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Carlo Pelanda: 2013-9-22Libero

2013-9-22

22/9/2013

Un pessimo segnale

Le previsioni di andamento dell’economia italiana da poco comunicate dal governo appaiono viziate da problemi di credibilità e di consistenza. Premetto che non voglio criticare per massacrare un avversario, cosa che per me questo governo non è, ma per stimolare sia una revisione più corretta dei calcoli sia – questo il punto - una politica economica più incisiva. Il governo ha annunciato che ritiene probabile una crescita del Pil 2014 dell’1% a partire da un decrescita dell’1,7% nel 2013. Il mio gruppo di ricerca ritiene possibile tale risultato, ma non probabile se le azioni espansive citate dal governo resteranno solo quelle dette. L’economia “entrerà lenta” nel 2014, pur in rimbalzo nell’ultima parte del 2013. Inoltre, la domanda globale mostra un andamento volatile che potrebbe trasformarsi in nuova contrazione temporanea proprio nel 2014, con il rischio di complicazioni dovute sia al riaggiustamento del bilancio pubblico negli Stati Uniti sia all’inevitabile, pur rinviata, modifica in senso più restrittivo della politica monetaria. In sintesi, le condizioni esterne non permettono previsioni troppo ottimiste di traino esterno della crescita italiana. Quindi, semplificando, per raggiungere una crescita attorno all’1% bisognerebbe caricare lo stimolo interno con molti più miliardi di quelli annunciati dal governo. Ma è più importante valutare se l’1% previsto, e di fatto reso (macro)obiettivo 2014 sia sufficiente. Non lo è con evidenza. Al minimo ci vorrebbe un 2% per iniziare ad aggiustare il sistema, con modi che promettano una crescita dal 2,5% al 3% nei tre anni successivi. Il fatto che sia difficile ottenerla non giustifica una comunicazione che rinuncia al tentarlo. Questo, infatti, è un pessimo segnale al mercato: debito che si assesta attorno al 132% del Pil, crescita solo dell’1% e deficit che resta vicino al 3%. La proiezione di tale dato comporta l’aumento della probabilità di insolvenza e quindi dell’incremento del premio di rischio preteso dal mercato per rifinanziare il debito e, conseguentemente, dello spread. In realtà il valore dello spread non è tanto deciso dai comportamenti italiani quanto dalla credibilità della garanzia data, di fatto, dalla Bce. Un problema del 2014, già visibile, è che la Bce difficilmente potrà confermare una garanzia generica, e quindi totale, sul nostro debito. La Germania sta pressando Draghi per ritirare o rendere selettiva/indiretta una tale garanzia. Si arriverà ad un compromesso, ma proprio per questo dobbiamo scontare dal 2014 un “effetto Bce” minore di quello del 2012 – 13. Spero di no, ma il rischio c’è e andrebbe calcolato. Come fa il bravo Saccomanni a prevedere uno spread minimo nel 2016 se è ancora incerta la garanzia futura della Bce sul nostro debito? Aggiungo che dare numeri con problemi di credibilità e consistenza è aggravato dalla mancanza di una politica forte e precisa di taglio della spesa e delle tasse nonché del debito. Se questa ci fosse, infatti, il mercato sarebbe più tranquillo, rendendo meno rilevanti le cose qui sottolineate e criticate. Ma poiché non c’è, la sensazione di inaffidabilità dovuta a proiezioni sospettabili di inconsistenza ed incompletezza toglie, spiace dirlo, credibilità al governo. Da un lato, è comprensibile che una maggioranza fatta di opposti non dia il consenso per tagli di spesa e tasse. Pertanto il povero governo deve barcamenarsi entro vincoli e limiti che impongono, in sostanza, la continuità di un modello che non funziona. Dall’altro, cosa serve a noi italiani un governo, pur fatto di brave e competenti persone, che non può fare alcunché di serio e, perfino, lo comunica al mondo, generando uno sconcerto molto più abrasivo di quanto qui espresso? Provi il governo a fare di più e meglio, forzando i parlamentari ed i partiti a capire l’emergenza in cui si trova la nazione. Se non ci riuscisse, dovrebbe avere l’onestà di dire che senza nuove elezioni che accendano una vera maggioranza, o verso il rilancio o verso il declino finale, la continuità del non fare, segnalata proprio da previsioni incoerenti e controproducenti, comunque affosserà l’Italia.

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