Gli elettorati di Francia e Regno Unito hanno dato un segnale di rifiuto dell’Europa germanizzata. Ciò pone a Berlino, che ha interesse a restare la potenza maggiore in una regione economica integrata, tre problemi: (a) trattenere Londra entro l’Unione europea, considerando che c’è un referendum locale in materia all’orizzonte; (b) mantenere nell’euro una Parigi il cui governo è sempre più pressato dall’impoverimento di massa nonché dalla percezione diffusa di una umiliante sudditanza alla Germania; (c) trovare soluzioni compatibili con il consenso interno tedesco incrociate con la soddisfazione di quelli sia francese sia inglese. Ma è anche interesse nazionale italiano che l’Europa non si frammenti. Qual è la miglior strategia per l’Italia, la cui presidenza della Ue nel secondo semestre sarà insolitamente rilevante proprio per questi problemi? Londra, per accettare la permanenza nella Ue, deve mostrare all’elettorato che Bruxelles sarà meno invasiva e che, soprattutto, l’area europea si configurerà come un’area di libero scambio coordinata da un centro europeo con poteri solo minimi e garante dell’accesso inglese al mercato continentale. Tale configurazione farebbe pensare gli elettori in termini pragmatici: la partecipazione alla Ue assicura buon business senza richiedere cessioni di sovranità. Da un lato, tale idea andrebbe bene anche all’elettorato tedesco che vuole una Germania capace di vendere dappertutto, ma senza condizionamenti esterni. Dall’altro, l’Eurozona (18 nazioni) entro la Ue (28 nazioni) richiede una governance molto strutturata per i requisiti di moneta unica. Comunque la cosa è risolvibile creando un protocollo tra nazioni Ue euro e non-euro che bilanci meglio le relazioni tra le due aree, anche eventualmente nominando un inglese a capo della Commissione europea per dare un segnale inclusivo. Meno facile è il combinare gli interessi strategici inglese e tedesco. Il primo ha la priorità di unire America ed Europa e di rendere attivistica tale alleanza. Il secondo, invece, è neutralista-passivista, basato sulla postura mercantilistica di Berlino che, per vendere in tutto il mondo, non vuole far parte di alcun blocco, restando neutrale tra quelli americano, cinese e russo. Ma anche questo punto, molto delicato per il negoziato TTIP (mercato euroamericano) in corso, potrebbe essere risolto in quanto la Germania non può rischiare di divergere troppo dall’America. In sintesi, se vista solo in termini bilaterali anglo-tedeschi, c’è una possibilità di compromesso: Europa atlantica, ma con uno spazio per accordi economici sia con Russia sia con Cina. Andrebbe bene a tutti, a parte i protezionisti che sono minoranza in ogni nazione europea, ma non alla Francia dove il protezionismo mostra di poter essere maggioranza. In questo scenario Berlino dovrebbe concedere a Parigi un vantaggio tale da farle accettare sia il modello di mercato aperto, con protezionismi solo selettivi, sia la continuazione della partecipazione all’euro. Poiché la Francia non può cambiare modello statalista, l’unico modo è quello di lasciarle fare più deficit affinché compri più consenso con più denaro pubblico. Come? Cambiare i trattati in materia comporterebbe una ribellione dell’elettorato tedesco. Ma lasciar collocare fuori dal calcolo degli europarametri le spese in deficit per investimento, oltre che economicamente corretto se gli investimenti fossero tali e non spesa generica, darebbe risorse adeguate senza bisogno di cambiare i trattati. Potrebbe funzionare? Il concetto probabilmente sì, ma se verrà sostenuto dalla sola Germania potrebbe avere problemi o di poca incisività o di rigetto. Qui entra in gioco Roma: sufficientemente atlantica per convergere con l’interesse inglese, con lo stesso problema della Francia per sostenere il pompaggio immediato di qualche soldo nel mercato interno, con il medesimo interesse mercantilista, poiché seconda potenza esportatrice europea, della Germania, nonché per il fatto di essere la nazione più privilegiata dall’accordo TTIP tra Ue edAmerica se realizzato, potrà affiancare/stimolare Berlino per tenere insieme i cocci di un’Europa in via di ri-nazionalizzazione. Renzi sia machiavellico. Nel frattempo, entro un anno o due, si crei un nuovo partito popolare italiano potenzialmente maggioritario, ricompattando il centrodestra, capace nel futuro di condizionare quello europeo e di consolidare questa linea strategica: meno di un’Unione, ma più di un’alleanza, mercato aperto e transatlantico (dettagli nel mio “Europa oltre”, Angeli, 2013).