24 marzo 2005 Una ricetta per la governance
globale
Non è necessario rivolgersi ai movimenti no-global per
trovare sostenitori dell’idea che il fenomeno della globalizzazione
debba essere governato nell’attuale fase storica. Ne sono convinti
anche due illustri esperti di politica economica come Carlo Pelanda
e Paolo Savona, che nel loro nuovo libro a quattro mani, Sovranità e
fiducia (Sperling Kupfer Editori), ritornano su un tema loro caro,
già in parte affrontato nel precedente Sovranità e ricchezza (2001).
Nodo centrale del dibattito, però, è la verifica di come la
governance globale debba essere strutturata.
Secondo i due economisti le sovranità nazionali non
possono più essere esercitate come in passato, ma devono al più
presto essere adattate sia alle nuove regole e opportunità del
mercato globale, sia ad un’accresciuta coscienza dei propri diritti
acquisita dai popoli del mondo.
La tesi originale proposta in questo libro è quella che
fa della costruzione e della difesa della fiducia l’obiettivo
principale di un’azione politica volta a diffondere e garantire
libertà e benessere sull’intero pianeta, sulla base dell’assunto che
senza ottimismo e stabilità per le nazioni non è possibile produrre
la ricchezza necessaria al cammino di progresso delle civiltà.
Pelanda e Savona, in questo testo, non si limitano a lanciare idee
su come creare un sistema di fiducia attraverso l’offerta di nuove
opportunità e il riconoscimento di garanzie attive al passo con i
tempi, ma esaminano anche i modi per affrontare i pericoli che la
fiducia corre nell’attuale contesto globale a causa dell’incalzare
di notizie drammatiche e non sempre verificate, del loro riflesso
sulla finanza mondiale, della sempre più diffusa percezione di
impotenza di fronte alle minacce alla sicurezza, della blanda azione
dei Paesi democratici e delle istituzioni internazionali sulle
dittature che opprimono ancora la maggior parte degli Stati del
mondo.
Secondo i due autori non basta più, nell’attuale fase
storica, accrescere la volontà di cooperare tra Stati: si impone
come sempre più necessaria l’ispirazione di un disegno politico
comune, rispondente alle necessità dell’intero pianeta, «guidato –
scrivono Pelanda e Savona – da un “nucleo ordinatore” aperto al
contributo di tutti i Paesi che intendono partecipare alla
definizione di standard di comportamento globale innovativi rispetto
a quelli vigenti nell’attuale ordine mondiale basato sugli
Stati-nazione».
I due economisti italiani sostengono che la crisi della
fiducia in un avvenire migliore sia la vera emergenza del tempo
presente. Questa, poi, non sarebbe originata solo da oggettive
minacce sui piani della sicurezza, della stabilità dei sistemi
economici, della sostenibilità ambientale, ma anche dall’incapacità
concettuale, politica e tecnica nel gestire un tale situazione.
All’emergere di un nuovo sistema globale non corrisponderebbe
insomma un’adeguata architettura politica, anche, e forse
soprattutto, per inadeguatezza culturale.
Il testo propone, per costruire e mantenere la fiducia
globale, una convergenza delle nazioni del mondo attraverso la
riorganizzazione dell’esercizio delle sovranità nazionali, sia a
livello interno, sia nelle relazioni tra di loro. Secondo Pelanda e
Savona, proprio la costruzione della fiducia dovrebbe diventare il
nuovo criterio di ordinamento politico ed economico globale. Il
modello di governance che i due autori propongono è ambizioso: non
un impossibile governo centralizzato delle cose mondiali ma nemmeno
il suo contrario, piuttosto un sistema fatto da oltre duecento
Stati-nazione che convergono nella gestione comune dei flussi
globali, mantenendo la loro sovranità, pur rielaborandola per
renderla compatibile con un ordine complessivo. Il bilanciamento tra
esigenze nazionali e globali viene chiamato dai due autori
“sovranità convergente”, dove il ruolo delle istituzioni
internazionali diviene quello di instaurare con ogni nazione una
compatibilità specifica tra sovranità locale e governo globale.
Il modello presentato dagli autori sarebbe però
incompleto se non tenesse conto anche degli sviluppi, spesso
drammatici, che si sono verificati a livello internazionale a
partire dall’11 settembre 2001, dall’implosione della bolla
borsistica e dai ripetuti scandali finanziari. Qui proprio la
fiducia entra in gioco da protagonista. E proprio per questo motivo
Pelanda e Savona sostengono che il tempo dell’inerzia è finito, e
che una nuova spinta di cambiamento deve prendere corpo.
Naturalmente i due economisti non intendono delegittimare il valore
della stabilità inteso come sicurezza, ordine economico,
prevedibilità dei comportamenti e delle situazioni. Sostengono però
che stabilità non può essere confusa con rigidità, pura
conservazione dell’esistente, rinuncia ai miglioramenti: tutti
comportamenti che presuppongono un’ampia dose di sfiducia.
In sintesi, Pelanda e Savona ritengono che la fiducia sia
un bene più importante della stabilità, quando quest’ultima appare
di impedimento alla costruzione della fiducia stessa. È in questo
caso che la destabilizzazione diviene lecita e raccomandabile per
favorire un migliore ordine delle cose.
Quattro sono i punti chiave della proposta dei due
autori. Innanzitutto, la fiducia richiede che gli Stati siano sempre
più intrinsecamente democratici, in base al criterio che solo uno
Stato democratico diviene non-aggressivo e può quindi presentarsi
come un fattore d stabilità. Ciò implica che gli Stati
non-democratici subiscano adeguate pressioni perché modifichino le
proprie strutture interne. La diffusone mondiale della democrazia
porterebbe, secondo gli autori, alla costruzione di una fiducia
globale.
I modelli economici andranno poi orientati non tanto alla
stabilità del sistema, quanto alla creazione della fiducia,
finalizzata a diffondere ricchezza sociale.
Un terzo campo nel quale la fiducia andrà preferita alla
semplice stabilità è quello delle innovazioni tecnologiche. Il
riconoscimento del valore di un progresso continuo è, per Pelanda e
Savona, un decisivo tonico culturale per rendere più dinamica la
società.
Stabilità e fiducia vanno invece di pari passo nella
gestione del sistema finanziario globale. Necessaria alla fiducia è
però una stabilità reale, non solamente nominale e fittizia.
Obiettivo finale di un processo senza dubbio arduo e che
prevede tempi di attuazione non certamente di breve termine è
«l’adattamento delle sovranità nazionali agli standard globali –
scrivono i due economisti - e la creazione di un sistema di fiducia
che renda possibile una convergenza delle volontà nazionali verso la
soluzione delle crescenti emergenze planetarie». Dietro la
riflessione dei due studiosi sembra stagliarsi una critica nei
confronti di una certa fissità europea e l’elogio del dinamismo
americano dell’era Bush. Ma attenzione: ora più che mai, come
ripetutamente affermano gli stessi Pelanda e Savona, solamente uniti
si potrà vincere la sfida globale.