La ripresa del credito è la leva principale per dare impulso immediato alla crescita economica. L’aspettativa era ed è che il programma Tltro della Bce sia un motore per tale ripresa settoriale. Ma i primi dati a seguito della sua attivazione sono deludenti. Inoltre, la più autorevole fonte di previsioni in materia che è la Banca d’Italia, con le parole del suo Governatore, ha ipotizzato che alla fine dei quattro anni previsti per il Tltro, il contributo incrementale complessivo di questa specifica stimolazione alla crescita del Pil dovrebbe essere attorno allo 0,5%: quasi niente. Flop? L’Italia non dovrebbe buttar via l’opportunità di utilizzare meglio, presto e di più, le risorse rese disponibili dalla Bce. Per questo mi sono posto, aiutato dal mio generoso team di ricerca, il problema di quali condizioni amplificherebbero rapidamente l’effetto Tltro per l’Italia. Abbiamo trovato due soluzioni. Prima di specificarle è utile ricordare cosa sia il Tltro e quali i problemi che ne fanno temere un effetto insufficiente. Semplificando, Il programma mette a disposizione delle banche commerciali dell’Eurozona fino a mille miliardi in 4 anni a condizioni agevolate alla condizione che questi vengano impiegati per crediti ad imprese e famiglie. In relazione al passato, la mancanza di credito in Italia è misurabile attorno ai 60 miliardi. Ma i dati mostrano che famiglie ed imprese non stanno chiedendo credito. Infatti le banche italiane hanno chiesto molto meno di quanto avrebbero potuto nella prima asta del Tltro perché hanno già sufficiente liquidità per coprire la domanda. In realtà, c’è un enorme domanda insoddisfatta e nascosta da parte di imprese che non hanno un merito di credito sufficiente secondo i requisiti imposti dalla vigilanza bancaria agli istituti. Una prima stima ipotizza almeno 12mila imprese colpite dalla recessione, ma ancora vive e con capacità di mercato, di cui molte con alta propensione all’investimento, ma con bilanci compromessi che le portano ad avere un rating bancario insufficiente. In effetti, secondo le norme, le banche o non possono prestare soldi a queste imprese oppure, se lo facessero, dovrebbero congelare troppo capitale a copertura del rischio. In sintesi, Il Tltro rende disponibili i denari, ma le banche non possono prestarli a chi li chiede. Cosa manca? Una garanzia straordinaria e temporanea che copra almeno il 50% (meglio il 70%) del rischio per una banca che presta soldi ad un’impresa con basso merito di credito. Si potrebbe fare? Certamente e facilmente: un fondo statale di garanzia speciale, quinquennale, dedicato a garantire prestiti bancari ad imprese con basso rating. Quanto servirebbe? Almeno 20 miliardi, considerando che si tratta di garanzie e non di spesa, e calcolando un tasso di insolvenza probabile a 5 anni del 10%. In sintesi, mettendo a rischio 2 miliardi si potrebbero rimettere in crescita migliaia di imprese, utilizzando più risorse del Tltro (direttamente o indirettamente). Ma un effetto stimolativo a breve perfino più robusto sarebbe generato dal Tltro se questo permettesse di finanziare i mutui casa. Ora non è previsto perché in alcune aree dell’Eurozona c’è un rischio di bolla immobiliare. Comprensibile. Ma in Italia tale rischio è assente e, perfino, è osservabile una svalutazione catastrofica dei valori immobiliari. Far ripartire il mercato dei mutui, per le conseguenze di reflazione indotta, darebbe un impulso formidabile, subito, alla crescita. Probabilmente in questo caso servirebbe un altro fondo di garanzia attorno ai 10 miliardi. In sostanza, una variazione del Tltro solo per l’Italia permetterebbe di immettere almeno 150 miliardi, a fronte di 30 miliardi complessivi di garanzia statale, nel nostro sistema con un’attesa di contributo annualizzato alla crescita del Pil di 1,5% nel 2015, 3% nel 2016 e 2,5% nel 2017. Forse sbaglio, ma è improbabile che l’errore sia eccessivo. Quindi raccomando al governo di studiare e chiedere una variazione nazionale del Ltro, su due punti: (a) permettere i prestiti alle famiglie per mutui casa; (b) permettere prestiti bancari ad imprese con garanzia collaterale statale al 50 o 70%. Ma sarebbe possibile, nell’Eurozona, la variazione nazionale di un programma Bce? Per la Spagna fu attivato un programma speciale, nei mesi scorsi apparve nei linguaggi europei quello dei “contratti nazionali” specifici. Se fosse negata, allora la risposta dovrebbe essere quella di rivedere in sede Ue lo schema di cessione di sovranità nazionale ad un agente europeo, affermando il principio di bilanciamento delle cessioni di sovranità economica: una nazione che la cede ha il diritto di averne indietro una parte in forma di variazione nazionale, concordata, di un programma paneuropeo. Per chi è interessato, tale principio fu dettagliato nel mio libro, con Paolo Savona, “Sovranità & ricchezza” (Sperling, 2001). Ma il punto è semplice: in Europa le nazioni sono diverse e richiedono varianti nazionali dei programmi europei. Chiediamolo.