Un anno di crescita solo minima, attorno allo 0,8% del Pil, nel processo d’inversione dell’economia italiana dal periodo di recessione a quello di ripresa non è sorprendente. Tra il 2011 e il 2013, infatti, il corpo dell’economia italiana ha subito amputazioni e la circolazione sanguigna, cioè il credito, è stata ridotta. Inoltre, la Bce ha tardato di circa un anno e mezzo, in riferimento al rischio di deflazione, la decisione di aumentare le quantità di liquidità stimolativa. Ritardo che ha anche causato un cambio decompetitivo che ha compresso l’export proprio nel momento in cui il mercato interno italiano era nel picco di recessione dei consumi, degli investimenti e del credito. L’intensità della devastazione subita dall’Italia dalla seconda metà del 2011 fino agli inizi del 2014, combinata con l’inefficacia reattiva dei governi italiani succedutisi nel periodo, anche peggiorata dall’imposizione di restrizioni da parte dell’eurosistema, spiega la lentezza del rimbalzo economico. Ma sarebbe non giustificabile la continuazione di una ripresa troppo lenta e poca nel triennio 2016-18. La ripresina del 2015 è stata spinta da un ritorno della fiducia definibile come “passivo”: quando chi temeva il peggio ha visto che non si avverava, ha attuato le decisioni di consumo e/o di investimento sospese negli anni precedenti, ma tenendole a livello del minimo necessario. Infatti, il sistema è ancora lontano da un ritorno dell’ottimismo basato sulla convinzione che le cose nel futuro andranno bene: il governo non mostra intenzioni veramente riformatrici in direzione espansiva, per esempio vera detassazione, né capacità di riparazione rapida dei danni subiti nel passato, per esempio quella del sistema bancario che è ancora talmente inabilitato da strozzare la trasmissione dello stimolo monetario all’economia reale, rallentandone l’effetto. Dove il problema peggiore è la rassegnazione del governo stesso a uno scenario di ripresa insufficiente: un ministro dell’Economia che comunica l’accettazione di una crescita del Pil 2016 attorno allo 1,5%, mentre le condizioni esterne e le possibilità interne di politica economica potrebbero sostenere un obiettivo oltre il 3%, è un segnale depressivo per mancanza di audacia politica, inventività e incapacità di modificare le restrizioni europee via negoziati condotti con più forza. In conclusione, manca perfino la competenza per generare una credibile profezia espansiva. Per una ripresa più robusta, possibile nella realtà, bisognerebbe avere una conduzione della politica economica che almeno la voglia, la tenti.