Ripartirà a febbraio il negoziato per il Partenariato transatlantico in materia di commercio e investimenti (TTIP) tra Stati Uniti e Ue che punta alla creazione di un’area di libero scambio con molti elementi di mercato unico, di fatto un sistema euroamericano integrato. Due ostacoli (geo)politici “laterali” che avrebbero potuto rallentarlo sono stati rimossi la settimana scorsa. Il più importante riguardava la disciplina di tutela della privacy in relazione al flusso di dati relativi a soggetti europei gestiti da aziende statunitensi nonché la limitazione di intrusioni per scopi di intelligence, e viceversa. Una nuova bozza di accordo, denominata EU – US Privacy Shield, ha trovato il consenso delle parti ed è probabile una sua finalizzazione rapida. Da un lato, l’accordo è stato spinto dalla priorità di non bloccare il flusso di dati nelle attività correnti di mercato. Dall’altro, l’insolita disponibilità americana a riconoscere formalmente autolimitazioni e principi giuridici di tutela di scuola europea, novità rilevante, oltre che dal lobbying delle grandi aziende del settore, è stata anche influenzata dalla consapevolezza che senza tale accordo sarebbe stato difficile continuare il TTIP. Un altro ostacolo riguardava l’indecisione della Ue nel riconoscere o meno alla Cina lo status di economia di mercato, cosa che avrebbe comportato l’abbattimento di barriere doganali e schemi di compensazione relativi alle importazioni dalla Cina stessa in misura maggiore di quelli concessi dagli Stati Uniti a Pechino. Ciò avrebbe creato un’asimmetria commerciale nei confronti di Pechino tra mercato statunitense, e area di libero scambio amerocentrica del Pacifico (TPP), e mercato europeo che avrebbe reso impossibile la fusione tra loro. Nella Ue la questione cinese è ancora formalmente aperta, ma si è affermato sia in sede intergovernativa sia parlamentare un orientamento contrario al libero accesso delle merci cinesi in Europa senza compensazione della concorrenza in dumping. Tale segnale è importante sul piano geostrategico perché una parte notevole dell’export tedesco dipende dalla Cina in modi che rendono vulnerabile la Germania a ritorsioni. La posizione tedesca, a sostegno di quella italiana che è la più contraria al libero accesso cinese perché nazione eventualmente più danneggiata dalla concorrenza sleale, è un segnale importantissimo che Berlino potrà rivedere la posizione di mercantilismo neutralista e accettare l’inclusione nel futuro mercato globale delle democrazie. Non sarà facile chiudere il TTIP entro il 2016, ma ora può correre più veloce.