ORGANIZZAZIONE
DELL'ASTRAZIONE ATTRAVERSO METAUTOMI
COGNITIVI Precursori e costruzione
di Carlo Pelanda (1989) |
Avvertenza:
qui vengono presentate solo alcune sezioni del testo. Chi desidera ottenere il
testo completo contatti Carlo Pelanda |
RICONOSCIMENTI La linea di ricerca
presentata in questo saggio è stata resa possibile da una pluralità di
finanziamenti. Nell'ambito dei progetti "Evoluzione del pensiero sistemico
come scienza e tecnologia della cognizione" e "ARAMIS"(Archive
for Rescarch and Analysis on the Methodologies for Integrated Scenarios)
finanziati dal C. N. R., Comitato nazionale per le ricerche tecnologiche, sono
stati sviluppati gli elementi procedurali del tipo di "Sistemica
cognitiva" qui presentata, in particolare, nella sezione 3. Dal 1985 al
1990 un finanziamento su base ordinaria da parte del "Programma
Sociosistemica" dell'ISIG ha permesso la costruzione del (meta)automa
"ESM" ("Evolutionary Sociosystemics Metautomaton") nei suoi
aspetti di macchina cognitiva virtuale, qui sinteticamente presentati nella
sezione 4. Un sostegno finanziario specifico nell'ambito dello
"International Laboratory for Socio-Political Ecology - INTERLAB",
University of Georgia, Athens, USA, ha alimentato ed alimenta lo sviluppo delle
prestazioni di ESM nel dominio delle scienze sociali. Ovviamente nessuna
responsabilità al riguardo dei contenuti presentati può essere attribuita alle
istituzioni sopra citate. RINGRAZIAMENTI Per il sostegno dato al
"Programma Sociosistemica" si desiderano ringraziare A. M. Boileau e
A. Gasparini, rispettivamente precedente ed attuale direttore dell'ISIG. Per una prolungata
attenzione critica al riguardo della linea di ricerca qui presentata deve
essere segnalato un ringraziamento particolare a L. Gallino., F.A. Bates, P.
Bisogno, A. Cavalli e M. Negrotti va la nostra gratitudine per aver provveduto
un sostegno di fondo a tale linea di ricerca. Lo sviluppo di essa non
sarebbe stato possibile senza il contributo critico continuo dei colleghi del
Programma Sociosistemica: N. Addario, D. Gallino, G.F. Lanzara, M. Lombardi, S.
Manghi, D. Nicolini, F. Pardi, W. Peacock, D. Ungaro. Un ringraziamento
particolare, infine, va agli studenti dei corso di "Cognitive
Systemics" (Autunno 1989, "University of Georgia", Athens, USA)
per aver sperimentato delle applicazioni dei modi sistemico-cognitivi qui
presentati con esiti molto efficaci sul piano della comprensione sia dei limiti
sia dei possibili sviluppi di essi.
INTRODUZIONE La debolezza dell'oggettivismo non sta nel primato del requisito di corrispondenza tra costruiti cognitivi e fatti. Sta piuttosto nel definire con precisione cosa sia in corrispondenza con cosa. E' una debolezza che riguarda la codificazione dei discorsi sugli oggetti e la generazione degli oggetti stessi: tutte le forme di empirismo sono tradizionalmente ambigue nel definire come venga generato un oggetto di cognizione e come venga organizzata l'astrazione in riferimento ad esso. L'empirismo non mette in corrispondenza il linguaggio di generazione degli oggetti con quello di analisi degli stessi. Questa mancanza di corrispondenza interna tra le diverse fasi della procedura cognitiva viene poi trasformata in una arbitraria distinzione tra oggetto e discorso su di esso, ovvero tra teoria e fatti: trasformata, in altre parole, nell'idea che i fatti possano essere in qualche modo indipendenti dal linguaggio che li genera. Il linguaggio di corrispondenza così organizzato lascia, tuttavia, sempre ambiguo che cosa sia un "fatto". Quando poi viene dottrinariamente fissato che i "fatti" siano oggettivi, allora non si può non segnalare quanto tale principio sia indebolito dalla constatazione che tale presunzione di oggettività non sia altro che il prodotto di un modo "molto lasco" di definire il linguaggio che genera i "fatti stessi". L’"Empirismo logico" ci ha regalato
questo sospetto sull' "ambiguità fondamentale" dell'empirismo stesso
nel momento in cui dimostrava l'impossibilità di determinare la relazione tra
"linguaggio" e "fatti" se ritenuti
"indipendenti". Sospetto poi enfatizzato (sul piano delle proprietà
del linguaggio) sia dalle domande di Wittgenstein che dalle riflessioni
"costruttiviste" e "pragmatiste" della "Nuova filosofia
della scienza" Nei libri si legge che
l'Empirismo logico è fallito nel suo programma di codificazione epistemologica
della relazione tra procedure astratte e fatti. Tale fallimento è stato poi
interpretato come legittimità ad espellere l'epistemologia dalla formulazione
delle procedure cognitive, sostituendola con un pragmatismo metodologico che
impiega gli strumenti dell'empirismo stesso senza riflessione su di essi. Non come filosofi in senso
disciplinarmente proprio, ma come progettisti di (meta)macchine cognitive ad
applicazione disciplinare (scienze sociali), sentiamo il bisogno di un
"pragmatismo regolato epistemologicamente" che la dottrina, tuttavia,
non sembra in grado di fornire. Abbiamo bisogno, in altre parole, di procedure
che permettano di regolare l'organizzazione dell'astrazione in modo tale che il
linguaggio di generazione selettiva dei fatti in riferimento all'orizzonte
dell'osservatore possa essere connesso esplicitamente al linguaggio di
generazione dei fatti stessi, allo scopo di conoscere e dominare il
"come" una macchina cognitiva costruisca i fatti ed il regime di
corrispondenza con essi. In sintesi sentiamo un
problema di "ordinamento" in una situazione di mercato delle idee
dove sembra poca l'offerta di materiali in tale direzione. C'è invece molta offerta sulla recita
continua dei problemi di complessità e sui modi discorsivi della ricerca: cioè
molta offerta di impressionismo cognitivo organizzato come metafora
letteraria.Tale offerta, pur istruttiva, non serve tuttavia molto sul piano del
dominio dei linguaggi generativi di cognizione, per lo meno non serve in
termini di impiego diretto. Non resta
altro quindi che mettersi al lavoro sul piano delle dimensioni epistemologiche
e gnoseologiche più generali mirando a "soluzioni", più che alla
rappresentazione letteraria, del problema della complessità. Un modo ragionevole per
farlo è quello di dichiarare riaperto il programma dell'"Empirismo
logico", cioè la ricerca dei modi con cui definire la relazione tra
linguaggio e fatti entro procedure confinabili. I risultati raggiunti da tale
programma sono stati molto importanti (ed è assurdo secondo noi parlare di
"fallimento" complessivo) avendo mostrato i limiti dell'empirismo sul
piano di tutti i suoi assunti principali, forzandone le conseguenze. Il risultato dell'empirismo logico è infatti
notevole se si vuol vedere bene: ha dimostrato che gli obiettivi morali
dell'empirismo non possono essere ottenuti attraverso la dottrina gnoseologica
dell'empirismo stesso. Per qualcuno ciò è
"disincanto". Per noi è semplicemente un'indicazione ad abbandonare
la dottrina empirista allo scopo di perseguirne l'obiettivo principale:
procedure conoscitive dove sia possibile instaurare un dominio della corrispondenza tra astrazione e fatti. Tale traiettoria, a nostro
avviso, non può far altro che enfatizzare il problema del dominio dei modi con
cui si organizza l'astrazione, ovvero delle convenzioni che costruiamo per
trattare cognitivamente gli oggetti di nostro interesse. Se si vuole, proponiamo
un'enfasi "neo-convenzionalista" per ripartire dai risultati
dell'empirismo logico allo scopo di trovare modi "forti" per dominare
il come si organizza l'astrazione ed il suo regime di
(auto)corrispondenza. "Forti"
in quanto precursori di un linguaggio di costruzione di (meta)macchine
cognitive dove il requisito di disegno e gestione non può far altro che basarsi
su vincoli di "chiusura" del sistema: cioè, sapere come funziona lo
strumento che costruisce l'oggetto, il discorso sull’oggetto e la relazione tra
i due. "Forti" in quanto questo tipo di costruzione degli strumenti
dei sapere opera attraverso la capacità di definire limiti molto precisi ed
espliciti allo scopo di poterli rielaborare in forma intersoggettiva ed
evolutiva: proprietà di sviluppo che attribuiamo all'orizzonte delle
(meta)macchine cognitive come organizzatori di astrazione. Ci concentreremo, nel testo
che segue, sui precursori (sezioni 1 e 2 sui requisiti procedurali (sezione 3)
e su un esempio (sezione 4) di macchina cognitiva che funziona come
"Osservatore artificiale", ovvero come convenzione in cui è esplicita
l'architettura dei modi con cui oggetti e discorso su di essi viene generato.
Tale "metautoma" cognitivo è una struttura di linguaggio che genera
una procedura autoevolutiva ed autorielaborativa di "osservazione"
mantenendo il dominio epistemologico e metodologico delle proprie operazioni
man mano che si sviluppano. "Artificiale"
perché obbliga il soggettivismo dell'osservatore, progettista/utente,
"naturale" a ricodificarsi entro vincoli comunicabili sul piano
interno della macchina e delle sue interazioni sia con altri
"soggetti" che con il campo di fatti selettivamente generato.
"Metautoma" perché l'organizzazione dell'astrazione è elaborata in
forme vincolate e "chiudenti" progettate, tuttavia, per aprirsi ad
interazioni che rielaborino sia i materiali interni che il linguaggio di
comunicazione. I materiali del metautoma cognitivo (ESM: "Evolutionary Sociosystemics Metautomaton"; "Metautoma di Sociosistemica Evoluzionistica") riguardano una convenzione teoretica da impiegarsi per l'ordinamento generale di modelli sociologici (ESM, infatti, è un linguaggio ordinatore che costruisce oggetti sociologici convenzionali integrando i linguaggi dell'evoluzione, dei sistemi, dell'attore - la mente - e dell'azione ed ha scopi sperimentali di "-ismo", cioè di quadro generale di riferimenti generativi di ordinamento cognitivo). Al riguardo, si prega il lettore di ricordare che il contenuto di ESM deve essere considerato nei suoi aspetti di dimostrazione esemplificativa di come potrebbe funzionare un tale tipo di macro-ordinamento per fini di descrizione di un modello sociale (una versione preliminare di ESM è stata pubblicata in Pelanda 1989; altre descrizioni dettagliate sia di ESM che della linea di ricerca di cui è componente sono state pubblicate nella serie "Quaderni del Programma Sociosistemica" dal 1984 al 1990; il testo qui presentato è uno sviluppo della monografia "Cognitive Neo-Systemics. Theory of Artificial Observers"). l. DAL "CONVENZIONALISMO
COMPROMISSORIO" AL REQUISITO DI "AUTOCORRISPONDENZA" 1.1. La quantità di risorse
concettuali per sostenere il passaggio dal "problema dell'ordine"
(come spiegare una realtà considerata "data") al problema
dell'ordinamento (come trattare una realtà che non può essere accettata come
data, ma solo come costruita dall'azione cognitiva) è molto ampia e variata in
termini di argomentazioni post-(ed anti-) empiriste. Il lato costruttivista degli sviluppi in filosofia e psicologia della conoscenza ha reso molto difficile la difesa del principio di neutralità gnoseologica tra osservatore e oggetto osservato sul quale molto della dottrina tradizionale dell'empirismo riposava. La maggiore consapevolezza al riguardo del "problema del linguaggio" ha poi reso impossibile la continuazione della pretesa che fosse possibile mantenere indipendenti organizzazione del linguaggio stesso e fatti entro ambiti di verità differenziabili, ma integrabili come luogo di corrispondenza tra entità diverse. C'è da dire che questo ultimo punto, rilevato come limite nel e dal programma dell'Empirismo logico, non ha prodotto la conseguenza dell'abbandono dei modi dottrinari dell'empirismo in generale, ma solo un restringimento molto ambiguo del raggio delle sue pretese dottrinarie, rendendole molto sfumate. Il deduttivismo ipotetico di
Popper ed il modello dei "Programmi di ricerca" di Lakatos, per
esempio, accettano e sviluppano l'idea che una convenzione costituisca il
fattore guida di un processo cognitivo (viene cioè abbandonato il modo
induttivo come fondamento di un'osservazione). L'epistemologia
neo-razionalista, poi, accetta un alto grado di relativismo nella descrizione e
codificazione delle interazioni cognitive. Tuttavia queste, ed altre, revisioni mantengono l'idea che siano i "fatti oggettivi" (non importa quanto relativizzati) a poter e dover guidare un processo cognitivo. In altre parole, la dottrina corrente del neo-razionalismo empirico tenta di assorbire il relativismo generato dall'accettazione ormai diffusa del costruttivismo (e del pragmatismo che caratterizza la ricerca "reale") attraverso una progressiva "relativizzazione" dei principio empiristi tradizionali: corrispondenza empirica come verità oggettiva, neutralismo gnoseologico, anticonvenzionalismo. Ma il cuore della tradizione
empirista, anche se relativizzato, è difeso come pilastro assoluto ed
irrinunciabile: il regime oggettivista dei fatti e l'implicato valore
epistemologico della corrispondenza con essi. Il punto critico è che
risulta sempre più difficile negare, o sottostimare, che i "fatti"
siano generati dal dominio dell'osservatore, cioè dall'azione costruttivista di
un sistema cognitivo in modo selettivamente riferito alle proprie
caratteristiche specifiche. Questo punto impedisce di ritenere possibile
l'"oggettività" indicando che un "dato" è dato in
riferimento all'autonomia cognitiva di un osservatore e/o di un sistema
osservatore. Il dato, cioè, viene costruito dai termini di riferimento interni
del sistema di osservazione attraverso una ricodificazione autoriferita (o
autogenerazione in toto) della relazione con il panorama cognitivo osservato. La conseguenza, per chi
accetta questa visione, è che una costruzione cognitiva può corrispondere solo
con se stessa tentando di "corrispondere" con i fatti
autoreferenzialmente generati. Questo punto "neo-convenzionalista"
non può essere relativizzato.
1.3. Il modo empirista tenta di relativizzare l'oggettivismo
allo scopo di mantenere il primato dell'eteroreferenzialità contro
l'autoreferenzialità implicata (o per lo meno ammessa) dall'idea di
costruttivismo cognitivo, ovvero contro una forma di convenzionalismo dotata di
un nuovo motore costituito dalla relativizzazione del "problema del
riferimento" in "riferimento" al dominio dell'osservatore. La
relativizzazione dell'oggettivismo, tuttavia, significa una
"convenzionalizzazione relativa dell'oggettivismo", cioè una
convergenza tra "empirismo relativizzato" e "convenzionalismo
relativizzato". E'questo "compromesso
di convergenza" possibile? Può il razionalismo empirico sopravvivere
all'indimostrabilità delle sue premesse attraverso un compromesso tra
eterocorrispondenza ed autocorrispondenza? 1.4. Nella pratica, la forza
del razionalismo empirico non consiste nel dichiarare che esso tratta la realtà
alla luce della teoria della verità come è corrispondenza empirica (cioè alla
luce di un continuismo gnoseologico tra l'organizzazione delle idee ed i fatti
nel primato del riferimento a questi ultimi, ovvero
"eteroreferenzialità"). Consiste piuttosto nella capacità di far
interagire una organizzazione concettuale con un insieme limitato di
fatti,"fatti" convenzionalizzati in riferimento alla strategia
cognitiva attuata. Per esempio,
l'organizzazione di una realtà convenzionale "barca" (che può essere
vista come complesso cognitivo-pratico costruito) è soggetta a controllo
fattuale provandone le prestazioni di galleggiamento in acqua. Facendo così la realtà "acqua" è
convenzionalizzata in riferimento al problema del galleggiamento e non
considerata nella sua qualità complessiva di realtà indipendente dall'esistenza
del problema cognitivo specifico dell'"osservatore" interessato a far
navigare bene la barca progettata. Se la prova di galleggiamento ha successo,
ciò significa che la "prestazione ordinatrice" della realtà
"barca" è in grado di costruire, una realtà "acqua"
convenzionalizzata dalla selezione riferita al problema del galleggiamento
(cioè convenzionalizzata dalle proprietà ordinatrici
dell'"ordinamento" barca stessa). Il processo di validazione
relativa e confutazione di un costrutto cognitivo si basa sulla possibilità di
confinare un dominio fenomenologico in relazione ai "confini di
riferimento" della costruzione cognitiva stessa.
"Corrispondenza", qui, semplicemente significa "tautologia"
in quanto la costruzione cognitiva corrisponde con se stessa generando fatti
(ed il loro significato) in riferimento a se stessa.
1.5. Il razionalismo
empirico corrente accetta l'argomento che una costruzione cognitiva non
coinvolga una realtà in tutti i suoi aspetti e, per questo, che una realtà sia
sempre selezionata in riferimento ad una convenzione ed allo specifico problema
cognitivo da essa portato. Accetta, in
altre parole, che una realtà risulti sempre "selezionata
convenzionalmente". Esiste,
tuttavia, una profonda differenza tra il concetto empirista di "convenzione
selettiva" e l'idea neo-convenzionalista (che perseguiamo) di
"convenzionalizzazione selettiva". Nella visione neo-convenzionale che qui stiamo strutturando non
c'è ambiguità al riguardo della relazione tra una realtà selettivamente
costruita da una "convenzione cognitiva" ed altri livelli di
realtà. Tale relazione è cognitivamente
discontinua in quanto regolata dall'instaurarsi di un dominio autoreferenziale
che tratta i propri eteroriferimenti adottando criterii del tutto autoriferiti. Al contrario, nella visione empirista,
questa relazione rimane invariantemente ambigua in quanto le proprietà
selettive della convenzione non sono esplicitate nella loro dimensione
costruttiva. E', infatti, assunto implicitamente che una convenzione cognitiva
possa corrispondere "a priori" con una realtà oggettiva e che quindi
risulti predisposta ad essere controllata "dopo" in termini di
corrispondenza empirica. Viene assunto cioè che una sorta di "continuità
cognitiva" persista tra realtà convenzionalizzata e realtà oggettiva. Ma
questo è un paradosso tautologico.
1.6. Il modo empirista tratta un regime tautologico forzando la
tautologia a corrispondere con qualcosa di diverso da essa che non può tuttavia
esistere indipendentemente da essa stessa. Per esempio il fondare una teoria dei sistemi assumendo come dato che i sistemi esistano nella realtà oggettiva conduce al paradosso di validare l'esistenza oggettiva dei sistemi sulla base della teoria dei sistemi stessa. Il nodo empirista può risolvere questo paradosso solo forzando la teoria dei sistemi a corrispondere con qualcosa di diverso da sé, cioè, sistemi che esistono "realisticamente". Tuttavia i sistemi sono stati generati dal costruzione linguistica "teoria dei sistemi". Così la convenzione è forzata a corrispondere con una realtà oggettiva che invece è realtà autoreferenzialmente generata. In questo caso alla tautologia non è permesso corrispondere con se stessa. Perciò essa non può deparadossizzare il proprio paradosso tautologico in quanto non le è permesso di "chiudere" il proprio apparato cognitivo: non può pertanto completare la propria portanza cognitiva integrando il suo discorso convenzionalizzato sul mondo con l'autodescrizione del come tale discorso venga fatto. Ci piace dire (prendendo a prestito da Ungaro): non può aprire la sua sintassi della "chiusura" ad una semantica dell'autoreferenzialità. Per risolvere questo
paradosso bisogna "far dire" alla teoria dei sistemi che essa genera
una realtà convenzionalizzata chiamata "sistemi" e che tale realtà
convenzionalizzata corrisponde alla teoria attraverso la proprietà generativa
dell'autoreferenzialità di costruire fatti e fenomeni selettivamente
convenzionalizzati dal linguaggio della teoria stessa. In questo caso alla
tautologia è permesso di corrispondere esplicitamente con se stessa e, quindi,
di "chiudere" il paradosso incorporandolo nella propria
organizzazione.
1.7. Il modo empirista (non
importa quanto "neo-" o quanto "relativizzato") non può
usare questa soluzione in quanto ciò significherebbe dover abbandonare l'idea
di corrispondenza tra una costruzione cognitiva ed un riferimento fattuale
diverso da essa: abbandonare, cioè, la possibilità della "corrispondenza
guidata da criterii eteroreferenziali". Abbandonare quindi il pilastro
essenziale dell'empirismo.
1.8. Questo "no" al Il convenzionalismo
compromissorio" significa abbandonare la tradizione metodologica empirista
basata sul principio della cognizione eteroreferenziale e la sua ambiguità di fondo. Ciò, tuttavia, non significa abbandonare
l'universo morale dell'empirismo nella sua enfasi in riferimento al requisito
di controllo fattuale dei costruiti cognitivi. In particolare non significa
passare da una ecologia gnoseologica dei "fatti come criterio selettivo
principale delle idee" ad una "delle idee come criterio selettivo
principale dei fatti". Non è
idealismo. Significa piuttosto passare
da una ecologia dove idee e fatti sono considerati come entità separate ad una
dove idee e fatti siano chiaramente integrati in un dominio autoreferenziale,
dove cioè idee e fatti possano essere chiaramente trattati in riferimento alle
caratteristiche ordinatrici del sistema osservatore. Questa posizione di
neo-convenzionalismo ("neo" perché enfatico sul requisito di
completezza del regime di autocorrispondenza di una convenzione) genera un
linguaggio che taglia molto nettamente i panorami della cognizione (ed è per
questo precursore essenziale dell'organizzazione secondo modi "forti"
dell'astrazione). L'azione cognitiva non "scopre" o
"interpreta" la realtà: costruisce realtà autoreferenzialmente
convenzionalizzate. Non descrive una realtà, ma la ordina in riferimento
all'azione ricombinante orientata dalla costruzione cognitiva che osserva. Il
principio di corrispondenza non valuta la verità o falsità di tali costruzioni
cognitive, ma la capacità di esse di dominare un regime autoreferenzialmente
generato di fatti e "controfatti". Su questa base non c'è più
significato nel far rimanere i linguaggi cognitivi entro i panorami del
"problema dell'ordine", cioè come spiegare una realtà acquisita come
dato eteroreferenziale oggettivo. Tale
problema deve essere sostituito da quello dell'"ordinamento", cioè
come trattare costruzioni cognitive che esibiscono la proprietà di costruire
autoreferenzialmente la propria realtà di riferimento, generandola. Più specificamente è il problema di come
evitare paradossi tautologici nel regime di autocorrispondenza di un
osservatore.
1.9. Il "problema dell'ordine" induce il ricercatore a
credere di poter essere a contatto con la realtà oggettiva in una sorta di modo
naturale e magico. Questa illusione porta ad ambiguità fondamentali come quella
di costruire sistemi cognitivi che dichiarano di essere "aperti"
all'eteroreferenzialità mentre funzionano attraverso linguaggi basati sulla
"chiusura" autoreferenziale. Il problema dell'ordinamento" illumina con
luce molto netta lo status di autorealtà di ogni costrutto cognitivo. 2. IL REQUISITO DI ORGANIZZAZIONE DELL'ASTRAZIONE La transizione dal
"problema dell'ordine" a quello dell' "ordinamento"
significa muoversi da un mondo dato secondo modi inespliciti verso uno dove si
è consapevoli che esso non ci è "dato", ma costruito da statuti
linguistici che organizzano l'architettura delle astrazioni. La visione
neo-convenzionale qui propugnata orienta tale migrazione enfatizzando le
proprietà autoreferenziali dei sistemi cognitivi che organizzano l'astrazione.
Il rifiuto, di riconoscere le proprietà autoreferenziali e costruttiviste dei
sistemi cognitivi comporta una loro costruzione o gestione senza autolimiti in
grado di gestire i paradossi tautologici del regime di autocorrispondenza. 2.1. Si consideri un
ordinamento statistico come esempio generale di "ordinamento". Esso
di routine trasforma un livello di realtà nei suoi simboli e schemi (es.:
variabili e matrici di correlazione), ovvero costruisce una realtà
convenzionalizzata generata secondo i requisiti dei "modulo
ordinatore" statistico. Tale modulo regola la validità metodologica del
proprio ordinamento cognitivo facendo riferimento ai propri criterii di
validità ed invalidità, cioè ratifica se stesso nell'ambito di un regime
tautologico dei criterii di controllo. Tutte queste operazioni sono
tipiche azioni di "chiusura auto-operativa" di un linguaggio
ordinatore. Facendo cosi, da un lato, il linguaggio ordinatore concretamente
convenzionalizza un altro livello di realtà ricostruendolo in riferimento ai
propri criterii linguistici interni e chiudendolo in relazione al loro
requisito specifico di autocoerenza (se il linguaggio ordinatore rimanesse
"aperto" non ci potrebbe essere alcuna prestazione ordinatrice per assenza
di limiti nei significati delle diverse parti della sequenza ordinatrice).
D'altra parte in tale operazione di chiusura costruttiva il linguaggio deve
"dissipare" la generalità dei proprio metodo ordinatore in quanto
vincolato al proprio ciclo operativo. Il requisito di chiusura, in altre
parole, comprime il significato della convenzionalizzazione entro il limite
operativo del meccanismo di convenzionalizzazione stessa. Il
"sistema" comprime il significato dell'operazione svolta entro i
confini e requisiti del proprio linguaggio procedurale. Il che significa che un
prodotto statistico non è una rappresentazione "compatta" di un pezzo
di realtà oggettiva, ma una rappresentazione convenzionale il cui significato è
compresso entro i confini dell'autorealtà procedurale dell'ordinamento. Ciò diviene un
"problema" quando un attore cognitivo usa una rappresentazione, per
esempio, statisticamente convenzionalizzata dimenticandosi la compressione
procedurale che l'ha costituita, cioè quando si tratta il significato compresso
della rappresentazione convenzionalizzata come rappresentazione corrispondente
alla realtà e non come regime di autocorrispondenza. Infatti questa credenza
(basata sull'assenza di un linguaggio autoriflessivo nel modulo ordinatore che
spieghi quello che sta facendo mentre lo fa, quindi definendone gli autolimiti)
permette all'attore cognitivo di lasciare inesplicito il tipo di
convenzionalizzazione costruttivista che sta impiegando sia nell'orientare il
fuoco della macchina, ad esempio, statistica sia nell'interpretazione
inferenziale dei dati. In altre parole l'illusione "non limitata" di
lavorare "sulla realtà" tende a lasciare inesplicita la sequenza di
convenzionalizzazioni che producono i risultati inferiti di un'analisi statistica
non venendo chiariti i ruoli delle procedure di chiusura in tale processo.
Soprattutto tale inconsapevolezza oscura i confini dei diversi sistemi che
stanno compiendo l'inferenza (es.: il modulo statistico; la teoria dei sistemi;
il particolare modulo ideologico del ricercatore; ecc.). Senza la fissazione di
questi confini succede che il linguaggio ordinatore comparativamente e
contingentemente più "forte" invada quello dei sistemi cognitivi che
partecipano al processo (es.: un'inferenza) convenzionalizzandoli (cioè
rinormalizzandoli) in riferimento al proprio. Come conseguenza succede che
durante un processo analitico-inferenziale la "convergenza"
conclusiva possa essere viziata dal dominio non riconosciuto di un linguaggio
convenzionale capace di convenzionalizzare contingentemente gli altri,
selezionando in riferimento a sé i loro significati proprii. Questo succede, per esempio,
quando vediamo che i linguaggi formali forniscono la semantica ed i significati
al contenuto qualitativo di un’inferenza: la "correlazione matematica"
diviene una relazione "reale"; la spiegazione statistica"
diviene una spiegazione causale "reale". In altre parole,
l'estensione referenzialmente illimitata del significato compresso di un
ordinamento statistico-matematico diviene una rinormalizzazione generale
dell'intero processo cognitivo in riferimento a quello statistico stesso delle differenti convenzioni
che interagiscono in un proSe di ciascuna sso cognitivo non sono
esplicitati i contributi e limiti ordinatori specifici, cè allora una o un numero
ristretto di esse tenderà a ridurre in autoriferimento il contributo cognitivo
di tutte le altre. Questo tipo di riduzionismo è, appunto, basato sul fatto che
le diverse convenzioni in interazione non sono forzate a mostrare le loro
caratteristiche di chiusura selettiva, ovvero non sono progettate per
interagire selettivamente luna con l'altra alla luce delle rispettive autonomie
ordinatrici. In tale situazione il
ricercatore si trova ad estendere impropriamente i significati di un passaggio
ordinatore specifico. Questa situazione si
instaura per l'incapacità non tanto di dominare un singolo strumento
metodologico, quanto di non dominare la "cognizione dei processi
cognitivi", ovvero una situazione dove i sistemi cognitivi non dicono
quello che fanno e non denunciano i propri confini e relativi criterii di
interazione selettiva. L'estensione impropria di un
significato ordinatore è l'esito più probabile e vistoso dell'assenza di un meccanismo
autoregolativo che specifichi i confini di portata cognitiva dei singoli
sistemi che partecipano ad un processo inferenziale. 2.2. Un problema analogo può essere rilevato nel processo di costruzione
di una teoria secondo modalità "interpretativi". Non il requisito di
astrazione di per sé, infatti, ma quello dell'organizzazione
dell'astrazione" stessa può definire i confini dell'estensione del
soggettivismo ponendo alla formulazione delle convenzioni il problema di
dichiarare gli autolimiti di convenzionalità, rendendo chiaramente autoreferenziale,
e non ambiguamente compromissorio, lo status di convenzionalità stessa. Incidentalmente è da notare
che le "Due sociologie ("Individualismo metodologico" e
"Riferimento al sistema") litigano per niente. Nessuna delle due è
basata su un linguaggio e modalità che possano pretendere più realismo
dell'altra in quanto sono ambedue "pure" convenzioni La sociologia in generale è
afflitta da un "metodo" basato sul convenzionalismo compromissorio
che, come nel caso di Weber e Parsons, tende a generare convenzioni cognitive
che non dominano se stesse e che, di conseguenza, non possono dominare il loro
oggetto di osservazione (per un'analisi più approfondita dei punti toccati in
questa sezione vedi Addario e Pelanda, 1990). 2.4. Ottenere che le convenzioni cognitive dichiarino
esattamente quello che fanno è di cruciale importanza per evitare il fenomeno
di non essere in grado di distinguere tra complessità generata da un uso
improprio (cioè non limitato) dello strumento cognitivo e "complessità"
che caratterizza la specificità dell'oggetto di studio. Questo non vuol dire che esista una
complessità oggettivabile indipendentemente dallo strumento di osservazione.
Vuol dire semplicemente che senza capacità di dominare il proprio strumento di
osservazione manca il criterio per sceglierne un altro, o rielaborare lo
stesso, per rendere più adeguato il trattamento della complessità oggetto. Si consideri, per esempio,
la semplice (in quanto diffusissima e nota) organizzazione convenzionale di una
regressione multipla, dove "Y=A+B+C, ecc., + errore di misurazione +
variabili non misurate". Se la varianza della variabile dipendente
"Y" è statisticamente spiegata, per dire, nel 50%, si assume che il
restante 50% sia dovuto ad errori di misurazione o a variabili non rilevate. In
particolare viene assunto che la spiegazione statistica possa arrivare ad
" 1 " (cioè la condizione di saturazione) qualora la misurazione sia
completa e priva di errori. Tale requisito di completezza potenziale indica i
limiti dell'uso proprio di questa macchina. E' generalmente significativa, in
altre parole, solo se viene preventivamente circoscritto il campo di
applicazione, cioè se la condizione di saturazione è stata individuata alla
luce di una qualche convenzione limitatrice (anche se ne è possibile un uso
puramente esplorativo). Se tali limiti non vengono
fissati non c'è alcuna possibilità di padroneggiare il risultato della
macchina. Il ricercatore, infatti, che
opera con tale macchina senza l'ausilio del pre-confinamento indicato non sarà
in grado di attribuire significato alla quantità di varianza spiegata per il
semplice fatto che non può assolutamente contestualizzare il significato di
quella non spiegata. In altre parole l'assenza di condizioni di saturazione
prefissate porta a considerare la varianza non spiegata come "complessità
generica" non computabile che toglie "contesto" al significato
della varianza spiegata. Quando un ricercatore
presenta una quota di varianza spiegata (per dire, il 50%) senza la definizione
dei limiti dell'universo di saturazione, semplicemente presenta un risultato
"nullo", basato sul mero pragmatismo. E qui si sottolinea l'aspetto "nullo" di questo modo di
fare in quanto molto diffuso nella prassi della ricerca di scienze sociali. Il pragmatismo metodologico,
ovvero l'incapacità di definire i limiti delle convenzioni cognitive, è il
linguaggio procedurale generale più diffuso nella quotidianità della
ricerca. Esso è un linguaggio della
"crisi" dell'epistemologia.
Ma è proprio giustificata tale crisi? Tuttavia I"'impossibilità" dell'epistemologia è viziata dal fatto di essere stata definita sulla base di una ricerca dell'epistemologia "assoluta", assolutamente "eteroreferenziale", assolutamente "autocoerente". Dal punto di vista
"neo-convenzionale" che propugniaino, la prova data da Godel al
riguardo dei limiti di completezza formale del linguaggio della matematica
risulta "ovvia", anche se fertile e spettacolare. Essendo
intrinsecamente "compresso", il linguaggio della matematica non può
contenere né i suoi precursori né tutti i suoi possibili sviluppi. Godel, a nostro avviso, ha semplicemente
osservato in altro modo il principio di "chiusura" del linguaggio
della matematica, ma che è proprietà attribuibile a qualsiasi
"sistema". Il principio di chiusura significa che un sistema
"dimentica" i propri processi di formazione nel momento in cui
stabilisce il proprio circuito ordinario di operazioni (diviene cioè incompleto
in termini di autoriflessione storica; più banalmente si può dire che si
instaura una ovvia discontinuità tra momento generativo e operativo in quanto
il sistema stabilizzato autoseleziona i propri precursori); non contiene i
propri futuri possibili (il presente di un sistema è sempre autosaturato e autolocalizzato
dai vincoli pragmatici del circuito di chiusura che lo
rende "sistema"); opera attraverso autoselezioni che lo rendono
costantemente sotto-insieme di se stesso (un sistema, cioè, non è una topologia
completa di autorappresentazione in quanto i suoi processi auto-operativi ne
selezionano la generalità del linguaggio). In altre parole, il processo
di chiusura auto-operativa della matematica (come di qualsiasi altro
"sistema") avviene attraverso una "dissipazione" della
generalità del suo linguaggio che, per tale ragione, non può essere mai
perfettamente "chiuso" (cioè allo stesso tempo formalmente coerente e
completo), ma resta sempre "chiudente" (cioè vincolato da operazioni
di autocoerenza pragmatica). Se fosse "chiuso" e completo,
l'operazione di chiusura sarebbe impossibile e di conseguenza il
"sistema" non esisterebbe. Il risultato di
Godel,
generalizzato, deve essere visto come il rilevamento della condizione di
esistenza dei "sistemi". Seguendo questa linea di
pensiero, appare ovvio che la completezza formale non possa esistere nel
linguaggio della matematica. Ma, più importante nel nostro contesto, appare
altrettanto ovvio che solo cercando una "completezza assoluta" della
matematica, come Godel ha fatto e mostrato, i "limiti invarianti di
completezza" assumono un significato. Altrettanto ovvia è stata la
soluzione che i circoli matematici hanno dato alla prova di incompletezza:
anche se infondato e formalmente incompleto (cioè solo localmente vero) il
linguaggio della matematica può continuare a costruire se stesso
"pragmaticamente". La soluzione pragmatica al problema di incompletezza
è un mero riconoscimento dei principio di chiusura della matematica in quanto
"sistema". Ma è un riconoscimento implicito che non ne codifica le
conseguenze sul piano dell'autodescrizione dei limiti di completezza (forse ci
vorrebbe un nuovo Godel). Essendo implicita, tale soluzione non è una
"soluzione" epistemologica al problema della "impossibilità
dell'epistemologia" (cioè della completezza assoluta). In sintesi la
soluzione "pragmatica" ai limiti assoluti dei sistemi è
"povera" perché non codifica il modo di funzionamento di essi, ma
semplicemente genera le condizioni di lavoro per operare con essi e su di essi
lasciando oscuro il meccanismo della "chiusura" e quindi il problema
dell'ordinamento come esplicitazione degli autolimiti. La soluzione pragmatica è
pure paradossale in quanto implica che un linguaggio cognitivo che mostra
limiti invarianti di completezza possa produrre una accettabile
"completezza di lavoro", se la "completezza" viene
relativizzata in senso pragmatico (la coerenza pragmatica della matematica,
esempio, è dimostrabìle nell'ambito del suo linguaggio). Il che sta a dire,
paradossalmente, che il linguaggio fondazionista assoluto può
"lavorare" se non cerca i fondamenti della completezza: una sorta di
ossimoro tautologico (come se uno che vuole bere una Coca Cola in un bar dove
tale bevanda è disponibile "ordinasse": Coca Cola?).
2.6. Il pragmatismo cognitivo non regolato è caratterizzato da
un paradosso fondamentale sia nella scienze formali che empiriche. Esso
interpreta l'impossibilità dell'epistemologia come una "impossibilità
assoluta" mentre il "fallimento" dei fondazionismi sia
matematico che sul piano dell'empirismo logico permettono solo di stabilire
l'impossibilità dell' l'epistemologia assoluta". Inoltre i limiti generali
della conoscenza sono interpretati come ragioni per "relativizzare" i
linguaggi fondazionisti piuttosto che abbandonarli. Come conseguenza il
logicismo, l'ideologia eteroreferenziale, ecc., sono relativizzati, ma non
abbandonati. Il paradosso consiste nel credere che le premesse fondazioniste
confutate a livello delle loro "estreme conseguenze" possano ancora
funzionare se maneggiate a livello di conseguenze "ridotte e
relative" (per esempio assumere che un qualcosa possa corrispondere con la
realtà oggettiva accettando nel medesimo tempo che ciò sia una verità
provvisoria e modificabile, cioè relativa). Tale paradosso viene
pragmaticamente risolto semplicemente "dimenticandolo" in favore
dell'enfasi al riguardo della capacità di costruire convenzioni che in qualche
modo stanno insieme sul piano pratico. Tale approccio può funzionare solo
lasciando molto laschi i requisiti di autoriflessione sul come, perché e a
quali condizioni tali convenzioni "stanno insieme". Allora sorge il
sospetto che la dichiarazione dell'impossibilità dell'epistemologia risulti
comoda in riferimento ad un pragmatismo che lavora contraddittoriamente con
linguaggi fondazionisti, comodi" in relazione alla legittimità morale e
"politica" delle operazioni. Così il paradosso di un
universo cognitivo popolato da ordinamenti che non riconoscono se stessi rimane
(Coca Cola?). toto. L'abbandono
dell'epistemologia sulla base dei limiti dimostrati dall'epistemologia
assolutista non è giustificato.
L'epistemologia è "di nuovo" possibile se si accettano e
conseguenze dell'indimostrabilità di quella eteroreferenziale.
2.8. Menti geniali hanno "tentato" di salvare il
linguaggio eteroreferenziale nonostante i paradossi che stava cumulando. Ma come? La mente
indagatrice "deve" creare le condizioni di falsificabilità rendendo
la sua organizzazione dell'astrazione aperta ai fatti, cioè vulnerabile al
controllo di corrispondenza eteroreferenziale. Tuttavia ciò crea parecchi
paradossi e molte domande per cui non c'è risposta "eterorefenziale". Il linguaggio della
corrispondenza può generare "corrispondenza" solo attraverso
tautologie: l'evento "confutazione" valida il linguaggio della
corrispondenza. In altre parole la
condizione di falsificabilità non può confutare se stessa attraverso il regime
di corrispondenza eteroreferenziale (10 potrebbe solo ammettendo
l'autocorrispondenza, ma ciò sarebbe inaccettabile nell'impianto di Popper). E
questo è un paradosso a livello dei metalinguaggio. Secondo il principio di
falsificabilità, qualora un costrutto cognitivo resista ai tentativi di
confutazione esso dovrebbe essere considerato nello status di entità "non
ancora falsificata": ma la condizione di "attesa di
confutazione" non può a sua volta essere confutata attraverso la
corrispondenza eteroreferenziale in quanto non c'è niente con cui
corrispondere, se non il costrutto cognitivo stesso. E' in altre parole una
condizione che può essere solo gestita nell'ambito di un regime di
autocorrispondenza per fornire al Costrutto cognitivo un'identità adeguata. Ma
tale possibilità non è riconosciuta come ammissibile dal linguaggio
eteroreferenziale. Qui il paradosso consiste nel generare un'enútà che non può
essere riconosciuta dal linguaggio che genera l'entità stessa, cioè il
linguaggio della corrispondenza eteroreferenziale genera una situazione dove
non può essere attivato il suo linguaggio di corrispondenza stesso. Domande più semplici
potrebbero essere fatte, quali: come può una mente indagatrice essere sicura
che sta rispettando il requisito di falsificabilità? Che cosa significa "
corrispondenza" quando un costrutto cognitivo risulta idoneo in riferimento
a certi fatti, ma ad altri no? Queste, ed altre, domande non hanno risposte
eteroreferenziali. In breve lo sforzo di Popper
di salvare l'epistemologia eteroreferenziale attraverso una estrema
relativizzazione di essa in termini di "verità negativa" esibisce paradossi
che non possono essere risolti entro il linguaggio eteroreferenziale stesso. La rappresentazione fatta da
Lakatos di una costruzione cognitiva come pacchetto teoretico che resiste alla
controfattualità in riferimento a criterii interni di persistenza del suo
contenuto è, se si vuole, uno sforzo ancora più intenso di relativizzazione del
linguaggio eteroreferenziale. Tuttavia viene assunto che dopo un periodo di
"autociaborazioni" dove il costrutto cognitivo ("Programma di
ricerca") seleziona i suoi significati fattuali in riferimento al criterio
di autopersistenza, "di colpo" esso può - e deve - diventare aperto
al controllo eteroreferenziale inteso come "controllo oggettivo". In
altre parole viene assunto che un costrutto cognitivo possa attuare un giuoco
autoreferenziale fino ad un certo punto. E questo punto viene definito dal
fissare il requisito di controllo eteroreferenziale come elemento di
legittimità cognitiva dei costrutto. Quale magico meccanismo possa di colpo
cambiare la natura autoreferenziale di un costrutto in una eteroreferenziale è
la domanda cruciale in questo caso. Non c'è risposta. In sintesi, le
relativizzazioni del linguaggio eteroreferenziale, anche le più estreme,
generano domande che non possono trovare risposte entro il regime
eteroreferenziale stesso. Possono solo produrre un atteggiamento ideologico che
posponga le risposte ed oscuri i paradossi. Infatti la difesa dei linguaggi
eteroreferenziali (per lo più contro quelli autoreferenziali) sembra essere più
un problema di carattere politico che strettamente epistemologico. Permane cioè
la credenza che attraverso la "santuarizzazione" del primato
eteroreferenziale i confini della scienza - riferimento ai fatti,
intersoggettività e pubblicità - possano essere difesi. 2.9. Crediamo fermamente in tali valori, tuttavia non
vediamo alcuna incompatibilità tra essi e l'idea di un costruttivismo cognitivo
basato sui linguaggi autoreferenziali. In particolare non vediamo il diavolo
nell'autoreferenzia i quanc o
ssibile constatare che l'uso dei linguaggi PO autoreferenziali ha la
proprietà di "chiudere" i paradossi generati da quelli
eteroreferenziali. Inoltre il paradosso
"eteroreferenziale" dell'impossibilità dell'epistemologia conduce
alle ambiguità fondamentali del pragmatismo non regolato da autolimiti
nell'organizzazione delle convenzioni cognitive. Luhmann invoca la
consapevolezza della circolarità come paradosso che deve divenire esso stesso
teoria (1984a: 185-186). Tuttavia il problema dell'ordinamento non consiste
tanto, o solo, nel portare all'interno di un costrutto cognitivo il fondamento
referenziale. Esso consiste nell'organizzare l'autoreferenza come modo di
gestione del regime di autocorrispondenza di un ordinamento.
L'autoreferenzialità non è un mero requisito di astrazione interpretativa (come
sembra esserlo per Luhmann nell'ambito di una adesione metaforica all'antica
variante "chiudente" della teoria dei sistemi, rivitalizzata dal
successo relativo dell"'autopoiesi"). E' un requisito di organizzazione
dell'astrazione" che deve fornire caratteristiche di
"comunicabilità" al regime di autocorrispondenza di un ordinamento.
In altre parole una convenzione cognitiva non dovrebbe solo
"dichiarare" la propria autoreferenzialità, ma anche "organizzarla"
in modo da divenire soggetto ed oggetto esplicito di cognizione. Il requisito di
"organizzazione dell'astrazione" chiama un'epistemologia della
"chiusura che può comunicare e generare". PER
L'ORGANIZZAZIONE DI METAUTOMI COGNMVI In questa sezione
presenteremo gli elementi generali del linguaggio di "chiusura
generativa" come principio che trasformano un processo di costruzione
cognitiva in un "metautoma teoretico" fornito di proprietà sia
autoepistemologiche che intersoggettive, cioè principio e condizioni che
guidano l'organizzazione dell'astrazione da un panorama di autoreferenzialità
non esplicitata ("naturale") ad uno dove l'autoreferenzialità è
esplicitata attraverso il disegno della sua generatività. 3.1.
L'autoreferenzialità naturale come dominio di irrisolvibilità intrinseca
La situazione tipica di un
attore cognitivo è caratterizzata da un.uso di autoreferenzialità
selettiva-costruttiva che non rende esplicita se stessa, cioè da un tipo di soggettivismo
che non rende esplicita la propria autoreferenzialità. In tale situazione
l'attore cognitivo produce costruzioni cognitive che risultano intrinsecamente
incapaci di mostrare il meccanismo generativo con il quale sono ottenute le
rappresentazioni. 3.1.1. L'osservatore
naturale come "macchina celibe" Nella configurazione di
"osservatore naturale" un attore cognitivo è invariantemente
condannato ad essere esposto sia ai paradossi eteroreferenziali (es.:
oggettivizzazione ed estensione impropria dei soggettivismi) che ad una
mancanza sostanziale di dominio intrinseco al riguardo degli strumenti
impiegati per costruire un orizzonte inferenziale ed il relativo linguaggio di
corrispondenza. Inoltre l'osservatore
naturale non può intrinsecamente dominare il tipo di selezione costruttiva che
la sua autoreferenzialità produce sia sull'oggetto osservato sia al riguardo
dei significato dei sistemi cognitivi e culturali che riceve o per
apprendimento o comunicazione. Ciò succede perché nella situazione di
osservatore naturale l'autoreferenzialità non esplicitata da regole
metodologiche risulta separata dalla propria generatività. In altre parole, la
cognizione non ha un dominio intrinseco sulla cognizione stessa per l'assenza
di un linguaggio codificato di autocorrispondenza che eviti il
"divorzio" metodologico tra esito e premesse generative di esso. Questa mancanza intrinseca
di autocorrispondenza cognitiva fornisce all'osservatore naturale lo status, in
metafora, di "macchina celibe" (es.: la "grand verre" di
Duchamp). 3.1.2. Irrisolvibilità delle
soluzioni "naturali" Esistono risposte
"naturali" a questo problema dei limiti dell'osservatore La
"formalizzazione" può essere considerata un secondo tipo di risposta.
Tuttavia essa fornisce un dizionario per l'intersoggettività nel campo di
applicazioni specifiche, ma non un linguaggio di organizzazione intersoggettiva
della cognizione. L'interazionismo critico e
I'"interpretazionismo comprendente" possono essere visti come un
terzo tipo di risposta. Tuttavia essi
generano ordinamenti cognitivi in termini di convenzioni di raggio contingente
costantemente suscettibili di re-interpretazione e ri-codificazione comunicativa
(es.: fenomeni di "back-talk" come quelli analizzati da Lanzara)
sulla base di una alcatorietà intrinseca del modo con cui sono organizzate le
convenzioni stesse. L'autoriflessivìtà può
essere considerata una quarta risposta. Tut-Lavia la mente che riflette su se
stessa secondo i modi dell'"osservatore naturale" può solo trovare
una autorappresentazione selettivamente orientata dal tipo di costruzione
cognitiva che conduce il processo autoriflessivo, risultando così
"convenzionale" in riferimento alla realtà della mente che indaga su
se stessa. La mente autoriflessiva non può trovare se stessa, ma solo una
rappresentazione generata da uno dei possibili sistemi cognitivi
autoreferenziali che popolano l'ecologia della mente stessa, senza alcuna
possibilità di rivelare il processo selettivo specifico in corso (cioè
l'ecologia Batesoniana della mente è un dominio di irrisolvibilità). Il credo gnoscologico
eteroreferenziale consiste nell'assumere una sorta di corrispondenza
"naturale" tra mente e realtà esterna alla mente stessa. Viene
creduto che la cognizione sia possibile in quanto il sistema cervello/mente è
un prodotto dell'evoluzione, cioè che la mente si sia intrinsecamente adeguata
alla gestione cognitiva della realtà attraverso processi di selezione naturale
(es.: la gnoseologia evoluzionistica di S.Toulmin e l'epistemologia
evoluzionistica di D.T. Campbell). Questo credo, tuttavia, è basato su un
significato impropriamente esteso del concetto di adattamento.
"Adattamento" non significa che la selettività dell'ambiente
costituisca la configurazione complessiva di un'entità vivente. Non significa,
cioè, che l'ambiente determini la configurazione dell'entità perpetuata
generando una idoneità continuistica tra essa ed ambiente stesso.
"Adattamento " significa che l'autonomia di un'entità vivente è
selezionata in riferimento alla sua idoneità contingente con l'ambiente. In
altre parole, l'ambiente agisce solo in termini "negativi"
distruggendo entità contingentemente non idonee (per i più svariati motivi
incidentali): esso "non dice niente" al riguardo di quelle che
sopravvivono, cioè non determina le condizioni positive della perpetuazione, ma
determina solo quelle di selezione negativa. In tal senso dobbiamo dire
che la perpetuazione evoluzionistica della mente significa solo che la
"mente" stessa non è stata ancora selezionata negativamente. La mente
potrebbe essere anche "stupida" ed il cervello del tutto
cognitivamente "nano" in quanto nulla di conosciuto può assicurare
che la selezione naturale (come stranamente creduto dall'evoluzionismo
superficiale) usi costantemente criterii che favoriscono, per dire,
l'incremento delle facoltà cognitive. Non possiamo assumere, in
particolare, che il motivo della perpetuazione della configurazione
mente/cervello sia basato su qualche compatibilità "naturale" tra
mente stessa ed ambiente, "positivamente" indotta dall'ambiente
stesso attraverso il meccanismo seletùvo. Non possiamo assumere, pertanto, che
esista una continuità naturale tra mente ed ambiente sulla quale appoggiare
l'idea della possibilità di una corrispondenza naturale tra la prima e la
realtà esterna a sé. La mente non è
eteroreferenziale per natura. Non esiste alcun "pilastro naturale"
per sostenere l'oggettivizzazione delle costruzioni cognitive generate
dall'autoreferenzialità della mente. Il inguaggio
eteroreferenziale è generato da un tipo di autoreferenzialità della mente che
non è in grado di rendere esplicita autoriflessivamente la propria
autoreferenzialità stessa. Le eteroreferenze generate autoreferenzialmente non
mostrano "naturalmente" la loro organizzazione intrinseca. Ciò
significa che non possiamo credere alla autoreferenzialità naturale delle
nostre menti così come non possiamo,
di base, avere alcuna fiducia dei prodotti cognitivi regolati da epistemologie
e gnoseologia naturali. Il regime evoluzionistico della natura non è un
selettore cognitivo adeguato. Non c'è alcuna soluzione
"naturale" ai limiti intrinseci dell'autoreferenzialità naturale. 3.2. La soluzione di
"autoreferenzialità artificiale" ai limiti di "autoreferenzialità naturale" C'è una soluzione
artificiale ai limiti naturali? E' solo possibile dire che "dobbiamo"
per forza costruirne una, generandola attraverso un disegno. Un disegno che
fornisca alla "possibilità dell'epistemologia" una topologia
cognitiva progettata, ovvero un luogo dove il requisito di epistemologia possa
essere organizzato. Il requisito di epistemologia,
tuttavia, basato sul riconoscimento dei limiti dell'epistemologia naturale a
causa della mancanza in essa di un luogo di organizzazione esplicita
dell'autoreferenzialità (per questo "episteniologia utopica"),
richiede la rispecificazione dell"'artificiale" come topologia
dell'autoreferenzialità (cioè come organizzazione dove l'episternologia possa
avere luogo). Ciò, tuttavia, è un problema in quanto un dominio
artificialeconvenzionale di autoreferenzialità non implica di per se un regime
autoepistemologico consistente. E' il "problema dell'ordinainento". 3.2.1.
L'"artificiale" che non è artificiale abbastanza Le convenzioni culturali
codificate possono essere viste come tipici esempi di "organizzazioni
artificiali" ("macchine bio-cuIturali") in termini di statuti di
simboli, segni ed operazioni dotate di meccanismi di autocoerenza:
l'architettura sintattica dei linguaggi, un sistema legale, la statistica, un
protocollo cerimoniale, ecc. Il loro status di "macchine" è definito
dalla capacità sia di confinare la loro organizzazione -generando un topologia
specifica - sia di mantenere attivamente tali confini in riferimento
all’esterno. Questa capacità è "banalmente" caratterizzata
dall'instaurarsi di una "sistematica" (cioè ordine entro confini a causa
di confini con proprietà finite e finitizzanti) come condizione sufficiente per
la creazione e manutenzione di "riferimenti". Impiegandole, un attore
cognitivo diviene "cognitivo" in quanto usa l'universo referenziale
fornito da tale proprietà di finitizzazione delle referenze. Elaborando e
riproducendo tali macchine un attore cognitivo fornisce ad esse
"apparenti" proprietà attive, ovvero la manutenzione ed evoluzione
dei loro assetti topologici attraverso un'interazione di tipo conformista in
riferimento ad esse stesse. Ciò significa che
l'esistenza di macchine culturali e l'interazione cognitiva attraverso esse non
richiede necessariamente l'esplicitazione - in termini di organizzazione
topologica - del meccanismo di autocoerenza e conformazione referenziale
autoriferita in quanto la "sistematica" da sola è sufficiente per
ottenere una "referenzialità pragmatica" con proprietà finitizzanti,
quindi implicitamente topologiche. In altre parole, l'ecologia generale della
cognizione non seleziona negativamente il fenomeno di oscuramento
dell'autoreferenzialità. Così tali macchine risultano meccanismi
autoreferenziali di fatto che possiedono un linguaggio solo referenziale, cioè
topologie incomplete per difetto di autocorrispondenza operativa. Le macchine culturali
organizzate come "topologie referenziali" inducono ad una
"cognizione senza cognizione" in quanto esse non organizzano la
cognizione sulla cognizione nel mentre del loro ciclo operativo, cioè non
possiedono una rappresentazione autoreferenziale (non importa quanto siano
"autoriflessive") del loro processo di autocostruzione referenziale.
Così queste macchine che sono in grado di costruire topologie
logico-linguistiche in termini di linguaggi ad ordinamento referenziale
risultano, tuttavia, incapaci di assumere proprietà epistemologiche in quanto
non organizzano una rappresentazione autocorrispondente della loro autonomia
cognitiva. A livello della sistematica" della cognizione l'epistemologia non è possibile, cioè una topologia pragmatica della referenzialità non è abbastanza. In tal senso la soluzione artificiale al problema dell'autoreferenzialità naturale richiede una "sistemica" della cognizione dove la "cognizione della cognizione" possa essere organizzata come "topologia autocorrispondente", cioè come epistemologia autoesplicitantesi. 3.2.2. Referenzialità contro
autoreferenzialità Più chiaramente, un
linguaggio di riferimenti non può descrivere se stesso fino a che rimane una
sistematica dei riferimenti stessi. Non può costruire un epistemologica che
catturi la generazione autoreferenziale dei riferimenti perché quando cerca le
ragioni costitutive dei propri processi non può far altro che trovare solo un
meccanismo di finitizzazione dei riferimenti stessi. Per esempio, il meccanismo
dei postulati in matematica è un processo di fondazione autoreferenziale di una
topologia simbolica finita che è descritta come decisione assiomatica di
finitizzazione che non può essere discussa. In tale meccanismo l'esplicitazione
è possibile sulla base di una decisione inesplicita che tuttavia possiede
proprietà finitizzanti, generative di topologia. Questo è un esempio molto
semplice di come un linguaggio referenziale incapace di sviluppare una
topologia esplicitamente autoreferenziale debba gestire la propria autogeneratività
"oscurando" se stesso, rendendo così impossibile l'epistemologia in
termini di descrizione dei riferimenti intrinseci della propria referenzialità
e, quindi, meramente pragmatico il proprio profilo topologico-cognitivo. In
breve, i linguaggi tradizionali della cognizione risultano essere solo
referenziali, ovvero privi di funzioni di autocorrispondenza nel processo
generativo dei riferimenti. Chiamiamo questo modo dell'organizzazione
topologico-cognitiva "referenzialità del primo ordine". A questo
livello l'epistemologia diviene impossibile perché il linguaggio ordinatore non
è in grado di rappresentare il meccanismo intrinseco di generazione dei
riferimenti costitutivi di topologia. Come già detto in parti precedenti,
questa dimensione è caratterizzata dal fatto che l'organizzazione tautologica
del linguaggio è forzata a corrispondere con qualcosa di diverso da sé, essendo
in realtà se stessa, cioè da un paradosso che non può essere chiuso. L'epistemologia diviene possibile
in una topologia caratterizzata da una referenzialità del secondo ordine, dove
la generatività referenziale del linguaggio viene forzata ad esibire la propria
autoreferenzialità, ovvero ad organizzarsi come topologia di autocorrispondenza
dove è esplicita la natura intrinseca del circuito referenziale. In tale
dimensione ad una tautologia è permesso di corrispondere con se stessa
diventando così regolata da una configurazione di completezza
"autolocale" che rende la tipologia cognitiva conseguente dotata di
proprietà autoepistemologiche. Una topologia cognitiva del
secondo ordine dovrebbe essere un ordinamento caratterizzato da un finitismo
capace di integrare il meccanismo di generazione autoreferenziale delle
eteroreferenze. Per esempio ciò significa essere in grado di integrare il
linguaggio di generazione di un oggetto cognitivo con quello di
analisi-rappresentazione dell'oggetto stesso. Essere in grado, in sintesi, di
costruire un regime di responsabilità epistemologica completa nel dominio dell'osservatore. In tal senso abbiamo bisogno
di "macchine cognitive" progettate (visto che la "natura"
non ce le fornisce) per organizzare topologie di autocorrispondenza, ovvero
macchine che organizzino la possibilità dell'epistemologia trasformando
I'"osservatore naturale" in un "osservatore artificiale",
dove "artificiale" assume il significato di "topologia
generativa del secondo ordine". 3.3. La soluzione di "generatività artificiale" al problema del linguaggio Il disegno di topologie
cognitive del secondo ordine, come linguaggi ordinatori, richiede una soluzione
del tutto radicale al problema dei linguaggio. Per esempio, la
sistematica
referenziale di un linguaggio ordinario può generare espressioni del secondo
ordine quali: "noi siamo quattro parole". Tuttavia tali espressioni
non fissano i confini topologici dell'autoreferenzialità dichiarata. Possiamo infatti avere
espressioni come "noi siamo cinque parole" che non sono selezionate dal
meccanismo linguistico né in termini di criterii di autocorrispondenza né in
termini di specificazione dell'autocorrispondenza stessa (es.: "noi siamo
parole"). Di conseguenza il linguaggio ordinario risulta intrinsecamente
ambiguo come strumento per l'organizzazione di topologie cognitive del secondo
ordine. La dichiarazione tendenzialmente di secondo ordine, per esempio,
"Sono una topologia cognitiva autocorrispondente che costruisce una
rappresentazione attraverso una operazione autoreferenziale è intrinsecamente
indecidibile per osservatori collocati sia dentro che fuori la macchina che
genera la dichiarazione stessa. Ciò significa che l'organizzazione di topologie
dei secondo ordine non può essere strutturata ed esclusivamente dominata solo da procedure autoriflessive ancorate al linguaggio
referenziale del primo ordine in quanto tali linguaggi non "chiudono"
l'autoreferenza, rendendo invariantemente incompleta (ambigua)
l'autoriflessiorie stessa. 3.3.2.
Incompletezza del secondo ordine dei linguaggi formali La matematica è considerata
un tipo di linguaggio fornito di "buone prestazioni in termini di chiusura
dei proprio regime referenziale. Per esempio l'espressione
"A+B=C" chiude in modo convenzionalmente non ambiguo la varietà dei
possibili significati (valori) che A, B e C possono assumere (l'espressione
cioè "chiude" C su A e B e viceversa). Tuttavia tale chiusura è
espressa in termini referenziali del primo ordine e non rende esplicito il
meccanismo autoreferenziale che permette la chiusura referenziale
dell'espressione stessa. In altre parole il regime tautologico dell'espressione
permette la chiusura dell'espressione stessa, ma senza la rappresentazione
della tautologia stessa: "C" è referenzialmente forzato a
corrispondere con "A+B" considerato "diverso" da
"C", ma essendo il dominio di C stesso (e viceversa). Questo,
banalmente, vuol dire che il linguaggio non può far corrispondere
"espressivamente" la tautologia con se stessa, ovvero non ottiene la
rappresentazione dei fondamenti autoreferenziali dell'operazione di chiusura. Il linguaggio della
matematica risponde ad ogni domanda contenente una richiesta di autodescrizione
chiudendo la domanda stessa entro una sistematica referenziale dei primo ordine,
ovvero interpretando ogni problema di completezza autoreferenziale come
problema di coerenza espressiva (cosa, appunto, fatta da Gódel). Ciò significa
che ogni volta che il linguaggio della matematica vuole essere referenzialmente
autocoerente non può essere autoreferenzialmente completo. Per inciso, ciò
potrebbe essere un altro modo di fraseggiare il teorema dei limiti di
completezza formale della matematica. Tuttavia non siamo
interessati ai problemi interni della matematica. Vogliamo solo vedere quali
proprietà il linguaggio della matematica possiede in riferimento al problema di
trovare un "linguaggio" attraverso il quale la rappresentazione
dell'autoreferenzialità possa essere resa esplicita e non oscurata dalle
caratteristiche del linguaggio stesso.
In altre parole questa argomentazione serve per decidere se la
formalizzazione possa essere uno strumento sufficientemente "potente"
attraverso il quale organizzare un linguaggio del secondo ordine. La risposta è
"no" - almeno sul piano della procedura organizzativa di base - in
quanto qualsiasi tentativo di forzare il linguaggio della matematica a
prestazioni di secondo ordine sembra destinato a restare intrappolato (e
"ridotto") in chiusure referenziali del primo tipo. Forse la matematica - ed
altri linguaggi simbolici affini - possono "simulare" una topologia
del secondo ordine, ma non possono costituirla. 3.3.3.
Il problema generale dell'"autocompiutezza semantica" Se cerchiamo un linguaggio
in grado di rappresentare l'autoreferenzialità, in generale, è probabile che
possiamo trovare solo referenzialità".
Se, in altre parole, cerchiamo la "completezza epistemologica"
a livello del linguaggio non siamo in grado di trovarla a causa di una "ribellione"
intrinseca di ogni tipo di linguaggio corrente contro questo tipo di
completezza. In altre parole, qualsiasi linguaggio non può corrispondere con se
stesso perché questo tipo di completezza provocherebbe una "dissonanza
referenziale" tale da distruggere il "linguaggio" del linguaggio
stesso, ovvero la proprietà di generare "semantica". Per esempio, se
noi forzassimo l'espressione "A+B=C" a mostrare
"naturalmente" la propria autoreferenzialità come corredo espressivo
completo nell'enunciazione della tautologia, otterremmo, per esempio, solo un
"dominio di C descritto da C stesso". Otterremmo, cioè, solo
un'autoselezione distruttiva della "semantica referenziale"
dell'espressione. L'incompletezza referenziale
è una condizione che fornisce al linguaggio la possibilità di generare semantica:
se autoreferenzialmente completo, un linguaggio sarebbe una semantica vuota. Se
vogliamo linguaggi generativi di semantica dobbiamo rinunciare a dare loro una
configurazione epistemologica nel senso della completezza autoreferenziale (è
questa la lezione metaforica della catastrofe linguistica della Torre di
Babele?). In breve, il disegno di
topologie cognitive del secondo ordine deve prendere in considerazione il
limite di incompletezza epistemologica invariante a livello del linguaggio. 3.3.4. La soluzione di. "generatività artificiale" al problema dell'incompiutezza del linguaggio
Un "linguaggio"
non è di per sé un il linguaggio di una topologia referenziale del secondo
ordine. Questo problema non può trovare
soluzioni nell'ambito della nobile tradizione della "Teoria semantica
della verità" (cioè della "decidibilità semantica") come
elaborata da Tarski, rielaborata da Quine, adottata come criterio
epistemologico generale da Popper, sviluppata verso conseguenze limitative da
Carnap e, recentemente, rivisitata con intensità di brillante custode da Putnam. E' necessario generare
diverse "condizioni referenziali" per ottenere qualcosa che soddisfi
il requisito di dominio epistemologico sul piano della semantica. il dominio referenziale dell'espressione. In tal senso è possibile attuare solo una strategia artficiale. Per esempio, se diciamo
"X corrisponde con Y" non
possiamo trovare/costruire la "decidibilità" di questa espressione né
con metodi autoreferenziali né eteroreferenziali se forziamo l'espressione stessa ad
essere epistemologicamente completa. Se, in riferimento al requisito di autocorrispondenza,
forziamo Y a chiudere su X (o viceversa), infatti, otteniamo solo di ridurre il
dominio referenziale dell'intera espressione ad un "vuoto semantico"
caratterizzato da un'autodichiarazione sterile di X (o Y) come dominio di
se stesso. Se, in direzione di una soluzione eteroreferenziale, forziamo la
tautologia a "rompersi" generando una differenziazione a priori tra X
e Y, possiamo solo ottenere un "vuoto referenziale" in termini di
eteroparadosso (Cioè il fondamento tautologico della corrispondenza non viene
riconosciuto dall'espressione). Invece, permettendo
"artificialmente" all'espressione di diventare neutrale in
riferimento al proprio contenuto (dando cioè all'espressione solo uno status di
spazio semantico significativamente vuoto o "perfettamente
autoconvenzionale"), l'espressione stessa può essere trattata nella sua
proprietà di risultare una "topologia semantica" specificabile e
confinabile. Facendo così il problema del regime epistemologico
dell'espressione può passare dall'"interno" (dove la completezza
epistemologica è impossibile) al dominio autoreferenziale stabilito come
semantica specifica generata dalla topologia referenziale dell'espressione
stessa. In altre parole, se siamo in
grado di organizzare un'espressione in termini di "autonomia
referenziale" generativa di semantica in autoriferimento, allora è
possibile ottenere la rappresentazione di come un sistema di riferimenti possa
generare una semantica autocorrispondente, cioè si ritiene possibile ottenere
una autoreferenzialità artificialmente generata e generativa che espliciti la
chiusura del proprio dominio autoepistemologico. Questo punto è in realtà più
semplice di come noi siamo in grado di fraseggiarlo. Piuttosto che cercare la
completezza semantica in un espressione linguistica, di per sé, in riferimento
al contenuto portato (dove tale completezza non può esserci), l'espressione
stessa viene, prima, "sterilizzata" sul piano dei significato (cioè
resa autonoma dai suoi "significatori" esterni ovvero
"perfettamente autoconvenzionalizzata") e, poi, forzata a generare un
semantica regolata dall'autoriferimento dell'espressione rielaborata stessa. In
breve la decidibilità semantica può essere costruita in termini di
autocorrispondenza tra una topologia referenziale autonoma e la semantica da
essa generata in autoriferimento. Qualsiasi problema di
incompletezza autoreferenziale sul piano del linguaggio può essere risolto
forzando "artificialmente" una espressione linguistica sia a
diventare "solo" una regola generativa di semantica sia a
corrispondere con la semantica autogenerata stessa. L'autoreferenzialità
esplicita può essere disegnata come una trasformazione artificiale del
significato referenziale di un'espressione in uno generativo di altra semantica
autoriferita a quella generante. Una semantica disegnata come una topologia
referenziale che è forzata a generare una semantica autocorrispondente può
diventare un oggetto epistemologico, anche se epistemologicamente potente solo
sul piano della esplicitazione degli autolimiti della propria convenzionalità
perfetta, che, tuttavia, è proprietà sufficiente. In sintesi, un regime
semantico di decidibilità è ritenuto possibile come "topologia
autoreferenziale" nel dominio di una semantica dotata di generatività
artificiale, ovvero di una procedura dove la dichiarazione di convenzionalità
del contenuto di un'espressione diviene assoluta in quanto la lettura
dell'espressione stessa diviene "significativa" solo alla luce
dell'interattività con la semantica autoreferenzialmente generata
dall'espressione stessa. 3.4.
La
"chiusura generativa" come procedura per il disegno di metautomi
cognitivi Per organizzare tale
possibilità nel disegno di macchine cognitive come dominii epistemologicamente
significativi di semantica del secondo ordine (cioè come convenzioni cognitive
che possano essere dominate sul piano dell'organizzazione intrinseca) è
richiesto una procedura complessa di "chiusura", ovvero una chiusura
con proprietà generative. Assumiamo che "X
corrisponde con Y" sia l'espressione alla quale siamo interessati.
Assumiamo anche (sulla base di quanto detto in 3.3.) che questa espressione, di
per sé, sia un dominio episternologicamente vuoto. Per trasformarlo in un dominio semantico dobbiamo:
La "chiusura
generativa" che è in grado di costruire la completezza di una topologia
semantico-referenziale del secondo ordine consiste di tre passi procedurali
integrati corrispondenti a tre diversi livelli di chiusura: canonica,
interattiva, comunicativa. Questi tre tipi di chiusura costituiscono
"l'intero" procedurale che chiamiamo "chiusura generativa".
Per esigenze di descrizione vediamo le proprietà di ciascuna separatamente. 3.4.1. Chiusura canonica La chiusura
"canonica" (ri)organizza una espressione semantica in termini di
topologia semantico-referenziale autonoma. In altre parole "chiude" le
proprietà referenziali di un espressione confinandole entro le referenze
espresse dall'espressione stessa, ovvero trasformandola in un
"canone" (che sarebbe poi la modalità per definire lo status di
autoconvenzionalità perfetta di un espressione, status che ci assicura di
evitare il "convenzionalismo compromissorio"). Per esempio,
"X" nel canonicamente chiuso *X corrisponde con Y* (gli asterischi
qui indicano la chiusura canonica di un'espressione) non può compiere un
riferimento a "Z" in modo lasco o il limitato (es.: metaforico), ma
può solo generare "Z" stesso come un dominio generativo di
"X" referenzialmente controllato e selezionato da * X corrisponde con
Y *. Questa chiusura significa
che un'espressione è forzata ad esprimere se stessa solo attraverso una
generazione di riferimenti autoriferiti. Tale tipo di chiusura è cruciale in
quanto definisce un confine tra il dominio semantico referenziale di un
espressione e l'universo semantico referenziale al quale appartiene
l'espressione stessa. Questo confine, come discontinuità referenziale,
significa che un'espressione può trattare il proprio universo solo
selezionandolo generativamente come un dominio dell'espressione stessa.
Pertanto tale tipo di chiusura è la condizione che sia perinette sia costringe
un'espressione a diventare una topologia semantica autoreferenzialmente
generativa attraverso la ri-organizzazione del proprio contenuto referenziale
in termini canonici. Questa chiusura soprattutto
significa che un'espressione viene esplicitamente "neutralizzata" in
riferimento a qualsiasi significato epistemologico intrinseco. In altre parole,
la chiusura canonica semplifica la complessità dei possibili riferimenti ad un
universo referenziale dell'espressione riorganizzandola come topologia referenzialmente
confinata che risulta puramente "convenzionale" in riferimento a
qualsiasi criterio di verità e coerenza della propria "circolarità"
canonica che non sia la rappresentazione bile (si pensi al famoso disegno di
stessa: l'espressione non è in se decidi Escher delle mani che si
tratteggiano reciprocamente; pur non essendo un esempio adeguato di quanto
diciamo esso, tuttavia, può far capire come uno spazio canonicamente chiuso
possa "neutralizzare" ogni portato significativo intrinseco esprimendo
solo la "circolarità"). La chiusura canonica crea
una stringa linguistica convenzionale dove lo "status" di perfetta
convenzionalità è definito dal primato esplicito di un regime circolare delle
referenze (per inciso la "circolarità è una condizione necessaria, ma non
sufficiente, per definire la condizione "di autoreferenzialità o
"autocorrispondenza"). Tale stringa semantica non esprime alcun
significato "di per sé" se non quello metasignificativo della
circolarità. Per diventare "significanti tali stringhe devono generare
altra semantica. In breve, questo tipo di
chiusura trasforma un'espressione in un dominio (potenziale) di regole
generative di semantica in autoriferimento nel senso di canone
referenziale" (cioè il parametro o "l'attrattore" di un
possibile sviluppo autoreferenzialmente generativo). Sulla base di questa
codificazione una espressione semantica che diviene chiusa al livello canonico
assume proprietà sintattiche". Ciò
significa che la sintassi di ogni "linguaggio ordinatore" speciale
che si voglia costruire può essere creata trasformando ogni espressione
prescelta in un regime canonico autoconfinantesi e autoselettivo nei confronti
dell’universo semantico referenziale di contesto. La chiusura canonica è un passo necessario per costruire una
entità linguistica esplicitamente autoreferente. La "chiusura
canonica" è un atto artificiale.
Chiusure referenziali inesplicite avvengono in ogni caso come meccanismo
selettivo ordinario del linguaggio. Esse, tuttavia, producono regimi
linguistici ricorsivi nei quali l'unità ordinamento referenziale rimane
intrinsecamente oscura. La chiusura canonica fornisce ai regimi linguistici
ricorsivi una chiara ed esplicita unità di ordinamento referenziale. In sintesi, la chiusura
canonica crea le pre-condizioni di autocorrispondenza nell'ambito di una
semantica autogenerativa. Tuttavia, appunto, ciò è solo un passo precursore nel
processo di costruzione della condizione generativa dell'autocorrispondenza. 3.4.2. Chiusura interattiva Un'espressione chiusa canonicamente
è un'implicita regola generativa di semantica. Per rendere significativa
l'espressione bisogna forzarla a creare linguaggio impiegando il potenziale di
autovincoli: l'espressione canonicamente chiusa si esplicita generando altra
semantica in autoriferimento. Ovvero un regime di autocorrispondenza tra la
semantica generata e quella originante. Ciò
significa che un elemento esterno "Z" non è riconosciuto dai
riferimenti della topologia cognitiva che non
contiene "Z" stesso e che la topologia canonica
non può essere "naturalmente" autogenerativa in riferimento a tale
elemento. Può diventare autogcnerativa
in riferimento all'elemento esterno "Z" solo se viene costretta sia
ad aprire il proprio regime canonico in riferimento a "Z" sia a
"chiudere" "Z" in autoriferimento al regime canonico stesso. La chiusura interattiva
fornisce ad una topologia canonicamente chiusa proprietà autoevolutive. E' un meccanismo che incorpora nuovi
elementi in un dominio di autocorrispondenza selezionando interattivarnente sia
un regime canonico in riferimento ai nuovi elementi stessi sia questi in
riferimento al regime canonico stesso. Questo livello di chiusura dota il
regime di autocorrispondenza di un tipo di generatività che va al di là dei
limiti referenziali di una topologia canonica, restando tuttavia
referenzialmente ancorata a tali (auto)limiti. Questo punto è cruciale nel
disegno di topologie semantiche generative di cognizione. La possibilità della
chiusura interattiva fornisce a tali topologie una "autocorrispondenza
creativa" che sarebbe impossibile ottenere al solo livello canonico, ma
che resta dominabile grazie al mantenimento del riferimento canonico
selezionante. In questo contesto creazione significa che una topologia
cognitiva è forzata a chiudere (.su) un nuovo elemento rielaborando sia se
stessa sia l'elemento stesso, ovvero ricreando ambedue nell'ambito di
riferimenti autolimitativi. Così una costruzione cognitiva può evolvere come
struttura di autocorrispondenza generativa in cui è possibile rendere esplicito
come il nuovo materiale sia stato generato attraverso una ricombinazione
autocostruttiva della costruzione cognitiva stessa. Questo punto à anche
cruciale perché fornisce ad una topologia di autocorrispondenza un criterio di
controllo empirico. Se la chiusura interattiva non è in grado di incorporare un
elemento come rielaborazione di esso in riferimento al proprio statuto
canonico, allora la topologia cognitiva al lavoro esibisce un limite esplicito
in riferimento a quell'elemento, ovvero un limite di convenzìonalizzazione in
riferimento (autogenerato) ad esso. Cioè risulta che un fatto generato non è in
grado di corrispondere con il regime di autocorrispondenza generante. Questa è
una situazione molto precisa che può essere disegnata come punto di arresto di
una macchina. Nel riconoscere il proprio "fallimento"
nell'autocorrispondere con un elemento generato la macchina esibisce con
chiarezza un limite fattuale specifico nel suo potere di convenzionalizzazione.
Questo è un messaggio epistemologico che significa che solo una ulteriore
rielaborazione del regime canonico, o la costruzione di uno diverso, può
convenzionalizzare in autoriferimento l'elemento che si
"ribella", ricreandolo alla luce di diverse convenzioni
cognitive-costruttive. Grazie a queste proprietà,
fornite dal principio di chiusura interattiva come sviluppo generativo di
quella canonica, una topologia referenziale può sviluppare una configurazione
efficacemente autoepistemologica. Può, in altre parole, esplicitare
concretamente il meccanismo generativo delle rappresentazioni dei fatti e dei
fatti stessi entro un regime di autocorrispondenza. 3.4.3. Chiusura comunicativa Non possiamo, tuttavia,
assumere che le topologie semantico-referenziali siano entità viventi autonome.
Così risulta necessario incorporare il progettistalutente/osservatore nel
regime di una tipologia cognitiva per fornire al suo regime di
autocorrispondenza proprietà di chiusura generativa con caratteristiche di
completezza. Per migliaia di anni
intellettuali di diverso tipo hanno espresso l'immagine che le idee, come
entità autonome, stavano conducendo e guidando le loro costruzioni.
"Libertà di essere dominati" dall'oggetto creatoautocreantesi
(Bruner); l'ossessione di Malte dell'oggetto creato che diviene più grande del
cervello che lo crea (Rilke)-, la voci delle "(i)dee" che ispirano
sia gli eroi sia i poeti che ne narrano le gesta (Omero); i "simboli
attivi" (Hofstadter); la tendenza normativa di un discorso (Gonseth): sono
solo esempi di come il problema dell'autonomia del linguaggio e della sua
possibile ribellione caratterizzi tutta l'avventura cognitiva (si veda Zellini
1985 per una brillante rassegna al riguardo). Tuttavia l'autonomia delle idee
non è un mistero se l'osservatore/progettiste interagisce con esse attraverso
comunicazioni che stipulino le condizioni di selezione reciproca, cioè
comunicazioni che chiudono l'osservatore/,progettista entro
l'autocorrispondenza generativa delle idee organizzate come topologie
semantico-referenziali chiudenti. Il principio di chiusura
comunicativa genera un dominio dove ogni comunicazione tra un osservatore ed
una topologia autoreferenziale è forzata a mantenere il regime di
autocorrispondenza della seconda. Un
dominio caratterizzato da una "chiusura interattiva" che include
l'osservatore come "osservatore" che negozia la propria osservazione
in relazione ai confini di autocorrispondenza della topologia osservata o usata
come strumento di osservazione. Questa condizione costruisce un tipo di
osservazione dove la tipologia cognitiva osservata osserva se stessa attraverso
l'inclusione di un osservatore nel proprio regime di autocorrispondenza. Tale
genere di osservazione autoelaborativa è una selezione "artificiale"
delle possibilità osservative naturali dell'osservatore, ovvero una
artificializzazione delle stesse in riferimento alle proprietà di
convenzionalizzazione negoziata disegnate La chiusura comunicativa,
sul piano procedurale, si basa su un insieme di regole attraverso le quali un
osservatore/progettista può selezionare il proprio regime di autoreferenzialità
naturale in riferimento ai requisiti di quella artificiale organizzata dalla
macchina cognitiva. Tali regole sono per lo più una trasformazione semantica di
quelle di "chiusura interattiva" trattandosi, infatti, di chiusura
interattiva tra macchina ed osservatore naturale che include ambedue in un
regime di autocorrispondenza. Tuttavia, alcune di queste
regole hanno bisogno di ulteriore specificazione contestuale-procedurale. 3.4.3.1. Principio di
discontinuità gnoseologica Un progettista di topologie
cognitive deve trasformare la propria autoreferenzialità naturale in una
"artificializzata" forzando le proprie idee ad assumere una
configurazione di pacchetti sernantici canonicamente chiusi
(autoconvenzionalizzati) e resi generativi di semantica in autocorrispondenza
(tutta la sezione 4 è dedicata alla costruzione esemplificativa di un metautoma
cognitivo secondo queste regole). Facendo così il progettista
neutralizza sul piano epistemologico i fondamenti del proprio orizzonte
cognitivo, ovvero forza le convinzioni fornite dall'autoreferenzialità naturale
ad essere riorganizzate come dominii referenzialmente canonici (quindi
"artificializzate"). Non importa quanto il
progettista sia convinto della "bontà" delle proprie idee. Per
esempio, se il progettista soggettivamente crede che "due sistemi non
formano un sistema" allora deve trasformare questa espressione astratta in
una regola canonica convenzionale che generi una semantica, per esempio,
descrittiva in regime di autocorrispondenza con l'espressione generante stessa.
Per esempio: "una società non è un sistema, ma una popolazione di
sistemi" è un'autocorrispondenza semantica canonicamente generata dallo
spazio referenziale chiuso *due sistemi non formano un sistema* che chiude interattivamente la credenza ed una possibile
conseguenza del convincimento soggettivo del progettista. In altre parole il
progettista non è forzato a modificare le proprie credenze, ma ad organizzarle
entro quadri inferenzialmente successivi di conseguenze regolate dal regime di
corrispondenza auto-evolutiva della macchina, ovvero regolate da una tautologia
che mantiene il controllo epistemologico dei suoi sviluppi come controllo
continuo della condizione di perfetta autoconvenzionalità. In breve, l'atto artificiale
di trasformare un orizzonte cognitivo naturalmente autoreferenziale in una
topologia canonica autogenerativa dota la costruzione cognitiva di un status
autoepistemologico esplicito, ovvero di un confine molto netto tra
l'autoreferenzialità naturale e la condizione di "osservatore artificiale".
Mantenendo questo confine il progettista può generare fatti e criterii il cui
significato è regolato dal regime di autocorrispondenza. Può, in sintesi,
"organizzare l'astrazione" nell'ambito di una trasparenza
autoepistemologica esplicitata (cioè il vantaggio fornito da dichiarazioni di
convenzionalità pura che trovino un riscontro concreto sul piano
dell'organizzazione della procedura generativa di cognizione). 3.4.3.2. Principio
dell'osservazione stipulata La trasparenza autoepistemologica
intrinseca è una proprietà molto potente nell'organizzazione del dialogo tra l'osserv artificiali" di diverso tipo. E' tuttavia proprietà
che rimane solo allo stato potenziale se tra i sistemi che comunicano non viene
costruita una stipulazione che regoli l'osservazione reciproca. Tale problema
assume toni più delicati lì dove sia un utente naturale a dialogare con una
macchina cognitiva organizzata come topologia del secondo ordine. Una soluzione di questo
complesso problema di interfaccia consiste nella costruzione di mediatori
specifici che operino una "chiusura interattiva" tra le
entità in comunicazione. Una tale topologia di comunicazione non fornirà
all'osservatore naturale o artificiale una rappresentazione
dell'"osservatore artificiale" osservato come esso "è".
Fornirà, invece, all'osservatore una rappresentazione rielaborata da una
chiusura interattiva reciproca tra osservatore e macchina osservata. Nel disegno di topologie del
secondo ordine, in sintesi, deve essere anche disegnata una
"chiusura" comunicativa che renda stipulata l'osservazione di esse in
relazione ai requisiti di autocorrispondenza. e deve ottenere, in altre parole,
che una macchina sottoposta ad osservazione possa autoevolvere in relazione al
panorama referenziale dell'osservatore nell'ambito di una selettività reciproca
esplicitata. La chiusura comunicativa, su
questo piano, instaura la condizione di intersoggettività e selettività in
riferimento a criterii specifici tra diverse macchine cognitive e tra esse e gli
utenti naturali. 3.4.4. Il potere neo-convenzionale dei metautomi Così descritta, la
"chiusura generativa" è una procedura per costruire topologie
cognitive di secondo ordine che generano fatti e rappresentazioni attraverso
procedure tale scopo deve aprire i
propri autoriferimenti organizzandosi come "macchina canonicamente
autonwendente". Questo punto può essere
contestualizzato nell'ambito dei linguaggio della teoria dei sistemi chiudenti
facendo riferimento a come Luhrnann ne valuta lo stato: "Una nuova
epistermlogia deve fare attenzione almeno a due distinzioni fondamentali: la
distinzione tra autopoiesi e osservazione da un lato e quella tra osservazione
esterna ed interna, dall’altro. Combinare queste due distinzioni è uno dei
compiti irrisolti della teoria dei sistemi" (1984a:187). La nostra risposta è che la
convenzionalizzazione artificiale delle proprietà generative del linguaggio può
includere ambedue le distinzioni nell'ambito di un regime di
autocorrispondenza, dove cioè le semantiche generanti e generate condividono il
medesimo dominio. In altre parole
questo problema rimane un problema solo se le convinzioni sistemiche non
vengono organizzate come topologie generative di autocorrispondenza. 3.5.
Profilo gnoseologico di un metautoma cognitivo Che tipo di organizzazione
dell’astrazione è possibile attraverso macchine cognitive disegnate secondo il
principio della "chiusura generativa"? Come ogni tipo di
macchina,
un metautoma cognitivo "comprime" il significato delle operazioni
entro il suo regime auto-operativo. La verità della macchina è uno stato della
macchina stessa (il discorso "sulla verità" della macchina è la descrizione
delle condizioni di funzionamento di essa). Una macchina riconosce la propria
autoverità quando non trova ostacoli nel processo di "chiusura". Una
macchina è autoreferenzialmente "falsa" quando, semplicemente, non
funziona, non gira più. La chiusura generativa
fornisce ad un metautoma cognitivo una capacità infinita di autoevoluzione come
estensione indefinita del suo potere di convenzionalizzazione
autoriferita. La controfattualità
autogenerata può essere riconosciuta dal metautoma come impossibilità di
completare una "chiusura interattiva" di livello specifico (cioè come
punto di arresto nel regime di chiusura).
Tuttavia, anche se è possibile disegnare una procedura per la quale un
metautoma possa riconoscere la controfattualità nel regime autogenerato dei
fatti, sarà sempre impossibile decidere se la rielaborazione indotta dal punto
di arresto riconvenzionalizza quello specifico fatto che ne è "causa" o se
genera un diverso universo di fatti dove quella specifica controfattualità
perde il suo significato precedente. Ciò significa che le proprietà
autocostruttiviste della chiusura generativa producono una indecidibilità
intrinseca nell'interazione tra linguaggio e fatti: gli eteroriferimenú
cambiano in relazione ai "salti" rielaborativi del regime canonico. Il metautoma cognitivo,
quindi, non risolve il problema dell'Empirismo logico di ottenere una
stabilizzazione logica del linguaggio allo scopo di dominare che
"cosa" viene messo in corrispondenza con i fatti. Anch'esso risulta
limitato da una indecidibilità intrinseca della relazione tra linguaggio e
fatti stessi. Domina, tuttavia, questo problema stabilizzando il raggio dei
possibili significati che un'espressione di corrispondenza può assumere:
denunciandola come autorelativa ne ricostruisce la completezza sul piano
dell'autoreferenza, rinunciando alla "oggettività" della completezza
stessa. Questa soluzione del "punto di arresto" dell'Empirismo logico
ne riapre il programma sul piano dei linguaggi di autocorrispondenza. 3.5.4. Autoselettività come
dominio generativo della circolarità In generale, qualsiasi
macchina cognitiva tende a "mangiarsi" la controfattualità creando
nuovi fatti su cui la macchina stessa può "ri-chiudersi" (es.: la
possibilità della condizione di Lakatos relativa al controllo empirico di una
convenzione è sempre indecidibile se organizzata nell'ambito di un linguaggio
eteroreferenziale che dota i "fatti" di un potere selettivo di carattere
oggettivo). Questo problema può essere
meglio apprezzato se si vede, metaforicamente, una qualsiasi macchina cognitiva
come un "treno che costruisce da se i propri binarii". Per esempio la matematica è un
treno di questo tipo quando costruisce se stessa lungo l'asse dell'infinito
numerico autogenerato. Il linguaggio
costruisce i suoi sviluppi attraverso la "nominazione" di un
qualsiasi oggetto sulla base autoriferita della propria ecologia ricorsiva . Questi treni cognitivi autocostruentesi non possono essere aperti a criteri osservativi di oggettivismo eteroreferenziale in quanto il tipo di chiusura che compiono sull'osservatore - utente è una "spugna" che ne assorbe la capacità di discriminare il piano di realtà costruita dalla macchina e quello esterno ad essa in riferimento al primo. L'osservatore, cioè, non regola la propria posizione in riferimento allo strumento di osservazione in quanto questo ultimo non possiede un linguaggio di autocorrispondenza che espliciti come la visione prodotta sia autoconvenzidnale. Senza questa regolazione l'osservatore è forzato a trattare un problema di generalità attraverso un linguaggio locale di cui sono oscuri sia confini che selettività topologica specifica. Il problema della decidibilità del linguaggio è qui ulteriormente complicata dall'assenza di dominio della circolarità locale, ma infinitamente estendibile sul piano autocostruttivo, delle convenzioni osservative.
CONTINUA
|