con gli europei, rischiando di abbandonare l’Europa alla Cina e/o alle suggestioni neutraliste della Germania e/o a quelle euroasiatiche coltivate nella relazione bilaterale riservata tra Berlino e Mosca e sostenute da Pechino. Così nel luglio 2013 iniziò la trattativa per un mercato comune atlantico. La trattativa è tra Commissione Ue, a cui le euronazioni hanno delegato la parte tecnica dei negoziati di libero scambio, e Dipartimento del Commercio estero statunitense. Finora hanno fatto un buon lavoro preparatorio. Ma sul lato americano manca un fattore fondamentale: semplificando, una misura legislativa-tecnica che renda meno incerta l’approvazione finale del trattato da parte del Congresso e quindi più credibili i passi della trattativa. La sensazione è che ora il Congresso a maggioranza repubblicana potrebbe approvare tale misura che finora la maggioranza democratica al Senato non ha voluto prendere in considerazione. Va detto che i repubblicani sono influenzati da correnti protezioniste tanto quanto i democratici, ma un po’ di meno. In particolare, le ultime elezioni hanno favorito una leadership repubblicana più nettamente favorevole al mercato aperto. Questa situazione, se confermata, potrebbe portare ad una collaborazione selettiva tra Casa Bianca e Congresso che darebbe nuovo impulso al TTIP. Il negoziato è contrastato da una miriade di gruppi di interesse sia europei sia statunitensi, i più rilevanti quelli che temono l’aumento della concorrenza nei rispettivi settori. Ma non è questo un problema insormontabile: il trattato può essere calibrato, escludendo i settori più sensibili, nonché gradualizzato nell’applicazione, così riducendo i dissensi. Il problema principale è la mancanza di volontà politica sufficiente sui due lati dell’Atlantico. La notizia è che l’America, adesso, potrebbe spingere di più. Ciò rende realistico pressare la Ue affinché spinga anch’essa, Italia e Regno Unito le più interessate a smuoverla. Potrebbero Roma e Londra, la Francia divergente, ma la Germania non ostile, promuovere una cooperazione rafforzata entro la Ue per pilotare con più velocità e pragmatismo i negoziati TTIP? Renzi aveva messo in priorità nella sua agenda di presidenza della Ue questo tema: ora gli va ricordato. E gli va segnalato che potrebbe finire un semestre irrilevante con un colpo d’ala: almeno tenti una cosa seria fatta sul serio per l’interesse nazionale, occidentale ed europeo.