HOME PAGE

 

 

ORGANIZZAZIONE DELL'ASTRAZIONE

ATTRAVERSO METAUTOMI COGNITIVI

 

Precursori e costruzione di un osservatore artificiale

 

di Carlo Pelanda (1989)

Avvertenza: qui vengono presentate solo alcune sezioni del testo. Chi desidera ottenere il testo completo contatti Carlo Pelanda

 

 

RICONOSCIMENTI

 

La linea di ricerca presentata in questo saggio è stata resa possibile da una pluralità di finanziamenti. Nell'ambito dei progetti "Evoluzione del pensiero sistemico come scienza e tecnologia della cognizione" e "ARAMIS"(Archive for Rescarch and Analysis on the Methodologies for Integrated Scenarios) finanziati dal C. N. R., Comitato nazionale per le ricerche tecnologiche, sono stati sviluppati gli elementi procedurali del tipo di "Sistemica cognitiva" qui presentata, in particolare, nella sezione 3. Dal 1985 al 1990 un finanziamento su base ordinaria da parte del "Programma Sociosistemica" dell'ISIG ha permesso la costruzione del (meta)automa "ESM" ("Evolutionary Sociosystemics Metautomaton") nei suoi aspetti di macchina cognitiva virtuale, qui sinteticamente presentati nella sezione 4. Un sostegno finanziario specifico nell'ambito dello "International Laboratory for Socio-Political Ecology - INTERLAB", University of Georgia, Athens, USA, ha alimentato ed alimenta lo sviluppo delle prestazioni di ESM nel dominio delle scienze sociali. Ovviamente nessuna responsabilità al riguardo dei contenuti presentati può essere attribuita alle istituzioni sopra citate.

 

RINGRAZIAMENTI

 

Per il sostegno dato al "Programma Sociosistemica" si desiderano ringraziare A. M. Boileau e A. Gasparini, rispettivamente precedente ed attuale direttore dell'ISIG.

Per una prolungata attenzione critica al riguardo della linea di ricerca qui presentata deve essere segnalato un ringraziamento particolare a L. Gallino., F.A. Bates, P. Bisogno, A. Cavalli e M. Negrotti va la nostra gratitudine per aver provveduto un sostegno di fondo a tale linea di ricerca.

Lo sviluppo di essa non sarebbe stato possibile senza il contributo critico continuo dei colleghi del Programma Sociosistemica: N. Addario, D. Gallino, G.F. Lanzara, M. Lombardi, S. Manghi, D. Nicolini, F. Pardi, W. Peacock, D. Ungaro.

Un ringraziamento particolare, infine, va agli studenti dei corso di "Cognitive Systemics" (Autunno 1989, "University of Georgia", Athens, USA) per aver sperimentato delle applicazioni dei modi sistemico-cognitivi qui presentati con esiti molto efficaci sul piano della comprensione sia dei limiti sia dei possibili sviluppi di essi. Ovviamente a nessuno dei nomi citati va attribuita una partecipazione di responsabilità ai contenuti di questo testo.

 

 

 

INTRODUZIONE

 

La debolezza dell'oggettivismo non sta nel primato del requisito di corrispondenza tra costruiti cognitivi e fatti.  Sta piuttosto nel definire con precisione cosa sia in corrispondenza con cosa. E' una debolezza che riguarda la codificazione dei discorsi sugli oggetti e la generazione degli oggetti stessi: tutte le forme di empirismo sono tradizionalmente ambigue nel definire come venga generato un oggetto di cognizione e come venga organizzata l'astrazione in riferimento ad esso.  L'empirismo non mette in corrispondenza il linguaggio di generazione degli oggetti con quello di analisi degli stessi.  Questa mancanza di corrispondenza interna tra le diverse fasi della procedura cognitiva viene poi trasformata in una arbitraria distinzione tra oggetto e discorso su di esso, ovvero tra teoria e fatti: trasformata, in altre parole, nell'idea che i fatti possano essere in qualche modo indipendenti dal linguaggio che li genera.  Il linguaggio di corrispondenza così organizzato lascia, tuttavia, sempre ambiguo che cosa sia un "fatto".  Quando poi viene dottrinariamente fissato che i "fatti" siano oggettivi, allora non si può non segnalare quanto tale principio sia indebolito dalla constatazione che tale presunzione di oggettività non sia altro che il prodotto di un modo "molto lasco" di definire il linguaggio che genera i "fatti stessi".

L’"Empirismo logico" ci ha regalato questo sospetto sull' "ambiguità fondamentale" dell'empirismo stesso nel momento in cui dimostrava l'impossibilità di determinare la relazione tra "linguaggio" e "fatti" se ritenuti "indipendenti". Sospetto poi enfatizzato (sul piano delle proprietà del linguaggio) sia dalle domande di Wittgenstein che dalle riflessioni "costruttiviste" e "pragmatiste" della "Nuova filosofia della scienza"

Nei libri si legge che l'Empirismo logico è fallito nel suo programma di codificazione epistemologica della relazione tra procedure astratte e fatti. Tale fallimento è stato poi interpretato come legittimità ad espellere l'epistemologia dalla formulazione delle procedure cognitive, sostituendola con un pragmatismo metodologico che impiega gli strumenti dell'empirismo stesso senza riflessione su di essi.

Non come filosofi in senso disciplinarmente proprio, ma come progettisti di (meta)macchine cognitive ad applicazione disciplinare (scienze sociali), sentiamo il bisogno di un "pragmatismo regolato epistemologicamente" che la dottrina, tuttavia, non sembra in grado di fornire. Abbiamo bisogno, in altre parole, di procedure che permettano di regolare l'organizzazione dell'astrazione in modo tale che il linguaggio di generazione selettiva dei fatti in riferimento all'orizzonte dell'osservatore possa essere connesso esplicitamente al linguaggio di generazione dei fatti stessi, allo scopo di conoscere e dominare il "come" una macchina cognitiva costruisca i fatti ed il regime di corrispondenza con essi.

In sintesi sentiamo un problema di "ordinamento" in una situazione di mercato delle idee dove sembra poca l'offerta di materiali in tale direzione.  C'è invece molta offerta sulla recita continua dei problemi di complessità e sui modi discorsivi della ricerca: cioè molta offerta di impressionismo cognitivo organizzato come metafora letteraria.Tale offerta, pur istruttiva, non serve tuttavia molto sul piano del dominio dei linguaggi generativi di cognizione, per lo meno non serve in termini di impiego diretto.  Non resta altro quindi che mettersi al lavoro sul piano delle dimensioni epistemologiche e gnoseologiche più generali mirando a "soluzioni", più che alla rappresentazione letteraria, del problema della complessità.

Un modo ragionevole per farlo è quello di dichiarare riaperto il programma dell'"Empirismo logico", cioè la ricerca dei modi con cui definire la relazione tra linguaggio e fatti entro procedure confinabili. I risultati raggiunti da tale programma sono stati molto importanti (ed è assurdo secondo noi parlare di "fallimento" complessivo) avendo mostrato i limiti dell'empirismo sul piano di tutti i suoi assunti principali, forzandone le conseguenze.  Il risultato dell'empirismo logico è infatti notevole se si vuol vedere bene: ha dimostrato che gli obiettivi morali dell'empirismo non possono essere ottenuti attraverso la dottrina gnoseologica dell'empirismo stesso.

Per qualcuno ciò è "disincanto". Per noi è semplicemente un'indicazione ad abbandonare la dottrina empirista allo scopo di perseguirne l'obiettivo principale: procedure conoscitive dove sia possibile instaurare un dominio della corrispondenza tra astrazione e fatti.

Tale traiettoria, a nostro avviso, non può far altro che enfatizzare il problema del dominio dei modi con cui si organizza l'astrazione, ovvero delle convenzioni che costruiamo per trattare cognitivamente gli oggetti di nostro interesse.

Se si vuole, proponiamo un'enfasi "neo-convenzionalista" per ripartire dai risultati dell'empirismo logico allo scopo di trovare modi "forti" per dominare il come si organizza l'astrazione ed il suo regime di (auto)corrispondenza.  "Forti" in quanto precursori di un linguaggio di costruzione di (meta)macchine cognitive dove il requisito di disegno e gestione non può far altro che basarsi su vincoli di "chiusura" del sistema: cioè, sapere come funziona lo strumento che costruisce l'oggetto, il discorso sull’oggetto e la relazione tra i due. "Forti" in quanto questo tipo di costruzione degli strumenti dei sapere opera attraverso la capacità di definire limiti molto precisi ed espliciti allo scopo di poterli rielaborare in forma intersoggettiva ed evolutiva: proprietà di sviluppo che attribuiamo all'orizzonte delle (meta)macchine cognitive come organizzatori di astrazione.

Ci concentreremo, nel testo che segue, sui precursori (sezioni 1 e 2 sui requisiti procedurali (sezione 3) e su un esempio (sezione 4) di macchina cognitiva che funziona come "Osservatore artificiale", ovvero come convenzione in cui è esplicita l'architettura dei modi con cui oggetti e discorso su di essi viene generato. Tale "metautoma" cognitivo è una struttura di linguaggio che genera una procedura autoevolutiva ed autorielaborativa di "osservazione" mantenendo il dominio epistemologico e metodologico delle proprie operazioni man mano che si sviluppano.

"Artificiale" perché obbliga il soggettivismo dell'osservatore, progettista/utente, "naturale" a ricodificarsi entro vincoli comunicabili sul piano interno della macchina e delle sue interazioni sia con altri "soggetti" che con il campo di fatti selettivamente generato. "Metautoma" perché l'organizzazione dell'astrazione è elaborata in forme vincolate e "chiudenti" progettate, tuttavia, per aprirsi ad interazioni che rielaborino sia i materiali interni che il linguaggio di comunicazione.

I materiali del metautoma cognitivo (ESM: "Evolutionary Sociosystemics Metautomaton"; "Metautoma di Sociosistemica Evoluzionistica") riguardano una convenzione teoretica da impiegarsi per l'ordinamento generale di modelli sociologici (ESM, infatti, è un linguaggio ordinatore che costruisce oggetti sociologici convenzionali integrando i linguaggi dell'evoluzione, dei sistemi, dell'attore - la mente - e dell'azione ed ha scopi sperimentali di "-ismo", cioè di quadro generale di riferimenti generativi di ordinamento cognitivo). Al riguardo, si prega il lettore di ricordare che il contenuto di ESM deve essere considerato nei suoi aspetti di dimostrazione esemplificativa di come potrebbe funzionare un tale tipo di macro-ordinamento per fini di descrizione di un modello sociale (una versione preliminare di ESM è stata pubblicata in Pelanda 1989; altre descrizioni dettagliate sia di ESM che della linea di ricerca di cui è componente sono state pubblicate nella serie "Quaderni del Programma Sociosistemica" dal 1984 al 1990; il testo qui presentato è uno sviluppo della monografia "Cognitive Neo-Systemics.  Theory of Artificial Observers").

 

 

l. DAL "CONVENZIONALISMO COMPROMISSORIO"

AL REQUISITO DI "AUTOCORRISPONDENZA"

 

1.1. La quantità di risorse concettuali per sostenere il passaggio dal "problema dell'ordine" (come spiegare una realtà considerata "data") al problema dell'ordinamento (come trattare una realtà che non può essere accettata come data, ma solo come costruita dall'azione cognitiva) è molto ampia e variata in termini di argomentazioni post-(ed anti-) empiriste.

Il lato costruttivista degli sviluppi in filosofia e psicologia della conoscenza ha reso molto difficile la difesa del principio di neutralità gnoseologica tra osservatore e oggetto osservato sul quale molto della dottrina tradizionale dell'empirismo riposava.  La maggiore consapevolezza al riguardo del "problema del linguaggio" ha poi reso impossibile la continuazione della pretesa che fosse possibile mantenere indipendenti organizzazione del linguaggio stesso e fatti entro ambiti di verità differenziabili, ma integrabili come luogo di corrispondenza tra entità diverse. C'è da dire che questo ultimo punto, rilevato come limite nel e dal programma dell'Empirismo logico, non ha prodotto la conseguenza dell'abbandono dei modi dottrinari dell'empirismo in generale, ma solo un restringimento molto ambiguo del raggio delle sue pretese dottrinarie, rendendole molto sfumate.

 1.2. La dottrina empirista è stata profondamente revisionata alla luce di considerazioni costruttiviste e relativiste.

Il deduttivismo ipotetico di Popper ed il modello dei "Programmi di ricerca" di Lakatos, per esempio, accettano e sviluppano l'idea che una convenzione costituisca il fattore guida di un processo cognitivo (viene cioè abbandonato il modo induttivo come fondamento di un'osservazione).

L'epistemologia neo-razionalista, poi, accetta un alto grado di relativismo nella descrizione e codificazione delle interazioni cognitive.

Tuttavia queste, ed altre, revisioni mantengono l'idea che siano i "fatti oggettivi" (non importa quanto relativizzati) a poter e dover guidare un processo cognitivo. In altre parole, la dottrina corrente del neo-razionalismo empirico tenta di assorbire il relativismo generato dall'accettazione ormai diffusa del costruttivismo (e del pragmatismo che caratterizza la ricerca "reale") attraverso una progressiva "relativizzazione" dei principio empiristi tradizionali: corrispondenza empirica come verità oggettiva, neutralismo gnoseologico, anticonvenzionalismo. 

 Ma il cuore della tradizione empirista, anche se relativizzato, è difeso come pilastro assoluto ed irrinunciabile: il regime oggettivista dei fatti e l'implicato valore epistemologico della corrispondenza con essi.

 Il punto critico è che risulta sempre più difficile negare, o sottostimare, che i "fatti" siano generati dal dominio dell'osservatore, cioè dall'azione costruttivista di un sistema cognitivo in modo selettivamente riferito alle proprie caratteristiche specifiche. Questo punto impedisce di ritenere possibile l'"oggettività" indicando che un "dato" è dato in riferimento all'autonomia cognitiva di un osservatore e/o di un sistema osservatore. Il dato, cioè, viene costruito dai termini di riferimento interni del sistema di osservazione attraverso una ricodificazione autoriferita (o autogenerazione in toto) della relazione con il panorama cognitivo osservato.

 La conseguenza, per chi accetta questa visione, è che una costruzione cognitiva può corrispondere solo con se stessa tentando di "corrispondere" con i fatti autoreferenzialmente generati. Questo punto "neo-convenzionalista" non può essere relativizzato.

 

1.3.  Il modo empirista tenta di relativizzare l'oggettivismo allo scopo di mantenere il primato dell'eteroreferenzialità contro l'autoreferenzialità implicata (o per lo meno ammessa) dall'idea di costruttivismo cognitivo, ovvero contro una forma di convenzionalismo dotata di un nuovo motore costituito dalla relativizzazione del "problema del riferimento" in "riferimento" al dominio dell'osservatore. La relativizzazione dell'oggettivismo, tuttavia, significa una "convenzionalizzazione relativa dell'oggettivismo", cioè una convergenza tra "empirismo relativizzato" e "convenzionalismo relativizzato".

 E'questo "compromesso di convergenza" possibile? Può il razionalismo empirico sopravvivere all'indimostrabilità delle sue premesse attraverso un compromesso tra eterocorrispondenza ed autocorrispondenza?

 

1.4. Nella pratica, la forza del razionalismo empirico non consiste nel dichiarare che esso tratta la realtà alla luce della teoria della verità come è corrispondenza empirica (cioè alla luce di un continuismo gnoseologico tra l'organizzazione delle idee ed i fatti nel primato del riferimento a questi ultimi, ovvero "eteroreferenzialità"). Consiste piuttosto nella capacità di far interagire una organizzazione concettuale con un insieme limitato di fatti,"fatti" convenzionalizzati in riferimento alla strategia cognitiva attuata.

Per esempio, l'organizzazione di una realtà convenzionale "barca" (che può essere vista come complesso cognitivo-pratico costruito) è soggetta a controllo fattuale provandone le prestazioni di galleggiamento in acqua.  Facendo così la realtà "acqua" è convenzionalizzata in riferimento al problema del galleggiamento e non considerata nella sua qualità complessiva di realtà indipendente dall'esistenza del problema cognitivo specifico dell'"osservatore" interessato a far navigare bene la barca progettata. Se la prova di galleggiamento ha successo, ciò significa che la "prestazione ordinatrice" della realtà "barca" è in grado di costruire, una realtà "acqua" convenzionalizzata dalla selezione riferita al problema del galleggiamento (cioè convenzionalizzata dalle proprietà ordinatrici dell'"ordinamento" barca stessa).

Il processo di validazione relativa e confutazione di un costrutto cognitivo si basa sulla possibilità di confinare un dominio fenomenologico in relazione ai "confini di riferimento" della costruzione cognitiva stessa. "Corrispondenza", qui, semplicemente significa "tautologia" in quanto la costruzione cognitiva corrisponde con se stessa generando fatti (ed il loro significato) in riferimento a se stessa.

 

1.5. Il razionalismo empirico corrente accetta l'argomento che una costruzione cognitiva non coinvolga una realtà in tutti i suoi aspetti e, per questo, che una realtà sia sempre selezionata in riferimento ad una convenzione ed allo specifico problema cognitivo da essa portato.  Accetta, in altre parole, che una realtà risulti sempre "selezionata convenzionalmente".

Esiste, tuttavia, una profonda differenza tra il concetto empirista di "convenzione selettiva" e l'idea neo-convenzionalista (che perseguiamo) di "convenzionalizzazione selettiva".Il primo assume che l'atto di selezione cognitiva semplicemente "tagli" un pezzo di realtà senza rielaborarne le proprietà oggettive (o rielaborandole solo in termini di astrazioni semplificanti che tuttavia rispettano la realtà originale; per esempio: il concetto di "convenzione operativa" di Reichenbach; il "realismo analitico" di Parsons; ecc.). Al contrario, una visione neo-convenzionale e neo-costruttivista assume che l'instaurarsi di un dominio cognitivo convenzionale generi selettivamente i propri fatti (non importa se pro o contro) costruendone autoreferenzialmente il significato. In questa visione "convenzionalizzazione" significa vera e propria costruzione autoriferita di un dominio fenomenologico-fattuale.

 Nella visione neo-convenzionale che qui stiamo strutturando non c'è ambiguità al riguardo della relazione tra una realtà selettivamente costruita da una "convenzione cognitiva" ed altri livelli di realtà.  Tale relazione è cognitivamente discontinua in quanto regolata dall'instaurarsi di un dominio autoreferenziale che tratta i propri eteroriferimenti adottando criterii del tutto autoriferiti.

Al contrario, nella visione empirista, questa relazione rimane invariantemente ambigua in quanto le proprietà selettive della convenzione non sono esplicitate nella loro dimensione costruttiva. E', infatti, assunto implicitamente che una convenzione cognitiva possa corrispondere "a priori" con una realtà oggettiva e che quindi risulti predisposta ad essere controllata "dopo" in termini di corrispondenza empirica. Viene assunto cioè che una sorta di "continuità cognitiva" persista tra realtà convenzionalizzata e realtà oggettiva. Ma questo è un paradosso tautologico. L'approccio neo-convenzionale costruisce, invece, tautologie che possono evitare tali paradossi esplicitando la natura ed i meccanismi autoreferenziali delle costruzioni cognitive e del loro modo selettivo.  In altre parole, si ritiene che una tautologia possa "deparadossizzare" (usando un termine caro a Luhmann) se stessa se lasciata corrispondere con se stessa, ovvero obbligata ad esplicitare la propria autoreferenzialità. Tale esplicitazione toglie ambiguità alla natura delle convenzioni e convenzionalizzazioni cognitive presentandosi come selettività che opera con un "taglio netto". L'esplicitazione dei regime di autocorrispondenza, infatti, ha la proprietà non banale di rendere invariantemente discontinuo la relazione tra costrutto cognitivo ed eteroriferimenti, chiarendo quindi la natura autoreferenzialmente costruita di essi.

 

1.6.  Il modo empirista tratta un regime tautologico forzando la tautologia a corrispondere con qualcosa di diverso da essa che non può tuttavia esistere indipendentemente da essa stessa. 

Per esempio il fondare una teoria dei sistemi assumendo come dato che i sistemi esistano nella realtà oggettiva conduce al paradosso di validare l'esistenza oggettiva dei sistemi sulla base della teoria dei sistemi stessa. Il nodo empirista può risolvere questo paradosso solo forzando la teoria dei sistemi a corrispondere con qualcosa di diverso da sé, cioè, sistemi che esistono "realisticamente". Tuttavia i sistemi sono stati generati dal costruzione linguistica "teoria dei sistemi". Così la convenzione è forzata a corrispondere con una realtà oggettiva che invece è realtà autoreferenzialmente generata. In questo caso alla tautologia non è permesso corrispondere con se stessa. Perciò essa non può deparadossizzare il proprio paradosso tautologico in quanto non le è permesso di "chiudere" il proprio apparato cognitivo: non può pertanto completare la propria portanza cognitiva integrando il suo discorso convenzionalizzato sul mondo con l'autodescrizione del come tale discorso venga fatto. 

Ci piace dire (prendendo a prestito da Ungaro): non può aprire la sua sintassi della "chiusura" ad una semantica dell'autoreferenzialità. 

Per risolvere questo paradosso bisogna "far dire" alla teoria dei sistemi che essa genera una realtà convenzionalizzata chiamata "sistemi" e che tale realtà convenzionalizzata corrisponde alla teoria attraverso la proprietà generativa dell'autoreferenzialità di costruire fatti e fenomeni selettivamente convenzionalizzati dal linguaggio della teoria stessa. In questo caso alla tautologia è permesso di corrispondere esplicitamente con se stessa e, quindi, di "chiudere" il paradosso incorporandolo nella propria organizzazione.

 

1.7. Il modo empirista (non importa quanto "neo-" o quanto "relativizzato") non può usare questa soluzione in quanto ciò significherebbe dover abbandonare l'idea di corrispondenza tra una costruzione cognitiva ed un riferimento fattuale diverso da essa: abbandonare, cioè, la possibilità della "corrispondenza guidata da criterii eteroreferenziali". Abbandonare quindi il pilastro essenziale dell'empirismo. Il dilemma dell'empirismo può essere fraseggiato come segue: o esso affronta l'impossibilità di chiudere i paradossi tautologici permettendo al proprio modo cognitivo di "mentire" nel definire come eteroreferenziale l'autoreferenzialità delle convenzioni selettive oppure, riconoscendo l'autoreferenzialità di esse, deve abbandonare le proprie fondazioni. In altre parole: o ammette che una teoria possa dire che essa corrisponde con qualcosa altro mentre sta corrispondendo con se stessa oppure dichiara di non avere fondamento metodologico. In tal senso la risposta alla domanda se sia possibile o meno costruire un compromesso cognitivo tra un "oggettivismo convenzionalmente relativizzato" ed un "convenzionalismo oggettivamente relativizzato" è "no". E' no in quanto l'accettazione di tale compromesso significherebbe il dover tollerare paradossi tautologici che non possono essere chiusi (cioè deparadossizzati dalle proprietà organizzative del linguaggio con cui è ordinata una convenzione cognitiva). 

 

1.8.  Questo "no" al Il convenzionalismo compromissorio" significa abbandonare la tradizione metodologica empirista basata sul principio della cognizione eteroreferenziale e la sua ambiguità di fondo.  Ciò, tuttavia, non significa abbandonare l'universo morale dell'empirismo nella sua enfasi in riferimento al requisito di controllo fattuale dei costruiti cognitivi. In particolare non significa passare da una ecologia gnoseologica dei "fatti come criterio selettivo principale delle idee" ad una "delle idee come criterio selettivo principale dei fatti".  Non è idealismo.  Significa piuttosto passare da una ecologia dove idee e fatti sono considerati come entità separate ad una dove idee e fatti siano chiaramente integrati in un dominio autoreferenziale, dove cioè idee e fatti possano essere chiaramente trattati in riferimento alle caratteristiche ordinatrici del sistema osservatore.

Questa posizione di neo-convenzionalismo ("neo" perché enfatico sul requisito di completezza del regime di autocorrispondenza di una convenzione) genera un linguaggio che taglia molto nettamente i panorami della cognizione (ed è per questo precursore essenziale dell'organizzazione secondo modi "forti" dell'astrazione). L'azione cognitiva non "scopre" o "interpreta" la realtà: costruisce realtà autoreferenzialmente convenzionalizzate. Non descrive una realtà, ma la ordina in riferimento all'azione ricombinante orientata dalla costruzione cognitiva che osserva. Il principio di corrispondenza non valuta la verità o falsità di tali costruzioni cognitive, ma la capacità di esse di dominare un regime autoreferenzialmente generato di fatti e "controfatti".

Su questa base non c'è più significato nel far rimanere i linguaggi cognitivi entro i panorami del "problema dell'ordine", cioè come spiegare una realtà acquisita come dato eteroreferenziale oggettivo.  Tale problema deve essere sostituito da quello dell'"ordinamento", cioè come trattare costruzioni cognitive che esibiscono la proprietà di costruire autoreferenzialmente la propria realtà di riferimento, generandola.  Più specificamente è il problema di come evitare paradossi tautologici nel regime di autocorrispondenza di un osservatore.

 

1.9.    Il "problema dell'ordine" induce il ricercatore a credere di poter essere a contatto con la realtà oggettiva in una sorta di modo naturale e magico. Questa illusione porta ad ambiguità fondamentali come quella di costruire sistemi cognitivi che dichiarano di essere "aperti" all'eteroreferenzialità mentre funzionano attraverso linguaggi basati sulla "chiusura" autoreferenziale. 

Il problema dell'ordinamento" illumina con luce molto netta lo status di autorealtà di ogni costrutto cognitivo.

 

 

 

 

                                                                                             

 

2. IL REQUISITO DI ORGANIZZAZIONE

DELL'ASTRAZIONE

 

 

 

La transizione dal "problema dell'ordine" a quello dell' "ordinamento" significa muoversi da un mondo dato secondo modi inespliciti verso uno dove si è consapevoli che esso non ci è "dato", ma costruito da statuti linguistici che organizzano l'architettura delle astrazioni. La visione neo-convenzionale qui propugnata orienta tale migrazione enfatizzando le proprietà autoreferenziali dei sistemi cognitivi che organizzano l'astrazione. Il rifiuto, di riconoscere le proprietà autoreferenziali e costruttiviste dei sistemi cognitivi comporta una loro costruzione o gestione senza autolimiti in grado di gestire i paradossi tautologici del regime di autocorrispondenza.

 

 

2.1. Si consideri un ordinamento statistico come esempio generale di "ordinamento". Esso di routine trasforma un livello di realtà nei suoi simboli e schemi (es.: variabili e matrici di correlazione), ovvero costruisce una realtà convenzionalizzata generata secondo i requisiti dei "modulo ordinatore" statistico. Tale modulo regola la validità metodologica del proprio ordinamento cognitivo facendo riferimento ai propri criterii di validità ed invalidità, cioè ratifica se stesso nell'ambito di un regime tautologico dei criterii di controllo.

Tutte queste operazioni sono tipiche azioni di "chiusura auto-operativa" di un linguaggio ordinatore. Facendo cosi, da un lato, il linguaggio ordinatore concretamente convenzionalizza un altro livello di realtà ricostruendolo in riferimento ai propri criterii linguistici interni e chiudendolo in relazione al loro requisito specifico di autocoerenza (se il linguaggio ordinatore rimanesse "aperto" non ci potrebbe essere alcuna prestazione ordinatrice per assenza di limiti nei significati delle diverse parti della sequenza ordinatrice). D'altra parte in tale operazione di chiusura costruttiva il linguaggio deve "dissipare" la generalità dei proprio metodo ordinatore in quanto vincolato al proprio ciclo operativo. Il requisito di chiusura, in altre parole, comprime il significato della convenzionalizzazione entro il limite operativo del meccanismo di convenzionalizzazione stessa. Il "sistema" comprime il significato dell'operazione svolta entro i confini e requisiti del proprio linguaggio procedurale. Il che significa che un prodotto statistico non è una rappresentazione "compatta" di un pezzo di realtà oggettiva, ma una rappresentazione convenzionale il cui significato è compresso entro i confini dell'autorealtà procedurale dell'ordinamento.

Ciò diviene un "problema" quando un attore cognitivo usa una rappresentazione, per esempio, statisticamente convenzionalizzata dimenticandosi la compressione procedurale che l'ha costituita, cioè quando si tratta il significato compresso della rappresentazione convenzionalizzata come rappresentazione corrispondente alla realtà e non come regime di autocorrispondenza.

Infatti questa credenza (basata sull'assenza di un linguaggio autoriflessivo nel modulo ordinatore che spieghi quello che sta facendo mentre lo fa, quindi definendone gli autolimiti) permette all'attore cognitivo di lasciare inesplicito il tipo di convenzionalizzazione costruttivista che sta impiegando sia nell'orientare il fuoco della macchina, ad esempio, statistica sia nell'interpretazione inferenziale dei dati. In altre parole l'illusione "non limitata" di lavorare "sulla realtà" tende a lasciare inesplicita la sequenza di convenzionalizzazioni che producono i risultati inferiti di un'analisi statistica non venendo chiariti i ruoli delle procedure di chiusura in tale processo. Soprattutto tale inconsapevolezza oscura i confini dei diversi sistemi che stanno compiendo l'inferenza (es.: il modulo statistico; la teoria dei sistemi; il particolare modulo ideologico del ricercatore; ecc.). Senza la fissazione di questi confini succede che il linguaggio ordinatore comparativamente e contingentemente più "forte" invada quello dei sistemi cognitivi che partecipano al processo (es.: un'inferenza) convenzionalizzandoli (cioè rinormalizzandoli) in riferimento al proprio. Come conseguenza succede che durante un processo analitico-inferenziale la "convergenza" conclusiva possa essere viziata dal dominio non riconosciuto di un linguaggio convenzionale capace di convenzionalizzare contingentemente gli altri, selezionando in riferimento a sé i loro significati proprii.

Questo succede, per esempio, quando vediamo che i linguaggi formali forniscono la semantica ed i significati al contenuto qualitativo di un’inferenza: la "correlazione matematica" diviene una relazione "reale"; la spiegazione statistica" diviene una spiegazione causale "reale". In altre parole, l'estensione referenzialmente illimitata del significato compresso di un ordinamento statistico-matematico diviene una rinormalizzazione generale dell'intero processo cognitivo in riferimento a quello statistico stesso

delle differenti convenzioni che interagiscono in un proSe di ciascuna

sso cognitivo non sono esplicitati i contributi e limiti ordinatori specifici, cè allora una o un numero ristretto di esse tenderà a ridurre in autoriferimento il contributo cognitivo di tutte le altre. Questo tipo di riduzionismo è, appunto, basato sul fatto che le diverse convenzioni in interazione non sono forzate a mostrare le loro caratteristiche di chiusura selettiva, ovvero non sono progettate per interagire selettivamente luna con l'altra alla luce delle rispettive autonomie ordinatrici.

In tale situazione il ricercatore si trova ad estendere impropriamente i significati di un passaggio ordinatore specifico.

 

Questa situazione si instaura per l'incapacità non tanto di dominare un singolo strumento metodologico, quanto di non dominare la "cognizione dei processi cognitivi", ovvero una situazione dove i sistemi cognitivi non dicono quello che fanno e non denunciano i propri confini e relativi criterii di interazione selettiva.

L'estensione impropria di un significato ordinatore è l'esito più probabile e vistoso dell'assenza di un meccanismo autoregolativo che specifichi i confini di portata cognitiva dei singoli sistemi che partecipano ad un processo inferenziale.

 

 

2.2.  Un problema analogo può essere rilevato nel processo di costruzione di una teoria secondo modalità "interpretativi". Il metodo interpretativo tende a produrre costruzioni cognitive incapaci di indicare le loro modalità operative e dove i pacchetti semantici sono organizzati più dalla forza "inerziale" di un discorso autostrutturantesi che da un motore di coerenza interna esplicitato. Molti pretendono che tali forme di organizzazione discorsiva dell'astrazione siano essenziali per l'evoluzione creativa delle idee. Non si capisce, però, né come né perché un modo non regolato dovrebbe produrre un così esaltante esito. Nel modo non regolato emerge comunque un ordinatore convenzionale forte: li dove esso non sia strutturato come convenzione esplicita tende a prevalere la capacità attrattiva di un "tema canonico". il testo, al meglio, diviene una ripetizione canonica del tema, variata da un gioco di metafore. Il "tema" stesso, non esplicitato nei suoi limiti e modalità ordinatrici, tende a divenire una chiave di spiegazione-rappresentazione generale. Questo è riduzionismo - anche se spesso elegante - basato su un modo di organizzare l'astrazione senza regolare le operazioni di ordinamento in atto e senza, in particolare, accorgersi dei resorio ovvero la credenza che un'astrazione costruita sulla base di indicazioni interpretative potesse avere il potere di rappresentare sinteticamente la realtà.  Non si sono accorti, in altre parole, che l'apparente adeguatezza tra convenzione e fenomeni osservati si basava sul fatto che la convenzione era già al lavoro nelle sue proprietà ordinatrici, rendendo quindi tautologica la relazione stessa. Le convenzioni sia di Parsons che di Weber sono ambedue costruiti cognitivi molto fragili basati su argomentazioni tautologiche non regolate da un meccanismo di organizzazione autoreferenziale dell'astrazione.

Non il requisito di astrazione di per sé, infatti, ma quello dell'organizzazione dell'astrazione" stessa può definire i confini dell'estensione del soggettivismo ponendo alla formulazione delle convenzioni il problema di dichiarare gli autolimiti di convenzionalità, rendendo chiaramente autoreferenziale, e non ambiguamente compromissorio, lo status di convenzionalità stessa.

Incidentalmente è da notare che le "Due sociologie ("Individualismo metodologico" e "Riferimento al sistema") litigano per niente. Nessuna delle due è basata su un linguaggio e modalità che possano pretendere più realismo dell'altra in quanto sono ambedue "pure" convenzioni

La sociologia in generale è afflitta da un "metodo" basato sul convenzionalismo compromissorio che, come nel caso di Weber e Parsons, tende a generare convenzioni cognitive che non dominano se stesse e che, di conseguenza, non possono dominare il loro oggetto di osservazione (per un'analisi più approfondita dei punti toccati in questa sezione vedi Addario e Pelanda, 1990).

 

2.4.   Ottenere che le convenzioni cognitive dichiarino esattamente quello che fanno è di cruciale importanza per evitare il fenomeno di non essere in grado di distinguere tra complessità generata da un uso improprio (cioè non limitato) dello strumento cognitivo e "complessità" che caratterizza la specificità dell'oggetto di studio.  Questo non vuol dire che esista una complessità oggettivabile indipendentemente dallo strumento di osservazione. Vuol dire semplicemente che senza capacità di dominare il proprio strumento di osservazione manca il criterio per sceglierne un altro, o rielaborare lo stesso, per rendere più adeguato il trattamento della complessità oggetto.

Si consideri, per esempio, la semplice (in quanto diffusissima e nota) organizzazione convenzionale di una regressione multipla, dove "Y=A+B+C, ecc., + errore di misurazione + variabili non misurate". Se la varianza della variabile dipendente "Y" è statisticamente spiegata, per dire, nel 50%, si assume che il restante 50% sia dovuto ad errori di misurazione o a variabili non rilevate. In particolare viene assunto che la spiegazione statistica possa arrivare ad " 1 " (cioè la condizione di saturazione) qualora la misurazione sia completa e priva di errori. Tale requisito di completezza potenziale indica i limiti dell'uso proprio di questa macchina. E' generalmente significativa, in altre parole, solo se viene preventivamente circoscritto il campo di applicazione, cioè se la condizione di saturazione è stata individuata alla luce di una qualche convenzione limitatrice (anche se ne è possibile un uso puramente esplorativo).

Se tali limiti non vengono fissati non c'è alcuna possibilità di padroneggiare il risultato della macchina.  Il ricercatore, infatti, che opera con tale macchina senza l'ausilio del pre-confinamento indicato non sarà in grado di attribuire significato alla quantità di varianza spiegata per il semplice fatto che non può assolutamente contestualizzare il significato di quella non spiegata. In altre parole l'assenza di condizioni di saturazione prefissate porta a considerare la varianza non spiegata come "complessità generica" non computabile che toglie "contesto" al significato della varianza spiegata.

Quando un ricercatore presenta una quota di varianza spiegata (per dire, il 50%) senza la definizione dei limiti dell'universo di saturazione, semplicemente presenta un risultato "nullo", basato sul mero pragmatismo.  E qui si sottolinea l'aspetto "nullo" di questo modo di fare in quanto molto diffuso nella prassi della ricerca di scienze sociali.

Il pragmatismo metodologico, ovvero l'incapacità di definire i limiti delle convenzioni cognitive, è il linguaggio procedurale generale più diffuso nella quotidianità della ricerca.  Esso è un linguaggio della "crisi" dell'epistemologia.  Ma è proprio giustificata tale crisi?

 

 2.5. "Post Godel" è termine sovente usato per indicare lo spartiacque tra il periodo in cui le scienze empiriche e formali erano caratterizzate da programmi "fondazionisti" ed un periodo in cui sia i teoremi limitativi della completezza formale sia il fallimento nello stabilire criterii certi di verità empirica hanno posto il problema dei limiti invarianti alla conoscenza, cioè il problema dell'impossibilità dell'epistemologia.

Tuttavia I"'impossibilità" dell'epistemologia è viziata dal fatto di essere stata definita sulla base di una ricerca dell'epistemologia "assoluta", assolutamente "eteroreferenziale", assolutamente "autocoerente".

Dal punto di vista "neo-convenzionale" che propugniaino, la prova data da Godel al riguardo dei limiti di completezza formale del linguaggio della matematica risulta "ovvia", anche se fertile e spettacolare. Essendo intrinsecamente "compresso", il linguaggio della matematica non può contenere né i suoi precursori né tutti i suoi possibili sviluppi.  Godel, a nostro avviso, ha semplicemente osservato in altro modo il principio di "chiusura" del linguaggio della matematica, ma che è proprietà attribuibile a qualsiasi "sistema". Il principio di chiusura significa che un sistema "dimentica" i propri processi di formazione nel momento in cui stabilisce il proprio circuito ordinario di operazioni (diviene cioè incompleto in termini di autoriflessione storica; più banalmente si può dire che si instaura una ovvia discontinuità tra momento generativo e operativo in quanto il sistema stabilizzato autoseleziona i propri precursori); non contiene i propri futuri possibili (il presente di un sistema è sempre autosaturato e autolocalizzato dai vincoli pragmatici del circuito di chiusura che lo rende "sistema"); opera attraverso autoselezioni che lo rendono costantemente sotto-insieme di se stesso (un sistema, cioè, non è una topologia completa di autorappresentazione in quanto i suoi processi auto-operativi ne selezionano la generalità del linguaggio).

In altre parole, il processo di chiusura auto-operativa della matematica (come di qualsiasi altro "sistema") avviene attraverso una "dissipazione" della generalità del suo linguaggio che, per tale ragione, non può essere mai perfettamente "chiuso" (cioè allo stesso tempo formalmente coerente e completo), ma resta sempre "chiudente" (cioè vincolato da operazioni di autocoerenza pragmatica). Se fosse "chiuso" e completo, l'operazione di chiusura sarebbe impossibile e di conseguenza il "sistema" non esisterebbe.

Il risultato di Godel, generalizzato, deve essere visto come il rilevamento della condizione di esistenza dei "sistemi".

Seguendo questa linea di pensiero, appare ovvio che la completezza formale non possa esistere nel linguaggio della matematica. Ma, più importante nel nostro contesto, appare altrettanto ovvio che solo cercando una "completezza assoluta" della matematica, come Godel ha fatto e mostrato, i "limiti invarianti di completezza" assumono un significato.

Altrettanto ovvia è stata la soluzione che i circoli matematici hanno dato alla prova di incompletezza: anche se infondato e formalmente incompleto (cioè solo localmente vero) il linguaggio della matematica può continuare a costruire se stesso "pragmaticamente". La soluzione pragmatica al problema di incompletezza è un mero riconoscimento dei principio di chiusura della matematica in quanto "sistema". Ma è un riconoscimento implicito che non ne codifica le conseguenze sul piano dell'autodescrizione dei limiti di completezza (forse ci vorrebbe un nuovo Godel). Essendo implicita, tale soluzione non è una "soluzione" epistemologica al problema della "impossibilità dell'epistemologia" (cioè della completezza assoluta). In sintesi la soluzione "pragmatica" ai limiti assoluti dei sistemi è "povera" perché non codifica il modo di funzionamento di essi, ma semplicemente genera le condizioni di lavoro per operare con essi e su di essi lasciando oscuro il meccanismo della "chiusura" e quindi il problema dell'ordinamento come esplicitazione degli autolimiti.

La soluzione pragmatica è pure paradossale in quanto implica che un linguaggio cognitivo che mostra limiti invarianti di completezza possa produrre una accettabile "completezza di lavoro", se la "completezza" viene relativizzata in senso pragmatico (la coerenza pragmatica della matematica, esempio, è dimostrabìle nell'ambito del suo linguaggio).

 

Il che sta a dire, paradossalmente, che il linguaggio fondazionista assoluto può "lavorare" se non cerca i fondamenti della completezza: una sorta di ossimoro tautologico (come se uno che vuole bere una Coca Cola in un bar dove tale bevanda è disponibile "ordinasse": Coca Cola?).

2.6.  Il pragmatismo cognitivo non regolato è caratterizzato da un paradosso fondamentale sia nella scienze formali che empiriche. Esso interpreta l'impossibilità dell'epistemologia come una "impossibilità assoluta" mentre il "fallimento" dei fondazionismi sia matematico che sul piano dell'empirismo logico permettono solo di stabilire l'impossibilità dell' l'epistemologia assoluta".

Inoltre i limiti generali della conoscenza sono interpretati come ragioni per "relativizzare" i linguaggi fondazionisti piuttosto che abbandonarli. Come conseguenza il logicismo, l'ideologia eteroreferenziale, ecc., sono relativizzati, ma non abbandonati. Il paradosso consiste nel credere che le premesse fondazioniste confutate a livello delle loro "estreme conseguenze" possano ancora funzionare se maneggiate a livello di conseguenze "ridotte e relative" (per esempio assumere che un qualcosa possa corrispondere con la realtà oggettiva accettando nel medesimo tempo che ciò sia una verità provvisoria e modificabile, cioè relativa). Tale paradosso viene pragmaticamente risolto semplicemente "dimenticandolo" in favore dell'enfasi al riguardo della capacità di costruire convenzioni che in qualche modo stanno insieme sul piano pratico. Tale approccio può funzionare solo lasciando molto laschi i requisiti di autoriflessione sul come, perché e a quali condizioni tali convenzioni "stanno insieme". Allora sorge il sospetto che la dichiarazione dell'impossibilità dell'epistemologia risulti comoda in riferimento ad un pragmatismo che lavora contraddittoriamente con linguaggi fondazionisti, comodi" in relazione alla legittimità morale e "politica" delle operazioni.

Così il paradosso di un universo cognitivo popolato da ordinamenti che non riconoscono se stessi rimane (Coca Cola?).

 

 2.7.    E' l'epistemologia non necessaria ? La nostra risposta è "no".  E' “no" perché il divorzio tra epistemologia e ricerca è basato su  dimenticanze, quindi inaccettabile. I limiti invarianti della conoscenza sono "invarianti" in riferimento alla ricerca di una conoscenza assoluta e generalizzante, caratterizzata dal primato (magico) dell'oggettivismo o dell'autocoerenza idealistica.  Ma ciò solo significa che la conservazione dei linguaggi eteroreferenziali della cognizione (sul piano delle scienze empiriche) non può più basarsi sull'epistemologia e metodologia eteroreferenziali.  Può solo basarsi su un pragmatismo che nasconda i motivi per abbandonare la metodologia eteroreferenziale stessa.  Un pragmatismo, quindi, che dichiari la non necessità dell'epistemologia in

toto.

L'abbandono dell'epistemologia sulla base dei limiti dimostrati dall'epistemologia assolutista non è giustificato.  L'epistemologia è "di nuovo" possibile se si accettano e conseguenze dell'indimostrabilità di quella eteroreferenziale.

2.8.  Menti geniali hanno "tentato" di salvare il linguaggio eteroreferenziale nonostante i paradossi che stava cumulando. L'elaborazione del concetto di "verità negativa" da parte di Popper aveva lo scopo di salvare il principio di corrispondenza eteroreferenziale in relazione all'impossibilità di ottenere una prova di validazione positiva a seguito del controllo di corrispondenza stesso:una costruzione cognitiva può essere solo confutata dal controllo di corrispondenza empirica, ma mai validata da esso.

Ma come? La mente indagatrice "deve" creare le condizioni di falsificabilità rendendo la sua organizzazione dell'astrazione aperta ai fatti, cioè vulnerabile al controllo di corrispondenza eteroreferenziale. Tuttavia ciò crea parecchi paradossi e molte domande per cui non c'è risposta "eterorefenziale".

Il linguaggio della corrispondenza può generare "corrispondenza" solo attraverso tautologie: l'evento "confutazione" valida il linguaggio della corrispondenza.  In altre parole la condizione di falsificabilità non può confutare se stessa attraverso il regime di corrispondenza eteroreferenziale (10 potrebbe solo ammettendo l'autocorrispondenza, ma ciò sarebbe inaccettabile nell'impianto di Popper). E questo è un paradosso a livello dei metalinguaggio.

Secondo il principio di falsificabilità, qualora un costrutto cognitivo resista ai tentativi di confutazione esso dovrebbe essere considerato nello status di entità "non ancora falsificata": ma la condizione di "attesa di confutazione" non può a sua volta essere confutata attraverso la corrispondenza eteroreferenziale in quanto non c'è niente con cui corrispondere, se non il costrutto cognitivo stesso. E' in altre parole una condizione che può essere solo gestita nell'ambito di un regime di autocorrispondenza per fornire al Costrutto cognitivo un'identità adeguata. Ma tale possibilità non è riconosciuta come ammissibile dal linguaggio eteroreferenziale. Qui il paradosso consiste nel generare un'enútà che non può essere riconosciuta dal linguaggio che genera l'entità stessa, cioè il linguaggio della corrispondenza eteroreferenziale genera una situazione dove non può essere attivato il suo linguaggio di corrispondenza stesso.

Domande più semplici potrebbero essere fatte, quali: come può una mente indagatrice essere sicura che sta rispettando il requisito di falsificabilità? Che cosa significa " corrispondenza" quando un costrutto cognitivo risulta idoneo in riferimento a certi fatti, ma ad altri no? Queste, ed altre, domande non hanno risposte eteroreferenziali.

In breve lo sforzo di Popper di salvare l'epistemologia eteroreferenziale attraverso una estrema relativizzazione di essa in termini di "verità negativa" esibisce paradossi che non possono essere risolti entro il linguaggio eteroreferenziale stesso.

La rappresentazione fatta da Lakatos di una costruzione cognitiva come pacchetto teoretico che resiste alla controfattualità in riferimento a criterii interni di persistenza del suo contenuto è, se si vuole, uno sforzo ancora più intenso di relativizzazione del linguaggio eteroreferenziale. Tuttavia viene assunto che dopo un periodo di "autociaborazioni" dove il costrutto cognitivo ("Programma di ricerca") seleziona i suoi significati fattuali in riferimento al criterio di autopersistenza, "di colpo" esso può - e deve - diventare aperto al controllo eteroreferenziale inteso come "controllo oggettivo". In altre parole viene assunto che un costrutto cognitivo possa attuare un giuoco autoreferenziale fino ad un certo punto. E questo punto viene definito dal fissare il requisito di controllo eteroreferenziale come elemento di legittimità cognitiva dei costrutto. Quale magico meccanismo possa di colpo cambiare la natura autoreferenziale di un costrutto in una eteroreferenziale è la domanda cruciale in questo caso. Non c'è risposta.

In sintesi, le relativizzazioni del linguaggio eteroreferenziale, anche le più estreme, generano domande che non possono trovare risposte entro il regime eteroreferenziale stesso. Possono solo produrre un atteggiamento ideologico che posponga le risposte ed oscuri i paradossi. Infatti la difesa dei linguaggi eteroreferenziali (per lo più contro quelli autoreferenziali) sembra essere più un problema di carattere politico che strettamente epistemologico. Permane cioè la credenza che attraverso la "santuarizzazione" del primato eteroreferenziale i confini della scienza - riferimento ai fatti, intersoggettività e pubblicità - possano essere difesi.

 

2.9. Crediamo fermamente in tali valori, tuttavia non vediamo alcuna incompatibilità tra essi e l'idea di un costruttivismo cognitivo basato sui linguaggi autoreferenziali. In particolare non vediamo il diavolo nell'autoreferenzia i quanc o ssibile constatare che l'uso dei linguaggi PO

autoreferenziali ha la proprietà di "chiudere" i paradossi generati da quelli eteroreferenziali.

Inoltre il paradosso "eteroreferenziale" dell'impossibilità dell'epistemologia conduce alle ambiguità fondamentali del pragmatismo non regolato da autolimiti nell'organizzazione delle convenzioni cognitive.

Luhmann invoca la consapevolezza della circolarità come paradosso che deve divenire esso stesso teoria (1984a: 185-186). Tuttavia il problema dell'ordinamento non consiste tanto, o solo, nel portare all'interno di un costrutto cognitivo il fondamento referenziale. Esso consiste nell'organizzare l'autoreferenza come modo di gestione del regime di autocorrispondenza di un ordinamento. L'autoreferenzialità non è un mero requisito di astrazione interpretativa (come sembra esserlo per Luhmann nell'ambito di una adesione metaforica all'antica variante "chiudente" della teoria dei sistemi, rivitalizzata dal successo relativo dell"'autopoiesi"). E' un requisito di organizzazione dell'astrazione" che deve fornire caratteristiche di "comunicabilità" al regime di autocorrispondenza di un ordinamento. In altre parole una convenzione cognitiva non dovrebbe solo "dichiarare" la propria autoreferenzialità, ma anche "organizzarla" in modo da divenire soggetto ed oggetto esplicito di cognizione.

Il requisito di "organizzazione dell'astrazione" chiama un'epistemologia della "chiusura che può comunicare e generare".

 

 

 3. "CHIUSURA GENERATIVA" COME LINGUAGGIO

PER L'ORGANIZZAZIONE DI METAUTOMI COGNMVI

 

 

 

In questa sezione presenteremo gli elementi generali del linguaggio di "chiusura generativa" come principio che trasformano un processo di costruzione cognitiva in un "metautoma teoretico" fornito di proprietà sia autoepistemologiche che intersoggettive, cioè principio e condizioni che guidano l'organizzazione dell'astrazione da un panorama di autoreferenzialità non esplicitata ("naturale") ad uno dove l'autoreferenzialità è esplicitata attraverso il disegno della sua generatività.

 

3.1. L'autoreferenzialità naturale come dominio di irrisolvibilità intrinseca

 La situazione tipica di un attore cognitivo è caratterizzata da un.uso di autoreferenzialità selettiva-costruttiva che non rende esplicita se stessa, cioè da un tipo di soggettivismo che non rende esplicita la propria autoreferenzialità. In tale situazione l'attore cognitivo produce costruzioni cognitive che risultano intrinsecamente incapaci di mostrare il meccanismo generativo con il quale sono ottenute le rappresentazioni.

 

3.1.1. L'osservatore naturale come "macchina celibe"

 

Nella configurazione di "osservatore naturale" un attore cognitivo è invariantemente condannato ad essere esposto sia ai paradossi eteroreferenziali (es.: oggettivizzazione ed estensione impropria dei soggettivismi) che ad una mancanza sostanziale di dominio intrinseco al riguardo degli strumenti impiegati per costruire un orizzonte inferenziale ed il relativo linguaggio di corrispondenza.  Inoltre l'osservatore naturale non può intrinsecamente dominare il tipo di selezione costruttiva che la sua autoreferenzialità produce sia sull'oggetto osservato sia al riguardo dei significato dei sistemi cognitivi e culturali che riceve o per apprendimento o comunicazione. Ciò succede perché nella situazione di osservatore naturale l'autoreferenzialità non esplicitata da regole metodologiche risulta separata dalla propria generatività. In altre parole, la cognizione non ha un dominio intrinseco sulla cognizione stessa per l'assenza di un linguaggio codificato di autocorrispondenza che eviti il "divorzio" metodologico tra esito e premesse generative di esso.

Questa mancanza intrinseca di autocorrispondenza cognitiva fornisce all'osservatore naturale lo status, in metafora, di "macchina celibe" (es.: la "grand verre" di Duchamp).

 

3.1.2. Irrisolvibilità delle soluzioni "naturali"

 

Esistono risposte "naturali" a questo problema dei limiti dell'osservatore naturale". Una consiste nel costruire criteri comuni di riferimento stipulato ("convenzioni" nel senso più tradizionale del termine). Tuttavia, anche se questa soluzione può produrre conformismi cognitivi e standardizzazioni linguistiche-referenziali, non è abbastanza per rendere esplicito come una convenzione lavori sul piano intrinseco e come essa venga selettivamente ricombinata dall'autoreferenzialità dei diversi soggetti che la impiegano. Questa soluzione relativizza il problema della regolazione dell'autoreferenzialità naturale, ma non lo risolve.

La "formalizzazione" può essere considerata un secondo tipo di risposta. Tuttavia essa fornisce un dizionario per l'intersoggettività nel campo di applicazioni specifiche, ma non un linguaggio di organizzazione intersoggettiva della cognizione.

L'interazionismo critico e I'"interpretazionismo comprendente" possono essere visti come un terzo tipo di risposta.  Tuttavia essi generano ordinamenti cognitivi in termini di convenzioni di raggio contingente costantemente suscettibili di re-interpretazione e ri-codificazione comunicativa (es.: fenomeni di "back-talk" come quelli analizzati da Lanzara) sulla base di una alcatorietà intrinseca del modo con cui sono organizzate le convenzioni stesse.

L'autoriflessivìtà può essere considerata una quarta risposta. Tut-Lavia la mente che riflette su se stessa secondo i modi dell'"osservatore naturale" può solo trovare una autorappresentazione selettivamente orientata dal tipo di costruzione cognitiva che conduce il processo autoriflessivo, risultando così "convenzionale" in riferimento alla realtà della mente che indaga su se stessa. La mente autoriflessiva non può trovare se stessa, ma solo una rappresentazione generata da uno dei possibili sistemi cognitivi autoreferenziali che popolano l'ecologia della mente stessa, senza alcuna possibilità di rivelare il processo selettivo specifico in corso (cioè l'ecologia Batesoniana della mente è un dominio di irrisolvibilità).

 

 3.1.3. L'errore della "corrispondenza naturale" della mente

 

Il credo gnoscologico eteroreferenziale consiste nell'assumere una sorta di corrispondenza "naturale" tra mente e realtà esterna alla mente stessa. Viene creduto che la cognizione sia possibile in quanto il sistema cervello/mente è un prodotto dell'evoluzione, cioè che la mente si sia intrinsecamente adeguata alla gestione cognitiva della realtà attraverso processi di selezione naturale (es.: la gnoseologia evoluzionistica di S.Toulmin e l'epistemologia evoluzionistica di D.T. Campbell). Questo credo, tuttavia, è basato su un significato impropriamente esteso del concetto di adattamento. "Adattamento" non significa che la selettività dell'ambiente costituisca la configurazione complessiva di un'entità vivente. Non significa, cioè, che l'ambiente determini la configurazione dell'entità perpetuata generando una idoneità continuistica tra essa ed ambiente stesso. "Adattamento " significa che l'autonomia di un'entità vivente è selezionata in riferimento alla sua idoneità contingente con l'ambiente. In altre parole, l'ambiente agisce solo in termini "negativi" distruggendo entità contingentemente non idonee (per i più svariati motivi incidentali): esso "non dice niente" al riguardo di quelle che sopravvivono, cioè non determina le condizioni positive della perpetuazione, ma determina solo quelle di selezione negativa.

In tal senso dobbiamo dire che la perpetuazione evoluzionistica della mente significa solo che la "mente" stessa non è stata ancora selezionata negativamente. La mente potrebbe essere anche "stupida" ed il cervello del tutto cognitivamente "nano" in quanto nulla di conosciuto può assicurare che la selezione naturale (come stranamente creduto dall'evoluzionismo superficiale) usi costantemente criterii che favoriscono, per dire, l'incremento delle facoltà cognitive.

Non possiamo assumere, in particolare, che il motivo della perpetuazione della configurazione mente/cervello sia basato su qualche compatibilità "naturale" tra mente stessa ed ambiente, "positivamente" indotta dall'ambiente stesso attraverso il meccanismo seletùvo. Non possiamo assumere, pertanto, che esista una continuità naturale tra mente ed ambiente sulla quale appoggiare l'idea della possibilità di una corrispondenza naturale tra la prima e la realtà esterna a sé.

La mente non è eteroreferenziale per natura. Non esiste alcun "pilastro naturale" per sostenere l'oggettivizzazione delle costruzioni cognitive generate dall'autoreferenzialità della mente.

Il inguaggio eteroreferenziale è generato da un tipo di autoreferenzialità della mente che non è in grado di rendere esplicita autoriflessivamente la propria autoreferenzialità stessa. Le eteroreferenze generate autoreferenzialmente non mostrano "naturalmente" la loro organizzazione intrinseca. Ciò significa che non possiamo credere alla autoreferenzialità naturale delle nostre menti così come non possiamo, di base, avere alcuna fiducia dei prodotti cognitivi regolati da epistemologie e gnoseologia naturali. Il regime evoluzionistico della natura non è un selettore cognitivo adeguato.

Non c'è alcuna soluzione "naturale" ai limiti intrinseci dell'autoreferenzialità naturale.

 

 

3.2.      La soluzione di "autoreferenzialità artificiale" ai limiti di "autoreferenzialità naturale"

 

C'è una soluzione artificiale ai limiti naturali? E' solo possibile dire che "dobbiamo" per forza costruirne una, generandola attraverso un disegno. Un disegno che fornisca alla "possibilità dell'epistemologia" una topologia cognitiva progettata, ovvero un luogo dove il requisito di epistemologia possa essere organizzato.

Il requisito di epistemologia, tuttavia, basato sul riconoscimento dei limiti dell'epistemologia naturale a causa della mancanza in essa di un luogo di organizzazione esplicita dell'autoreferenzialità (per questo "episteniologia utopica"), richiede la rispecificazione dell"'artificiale" come topologia dell'autoreferenzialità (cioè come organizzazione dove l'episternologia possa avere luogo). Ciò, tuttavia, è un problema in quanto un dominio artificialeconvenzionale di autoreferenzialità non implica di per se un regime autoepistemologico consistente. E' il "problema dell'ordinainento".

 

 

3.2.1. L'"artificiale" che non è artificiale abbastanza

 

Le convenzioni culturali codificate possono essere viste come tipici esempi di "organizzazioni artificiali" ("macchine bio-cuIturali") in termini di statuti di simboli, segni ed operazioni dotate di meccanismi di autocoerenza: l'architettura sintattica dei linguaggi, un sistema legale, la statistica, un protocollo cerimoniale, ecc. Il loro status di "macchine" è definito dalla capacità sia di confinare la loro organizzazione -generando un topologia specifica - sia di mantenere attivamente tali confini in riferimento all’esterno. Questa capacità è "banalmente" caratterizzata dall'instaurarsi di una "sistematica" (cioè ordine entro confini a causa di confini con proprietà finite e finitizzanti) come condizione sufficiente per la creazione e manutenzione di "riferimenti". Impiegandole, un attore cognitivo diviene "cognitivo" in quanto usa l'universo referenziale fornito da tale proprietà di finitizzazione delle referenze. Elaborando e riproducendo tali macchine un attore cognitivo fornisce ad esse "apparenti" proprietà attive, ovvero la manutenzione ed evoluzione dei loro assetti topologici attraverso un'interazione di tipo conformista in riferimento ad esse stesse.

Ciò significa che l'esistenza di macchine culturali e l'interazione cognitiva attraverso esse non richiede necessariamente l'esplicitazione - in termini di organizzazione topologica - del meccanismo di autocoerenza e conformazione referenziale autoriferita in quanto la "sistematica" da sola è sufficiente per ottenere una "referenzialità pragmatica" con proprietà finitizzanti, quindi implicitamente topologiche. In altre parole, l'ecologia generale della cognizione non seleziona negativamente il fenomeno di oscuramento dell'autoreferenzialità. Così tali macchine risultano meccanismi autoreferenziali di fatto che possiedono un linguaggio solo referenziale, cioè topologie incomplete per difetto di autocorrispondenza operativa.

Le macchine culturali organizzate come "topologie referenziali" inducono ad una "cognizione senza cognizione" in quanto esse non organizzano la cognizione sulla cognizione nel mentre del loro ciclo operativo, cioè non possiedono una rappresentazione autoreferenziale (non importa quanto siano "autoriflessive") del loro processo di autocostruzione referenziale. Così queste macchine che sono in grado di costruire topologie logico-linguistiche in termini di linguaggi ad ordinamento referenziale risultano, tuttavia, incapaci di assumere proprietà epistemologiche in quanto non organizzano una rappresentazione autocorrispondente della loro autonomia cognitiva.

A livello della sistematica" della cognizione l'epistemologia non è possibile, cioè una topologia pragmatica della referenzialità non è abbastanza. In tal senso la soluzione artificiale al problema dell'autoreferenzialità naturale richiede una "sistemica" della cognizione dove la "cognizione della cognizione" possa essere organizzata come "topologia autocorrispondente", cioè come epistemologia autoesplicitantesi.

3.2.2. Referenzialità contro autoreferenzialità

 

Più chiaramente, un linguaggio di riferimenti non può descrivere se stesso fino a che rimane una sistematica dei riferimenti stessi. Non può costruire un epistemologica che catturi la generazione autoreferenziale dei riferimenti perché quando cerca le ragioni costitutive dei propri processi non può far altro che trovare solo un meccanismo di finitizzazione dei riferimenti stessi.

Per esempio, il meccanismo dei postulati in matematica è un processo di fondazione autoreferenziale di una topologia simbolica finita che è descritta come decisione assiomatica di finitizzazione che non può essere discussa. In tale meccanismo l'esplicitazione è possibile sulla base di una decisione inesplicita che tuttavia possiede proprietà finitizzanti, generative di topologia. Questo è un esempio molto semplice di come un linguaggio referenziale incapace di sviluppare una topologia esplicitamente autoreferenziale debba gestire la propria autogeneratività "oscurando" se stesso, rendendo così impossibile l'epistemologia in termini di descrizione dei riferimenti intrinseci della propria referenzialità e, quindi, meramente pragmatico il proprio profilo topologico-cognitivo.

In breve, i linguaggi tradizionali della cognizione risultano essere solo referenziali, ovvero privi di funzioni di autocorrispondenza nel processo generativo dei riferimenti. Chiamiamo questo modo dell'organizzazione topologico-cognitiva "referenzialità del primo ordine". A questo livello l'epistemologia diviene impossibile perché il linguaggio ordinatore non è in grado di rappresentare il meccanismo intrinseco di generazione dei riferimenti costitutivi di topologia. Come già detto in parti precedenti, questa dimensione è caratterizzata dal fatto che l'organizzazione tautologica del linguaggio è forzata a corrispondere con qualcosa di diverso da sé, essendo in realtà se stessa, cioè da un paradosso che non può essere chiuso.

L'epistemologia diviene possibile in una topologia caratterizzata da una referenzialità del secondo ordine, dove la generatività referenziale del linguaggio viene forzata ad esibire la propria autoreferenzialità, ovvero ad organizzarsi come topologia di autocorrispondenza dove è esplicita la natura intrinseca del circuito referenziale. In tale dimensione ad una tautologia è permesso di corrispondere con se stessa diventando così regolata da una configurazione di completezza "autolocale" che rende la tipologia cognitiva conseguente dotata di proprietà autoepistemologiche.

Una topologia cognitiva del secondo ordine dovrebbe essere un ordinamento caratterizzato da un finitismo capace di integrare il meccanismo di generazione autoreferenziale delle eteroreferenze. Per esempio ciò significa essere in grado di integrare il linguaggio di generazione di un oggetto cognitivo con quello di analisi-rappresentazione dell'oggetto stesso. Essere in grado, in sintesi, di costruire un regime di responsabilità epistemologica completa nel dominio dell'osservatore.

In tal senso abbiamo bisogno di "macchine cognitive" progettate (visto che la "natura" non ce le fornisce) per organizzare topologie di autocorrispondenza, ovvero macchine che organizzino la possibilità dell'epistemologia trasformando I'"osservatore naturale" in un "osservatore artificiale", dove "artificiale" assume il significato di "topologia generativa del secondo ordine".

 

 

3.3. La soluzione di "generatività artificiale" al problema del linguaggio

 

Il disegno di topologie cognitive del secondo ordine, come linguaggi ordinatori, richiede una soluzione del tutto radicale al problema dei linguaggio.

 

 3.3.1. Incompletezza del secondo ordine dei linguaggi ordinari

 

Per esempio, la sistematica referenziale di un linguaggio ordinario può generare espressioni del secondo ordine quali: "noi siamo quattro parole".

Tuttavia tali espressioni non fissano i confini topologici dell'autoreferenzialità dichiarata.

Possiamo infatti avere espressioni come "noi siamo cinque parole" che non sono selezionate dal meccanismo linguistico né in termini di criterii di autocorrispondenza né in termini di specificazione dell'autocorrispondenza stessa (es.: "noi siamo parole"). Di conseguenza il linguaggio ordinario risulta intrinsecamente ambiguo come strumento per l'organizzazione di topologie cognitive del secondo ordine. La dichiarazione tendenzialmente di secondo ordine, per esempio, "Sono una topologia cognitiva autocorrispondente che costruisce una rappresentazione attraverso una operazione autoreferenziale è intrinsecamente indecidibile per osservatori collocati sia dentro che fuori la macchina che genera la dichiarazione stessa. Ciò significa che l'organizzazione di topologie dei secondo ordine non può essere strutturata ed esclusivamente dominata solo da procedure autoriflessive ancorate al linguaggio referenziale del primo ordine in quanto tali linguaggi non "chiudono" l'autoreferenza, rendendo invariantemente incompleta (ambigua) l'autoriflessiorie stessa.

 

 

3.3.2. Incompletezza del secondo ordine dei linguaggi formali

 

La matematica è considerata un tipo di linguaggio fornito di "buone prestazioni in termini di chiusura dei proprio regime referenziale.

Per esempio l'espressione "A+B=C" chiude in modo convenzionalmente non ambiguo la varietà dei possibili significati (valori) che A, B e C possono assumere (l'espressione cioè "chiude" C su A e B e viceversa). Tuttavia tale chiusura è espressa in termini referenziali del primo ordine e non rende esplicito il meccanismo autoreferenziale che permette la chiusura referenziale dell'espressione stessa. In altre parole il regime tautologico dell'espressione permette la chiusura dell'espressione stessa, ma senza la rappresentazione della tautologia stessa: "C" è referenzialmente forzato a corrispondere con "A+B" considerato "diverso" da "C", ma essendo il dominio di C stesso (e viceversa). Questo, banalmente, vuol dire che il linguaggio non può far corrispondere "espressivamente" la tautologia con se stessa, ovvero non ottiene la rappresentazione dei fondamenti autoreferenziali dell'operazione di chiusura.

Il linguaggio della matematica risponde ad ogni domanda contenente una richiesta di autodescrizione chiudendo la domanda stessa entro una sistematica referenziale dei primo ordine, ovvero interpretando ogni problema di completezza autoreferenziale come problema di coerenza espressiva (cosa, appunto, fatta da Gódel). Ciò significa che ogni volta che il linguaggio della matematica vuole essere referenzialmente autocoerente non può essere autoreferenzialmente completo. Per inciso, ciò potrebbe essere un altro modo di fraseggiare il teorema dei limiti di completezza formale della matematica.

Tuttavia non siamo interessati ai problemi interni della matematica. Vogliamo solo vedere quali proprietà il linguaggio della matematica possiede in riferimento al problema di trovare un "linguaggio" attraverso il quale la rappresentazione dell'autoreferenzialità possa essere resa esplicita e non oscurata dalle caratteristiche del linguaggio stesso.  In altre parole questa argomentazione serve per decidere se la formalizzazione possa essere uno strumento sufficientemente "potente" attraverso il quale organizzare un linguaggio del secondo ordine. La risposta è "no" - almeno sul piano della procedura organizzativa di base - in quanto qualsiasi tentativo di forzare il linguaggio della matematica a prestazioni di secondo ordine sembra destinato a restare intrappolato (e "ridotto") in chiusure referenziali del primo tipo.

Forse la matematica - ed altri linguaggi simbolici affini - possono "simulare" una topologia del secondo ordine, ma non possono costituirla.

 

 

3.3.3. Il problema generale dell'"autocompiutezza semantica"

 

Se cerchiamo un linguaggio in grado di rappresentare l'autoreferenzialità, in generale, è probabile che possiamo trovare solo referenzialità".  Se, in altre parole, cerchiamo la "completezza epistemologica" a livello del linguaggio non siamo in grado di trovarla a causa di una "ribellione" intrinseca di ogni tipo di linguaggio corrente contro questo tipo di completezza. In altre parole, qualsiasi linguaggio non può corrispondere con se stesso perché questo tipo di completezza provocherebbe una "dissonanza referenziale" tale da distruggere il "linguaggio" del linguaggio stesso, ovvero la proprietà di generare "semantica". Per esempio, se noi forzassimo l'espressione "A+B=C" a mostrare "naturalmente" la propria autoreferenzialità come corredo espressivo completo nell'enunciazione della tautologia, otterremmo, per esempio, solo un "dominio di C descritto da C stesso". Otterremmo, cioè, solo un'autoselezione distruttiva della "semantica referenziale" dell'espressione.

L'incompletezza referenziale è una condizione che fornisce al linguaggio la possibilità di generare semantica: se autoreferenzialmente completo, un linguaggio sarebbe una semantica vuota. Se vogliamo linguaggi generativi di semantica dobbiamo rinunciare a dare loro una configurazione epistemologica nel senso della completezza autoreferenziale (è questa la lezione metaforica della catastrofe linguistica della Torre di Babele?).

In breve, il disegno di topologie cognitive del secondo ordine deve prendere in considerazione il limite di incompletezza epistemologica invariante a livello del linguaggio.

 

 

3.3.4.       La soluzione di. "generatività artificiale" al problema dell'incompiutezza del linguaggio

 

Un "linguaggio" non è di per sé un il linguaggio di una topologia referenziale del secondo ordine.  Questo problema non può trovare soluzioni nell'ambito della nobile tradizione della "Teoria semantica della verità" (cioè della "decidibilità semantica") come elaborata da Tarski, rielaborata da Quine, adottata come criterio epistemologico generale da Popper, sviluppata verso conseguenze limitative da Carnap e, recentemente, rivisitata con intensità di brillante custode da Putnam.

E' necessario generare diverse "condizioni referenziali" per ottenere qualcosa che soddisfi il requisito di dominio epistemologico sul piano della semantica. Il significato di un'espressione semantica non può essere descritto entro

il dominio referenziale dell'espressione.  In tal senso è possibile attuare solo una strategia artficiale.

 

Per esempio, se diciamo "X  corrisponde con Y" non possiamo trovare/costruire la "decidibilità" di questa espressione né con metodi autoreferenziali né eteroreferenziali se forziamo l'espressione stessa ad essere epistemologicamente completa. Se, in riferimento al requisito di autocorrispondenza, forziamo Y a chiudere su X (o viceversa), infatti, otteniamo solo di ridurre il dominio referenziale dell'intera espressione ad un "vuoto semantico" caratterizzato da un'autodichiarazione sterile di X (o Y) come dominio di se stesso. Se, in direzione di una soluzione eteroreferenziale, forziamo la tautologia a "rompersi" generando una differenziazione a priori tra X e Y, possiamo solo ottenere un "vuoto referenziale" in termini di eteroparadosso (Cioè il fondamento tautologico della corrispondenza non viene riconosciuto dall'espressione).

Invece, permettendo "artificialmente" all'espressione di diventare neutrale in riferimento al proprio contenuto (dando cioè all'espressione solo uno status di spazio semantico significativamente vuoto o "perfettamente autoconvenzionale"), l'espressione stessa può essere trattata nella sua proprietà di risultare una "topologia semantica" specificabile e confinabile. Facendo così  il problema del regime epistemologico dell'espressione può passare dall'"interno" (dove la completezza epistemologica è impossibile) al dominio autoreferenziale stabilito come semantica specifica generata dalla topologia referenziale dell'espressione stessa.

In altre parole, se siamo in grado di organizzare un'espressione in termini di "autonomia referenziale" generativa di semantica in autoriferimento, allora è possibile ottenere la rappresentazione di come un sistema di riferimenti possa generare una semantica autocorrispondente, cioè si ritiene possibile ottenere una autoreferenzialità artificialmente generata e generativa che espliciti la chiusura del proprio dominio autoepistemologico.

Questo punto è in realtà più semplice di come noi siamo in grado di fraseggiarlo. Piuttosto che cercare la completezza semantica in un espressione linguistica, di per sé, in riferimento al contenuto portato (dove tale completezza non può esserci), l'espressione stessa viene, prima, "sterilizzata" sul piano dei significato (cioè resa autonoma dai suoi "significatori" esterni ovvero "perfettamente autoconvenzionalizzata") e, poi, forzata a generare un semantica regolata dall'autoriferimento dell'espressione rielaborata stessa. In breve la decidibilità semantica può essere costruita in termini di autocorrispondenza tra una topologia referenziale autonoma e la semantica da essa generata in autoriferimento.

Qualsiasi problema di incompletezza autoreferenziale sul piano del linguaggio può essere risolto forzando "artificialmente" una espressione linguistica sia a diventare "solo" una regola generativa di semantica sia a corrispondere con la semantica autogenerata stessa. L'autoreferenzialità esplicita può essere disegnata come una trasformazione artificiale del significato referenziale di un'espressione in uno generativo di altra semantica autoriferita a quella generante. Una semantica disegnata come una topologia referenziale che è forzata a generare una semantica autocorrispondente può diventare un oggetto epistemologico, anche se epistemologicamente potente solo sul piano della esplicitazione degli autolimiti della propria convenzionalità perfetta, che, tuttavia, è proprietà sufficiente.

In sintesi, un regime semantico di decidibilità è ritenuto possibile come "topologia autoreferenziale" nel dominio di una semantica dotata di generatività artificiale, ovvero di una procedura dove la dichiarazione di convenzionalità del contenuto di un'espressione diviene assoluta in quanto la lettura dell'espressione stessa diviene "significativa" solo alla luce dell'interattività con la semantica autoreferenzialmente generata dall'espressione stessa.

 

 

3.4.  La "chiusura generativa" come procedura per il disegno di metautomi cognitivi

 

Per organizzare tale possibilità nel disegno di macchine cognitive come dominii epistemologicamente significativi di semantica del secondo ordine (cioè come convenzioni cognitive che possano essere dominate sul piano dell'organizzazione intrinseca) è richiesto una procedura complessa di "chiusura", ovvero una chiusura con proprietà generative.

Assumiamo che "X corrisponde con Y" sia l'espressione alla quale siamo interessati. Assumiamo anche (sulla base di quanto detto in 3.3.) che questa espressione, di per sé, sia un dominio episternologicamente vuoto. Per trasformarlo in un dominio semantico(auto)epistemologicamente significativo

dobbiamo:  

  • riorganizzare l'espressione in termini di topologia referenzialmente autonoma in grado di generare nuova semantica in autocorrispondenza anche capace

  • sia di retro-interagire generativamente con la topologia originante

  • sia  di stipulare le regole esterne di osservazione/disegno in relazione alla propria autoreferenzialità.

La "chiusura generativa" che è in grado di costruire la completezza di una topologia semantico-referenziale del secondo ordine consiste di tre passi procedurali integrati corrispondenti a tre diversi livelli di chiusura: canonica, interattiva, comunicativa. Questi tre tipi di chiusura costituiscono "l'intero" procedurale che chiamiamo "chiusura generativa". Per esigenze di descrizione vediamo le proprietà di ciascuna separatamente.

 

 

3.4.1. Chiusura canonica

 

La chiusura "canonica" (ri)organizza una espressione semantica in termini di topologia semantico-referenziale autonoma. In altre parole "chiude" le proprietà referenziali di un espressione confinandole entro le referenze espresse dall'espressione stessa, ovvero trasformandola in un "canone" (che sarebbe poi la modalità per definire lo status di autoconvenzionalità perfetta di un espressione, status che ci assicura di evitare il "convenzionalismo compromissorio"). Per esempio, "X" nel canonicamente chiuso *X corrisponde con Y* (gli asterischi qui indicano la chiusura canonica di un'espressione) non può compiere un riferimento a "Z" in modo lasco o il limitato (es.: metaforico), ma può solo generare "Z" stesso come un dominio generativo di "X" referenzialmente controllato e selezionato da * X corrisponde con Y *.

Questa chiusura significa che un'espressione è forzata ad esprimere se stessa solo attraverso una generazione di riferimenti autoriferiti. Tale tipo di chiusura è cruciale in quanto definisce un confine tra il dominio semantico referenziale di un espressione e l'universo semantico referenziale al quale appartiene l'espressione stessa. Questo confine, come discontinuità referenziale, significa che un'espressione può trattare il proprio universo solo selezionandolo generativamente come un dominio dell'espressione stessa. Pertanto tale tipo di chiusura è la condizione che sia perinette sia costringe un'espressione a diventare una topologia semantica autoreferenzialmente generativa attraverso la ri-organizzazione del proprio contenuto referenziale in termini canonici.

Questa chiusura soprattutto significa che un'espressione viene esplicitamente "neutralizzata" in riferimento a qualsiasi significato epistemologico intrinseco. In altre parole, la chiusura canonica semplifica la complessità dei possibili riferimenti ad un universo referenziale dell'espressione riorganizzandola come topologia referenzialmente confinata che risulta puramente "convenzionale" in riferimento a qualsiasi criterio di verità e coerenza della propria "circolarità" canonica che non sia la rappresentazione bile (si pensi al famoso disegno di stessa: l'espressione non è in se decidi

 

Escher delle mani che si tratteggiano reciprocamente; pur non essendo un esempio adeguato di quanto diciamo esso, tuttavia, può far capire come uno spazio canonicamente chiuso possa "neutralizzare" ogni portato significativo intrinseco esprimendo solo la "circolarità").

La chiusura canonica crea una stringa linguistica convenzionale dove lo "status" di perfetta convenzionalità è definito dal primato esplicito di un regime circolare delle referenze (per inciso la "circolarità è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire la condizione "di autoreferenzialità o "autocorrispondenza"). Tale stringa semantica non esprime alcun significato "di per sé" se non quello metasignificativo della circolarità. Per diventare "significanti tali stringhe devono generare altra semantica.

In breve, questo tipo di chiusura trasforma un'espressione in un dominio (potenziale) di regole generative di semantica in autoriferimento nel senso di canone referenziale" (cioè il parametro o "l'attrattore" di un possibile sviluppo autoreferenzialmente generativo). Sulla base di questa codificazione una espressione semantica che diviene chiusa al livello canonico assume proprietà sintattiche".  Ciò significa che la sintassi di ogni "linguaggio ordinatore" speciale che si voglia costruire può essere creata trasformando ogni espressione prescelta in un regime canonico autoconfinantesi e autoselettivo nei confronti dell’universo semantico referenziale di contesto.  La chiusura canonica è un passo necessario per costruire una entità linguistica esplicitamente autoreferente.

La "chiusura canonica" è un atto artificiale.  Chiusure referenziali inesplicite avvengono in ogni caso come meccanismo selettivo ordinario del linguaggio. Esse, tuttavia, producono regimi linguistici ricorsivi nei quali l'unità ordinamento referenziale rimane intrinsecamente oscura. La chiusura canonica fornisce ai regimi linguistici ricorsivi una chiara ed esplicita unità di ordinamento referenziale.

In sintesi, la chiusura canonica crea le pre-condizioni di autocorrispondenza nell'ambito di una semantica autogenerativa. Tuttavia, appunto, ciò è solo un passo precursore nel processo di costruzione della condizione generativa dell'autocorrispondenza.

 

 

3.4.2. Chiusura interattiva

 

Un'espressione chiusa canonicamente è un'implicita regola generativa di semantica. Per rendere significativa l'espressione bisogna forzarla a creare linguaggio impiegando il potenziale di autovincoli: l'espressione canonicamente chiusa si esplicita generando altra semantica in autoriferimento. Ovvero un regime di autocorrispondenza tra la semantica generata e quella originante. Ciò significa che un elemento esterno "Z" non è riconosciuto dai riferimenti

della topologia cognitiva che non contiene "Z" stesso e che la topologia canonica non può essere "naturalmente" autogenerativa in riferimento a tale elemento.  Può diventare autogcnerativa in riferimento all'elemento esterno "Z" solo se viene costretta sia ad aprire il proprio regime canonico in riferimento a "Z" sia a "chiudere" "Z" in autoriferimento al regime canonico stesso.

La chiusura interattiva fornisce ad una topologia canonicamente chiusa proprietà autoevolutive.  E' un meccanismo che incorpora nuovi elementi in un dominio di autocorrispondenza selezionando interattivarnente sia un regime canonico in riferimento ai nuovi elementi stessi sia questi in riferimento al regime canonico stesso. Questo livello di chiusura dota il regime di autocorrispondenza di un tipo di generatività che va al di là dei limiti referenziali di una topologia canonica, restando tuttavia referenzialmente ancorata a tali (auto)limiti.

Questo punto è cruciale nel disegno di topologie semantiche generative di cognizione. La possibilità della chiusura interattiva fornisce a tali topologie una "autocorrispondenza creativa" che sarebbe impossibile ottenere al solo livello canonico, ma che resta dominabile grazie al mantenimento del riferimento canonico selezionante. In questo contesto creazione significa che una topologia cognitiva è forzata a chiudere (.su) un nuovo elemento rielaborando sia se stessa sia l'elemento stesso, ovvero ricreando ambedue nell'ambito di riferimenti autolimitativi. Così una costruzione cognitiva può evolvere come struttura di autocorrispondenza generativa in cui è possibile rendere esplicito come il nuovo materiale sia stato generato attraverso una ricombinazione autocostruttiva della costruzione cognitiva stessa.

Questo punto à anche cruciale perché fornisce ad una topologia di autocorrispondenza un criterio di controllo empirico. Se la chiusura interattiva non è in grado di incorporare un elemento come rielaborazione di esso in riferimento al proprio statuto canonico, allora la topologia cognitiva al lavoro esibisce un limite esplicito in riferimento a quell'elemento, ovvero un limite di convenzìonalizzazione in riferimento (autogenerato) ad esso. Cioè risulta che un fatto generato non è in grado di corrispondere con il regime di autocorrispondenza generante. Questa è una situazione molto precisa che può essere disegnata come punto di arresto di una macchina. Nel riconoscere il proprio "fallimento" nell'autocorrispondere con un elemento generato la macchina esibisce con chiarezza un limite fattuale specifico nel suo potere di convenzionalizzazione. Questo è un messaggio epistemologico che significa che solo una ulteriore rielaborazione del regime canonico, o la costruzione di uno diverso, può convenzionalizzare in autoriferimento l'elemento che si "ribella", ricreandolo alla luce di diverse convenzioni cognitive-costruttive.

Grazie a queste proprietà, fornite dal principio di chiusura interattiva come sviluppo generativo di quella canonica, una topologia referenziale può sviluppare una configurazione efficacemente autoepistemologica. Può, in altre parole, esplicitare concretamente il meccanismo generativo delle rappresentazioni dei fatti e dei fatti stessi entro un regime di autocorrispondenza.

 

 

3.4.3. Chiusura comunicativa

 

Non possiamo, tuttavia, assumere che le topologie semantico-referenziali siano entità viventi autonome. Così risulta necessario incorporare il progettistalutente/osservatore nel regime di una tipologia cognitiva per fornire al suo regime di autocorrispondenza proprietà di chiusura generativa con caratteristiche di completezza.

Per migliaia di anni intellettuali di diverso tipo hanno espresso l'immagine che le idee, come entità autonome, stavano conducendo e guidando le loro costruzioni. "Libertà di essere dominati" dall'oggetto creatoautocreantesi (Bruner); l'ossessione di Malte dell'oggetto creato che diviene più grande del cervello che lo crea (Rilke)-, la voci delle "(i)dee" che ispirano sia gli eroi sia i poeti che ne narrano le gesta (Omero); i "simboli attivi" (Hofstadter); la tendenza normativa di un discorso (Gonseth): sono solo esempi di come il problema dell'autonomia del linguaggio e della sua possibile ribellione caratterizzi tutta l'avventura cognitiva (si veda Zellini 1985 per una brillante rassegna al riguardo). Tuttavia l'autonomia delle idee non è un mistero se l'osservatore/progettiste interagisce con esse attraverso comunicazioni che stipulino le condizioni di selezione reciproca, cioè comunicazioni che chiudono l'osservatore/,progettista entro l'autocorrispondenza generativa delle idee organizzate come topologie semantico-referenziali chiudenti.

Il principio di chiusura comunicativa genera un dominio dove ogni comunicazione tra un osservatore ed una topologia autoreferenziale è forzata a mantenere il regime di autocorrispondenza della seconda.  Un dominio caratterizzato da una "chiusura interattiva" che include l'osservatore come "osservatore" che negozia la propria osservazione in relazione ai confini di autocorrispondenza della topologia osservata o usata come strumento di osservazione. Questa condizione costruisce un tipo di osservazione dove la tipologia cognitiva osservata osserva se stessa attraverso l'inclusione di un osservatore nel proprio regime di autocorrispondenza. Tale genere di osservazione autoelaborativa è una selezione "artificiale" delle possibilità osservative naturali dell'osservatore, ovvero una artificializzazione delle stesse in riferimento alle proprietà di convenzionalizzazione negoziata disegnate

 

La chiusura comunicativa, sul piano procedurale, si basa su un insieme di regole attraverso le quali un osservatore/progettista può selezionare il proprio regime di autoreferenzialità naturale in riferimento ai requisiti di quella artificiale organizzata dalla macchina cognitiva. Tali regole sono per lo più una trasformazione semantica di quelle di "chiusura interattiva" trattandosi, infatti, di chiusura interattiva tra macchina ed osservatore naturale che include ambedue in un regime di autocorrispondenza.

Tuttavia, alcune di queste regole hanno bisogno di ulteriore specificazione contestuale-procedurale.

 

3.4.3.1. Principio di discontinuità gnoseologica

 

Un progettista di topologie cognitive deve trasformare la propria autoreferenzialità naturale in una "artificializzata" forzando le proprie idee ad assumere una configurazione di pacchetti sernantici canonicamente chiusi (autoconvenzionalizzati) e resi generativi di semantica in autocorrispondenza (tutta la sezione 4 è dedicata alla costruzione esemplificativa di un metautoma cognitivo secondo queste regole).

Facendo così il progettista neutralizza sul piano epistemologico i fondamenti del proprio orizzonte cognitivo, ovvero forza le convinzioni fornite dall'autoreferenzialità naturale ad essere riorganizzate come dominii referenzialmente canonici (quindi "artificializzate").

Non importa quanto il progettista sia convinto della "bontà" delle proprie idee. Per esempio, se il progettista soggettivamente crede che "due sistemi non formano un sistema" allora deve trasformare questa espressione astratta in una regola canonica convenzionale che generi una semantica, per esempio, descrittiva in regime di autocorrispondenza con l'espressione generante stessa. Per esempio: "una società non è un sistema, ma una popolazione di sistemi" è un'autocorrispondenza semantica canonicamente generata dallo spazio referenziale chiuso *due sistemi non formano un sistema* che chiude interattivamente la credenza ed una possibile conseguenza del convincimento soggettivo del progettista. In altre parole il progettista non è forzato a modificare le proprie credenze, ma ad organizzarle entro quadri inferenzialmente successivi di conseguenze regolate dal regime di corrispondenza auto-evolutiva della macchina, ovvero regolate da una tautologia che mantiene il controllo epistemologico dei suoi sviluppi come controllo continuo della condizione di perfetta autoconvenzionalità.

In breve, l'atto artificiale di trasformare un orizzonte cognitivo naturalmente autoreferenziale in una topologia canonica autogenerativa dota la costruzione cognitiva di un status autoepistemologico esplicito, ovvero di un confine molto netto tra l'autoreferenzialità naturale e la condizione di "osservatore artificiale". Mantenendo questo confine il progettista può generare fatti e criterii il cui significato è regolato dal regime di autocorrispondenza. Può, in sintesi, "organizzare l'astrazione" nell'ambito di una trasparenza autoepistemologica esplicitata (cioè il vantaggio fornito da dichiarazioni di convenzionalità pura che trovino un riscontro concreto sul piano dell'organizzazione della procedura generativa di cognizione).

 

 

3.4.3.2. Principio dell'osservazione stipulata

 

La trasparenza autoepistemologica intrinseca è una proprietà molto potente nell'organizzazione del dialogo tra l'osserv artificiali" di diverso tipo. E' tuttavia proprietà che rimane solo allo stato potenziale se tra i sistemi che comunicano non viene costruita una stipulazione che regoli l'osservazione reciproca. Tale problema assume toni più delicati lì dove sia un utente naturale a dialogare con una macchina cognitiva organizzata come topologia del secondo ordine.

Una soluzione di questo complesso problema di interfaccia consiste nella costruzione di mediatori specifici che operino una "chiusura interattiva" tra le entità in comunicazione. Una tale topologia di comunicazione non fornirà all'osservatore naturale o artificiale una rappresentazione dell'"osservatore artificiale" osservato come esso "è". Fornirà, invece, all'osservatore una rappresentazione rielaborata da una chiusura interattiva reciproca tra osservatore e macchina osservata.

Nel disegno di topologie del secondo ordine, in sintesi, deve essere anche disegnata una "chiusura" comunicativa che renda stipulata l'osservazione di esse in relazione ai requisiti di autocorrispondenza. e deve ottenere, in altre parole, che una macchina sottoposta ad osservazione possa autoevolvere in relazione al panorama referenziale dell'osservatore nell'ambito di una selettività reciproca esplicitata.

La chiusura comunicativa, su questo piano, instaura la condizione di intersoggettività e selettività in riferimento a criterii specifici tra diverse macchine cognitive e tra esse e gli utenti naturali.

 

 

3.4.4. Il potere neo-convenzionale dei metautomi

 

Così descritta, la "chiusura generativa" è una procedura per costruire topologie cognitive di secondo ordine che generano fatti e rappresentazioni attraverso procedure autoevolutive regolate da proprietà autoepistemologiche. La

 "chiusura generativa" è un linguaggio per costruire metautomi cognitivi dove l'autoreferenzialità è resa esplicita in termini di "osservatore artificiale autoelaborativo". "Meta", qui, significa sia "sopra" che "oltre". "Sopra" perché l’automa è in grado di chiudere la cognizione sulla propria cognizione nell'ambito del regime di autocorrispondenza. "Oltre" in quanto Per ottenere

tale scopo deve aprire i propri autoriferimenti organizzandosi come "macchina canonicamente autonwendente".

Questo punto può essere contestualizzato nell'ambito dei linguaggio della teoria dei sistemi chiudenti facendo riferimento a come Luhrnann ne valuta lo stato: "Una nuova epistermlogia deve fare attenzione almeno a due distinzioni fondamentali: la distinzione tra autopoiesi e osservazione da un lato e quella tra osservazione esterna ed interna, dall’altro. Combinare queste due distinzioni è uno dei compiti irrisolti della teoria dei sistemi" (1984a:187).

La nostra risposta è che la convenzionalizzazione artificiale delle proprietà generative del linguaggio può includere ambedue le distinzioni nell'ambito di un regime di autocorrispondenza, dove cioè le semantiche generanti e generate condividono il medesimo dominio.  In altre parole questo problema rimane un problema solo se le convinzioni sistemiche non vengono organizzate come topologie generative di autocorrispondenza.

 

3.5. Profilo gnoseologico di un metautoma cognitivo

 

Che tipo di organizzazione dell’astrazione è possibile attraverso macchine cognitive disegnate secondo il principio della "chiusura generativa"?

 

 3.5.1. Autoconvenzionalismo esplicitato

 

Come ogni tipo di macchina, un metautoma cognitivo "comprime" il significato delle operazioni entro il suo regime auto-operativo. La verità della macchina è uno stato della macchina stessa (il discorso "sulla verità" della macchina è la descrizione delle condizioni di funzionamento di essa). Una macchina riconosce la propria autoverità quando non trova ostacoli nel processo di "chiusura". Una macchina è autoreferenzialmente "falsa" quando, semplicemente, non funziona, non gira più.

 

 

3.5.3. Soluzione del punto di arresto dell'empirismo logico

 

La chiusura generativa fornisce ad un metautoma cognitivo una capacità infinita di autoevoluzione come estensione indefinita del suo potere di convenzionalizzazione autoriferita.  La controfattualità autogenerata può essere riconosciuta dal metautoma come impossibilità di completare una "chiusura interattiva" di livello specifico (cioè come punto di arresto nel regime di chiusura).  Tuttavia, anche se è possibile disegnare una procedura per la quale un metautoma possa riconoscere la controfattualità nel regime autogenerato dei fatti, sarà sempre impossibile decidere se la rielaborazione indotta dal punto di arresto riconvenzionalizza quello specifico fatto che ne è "causa" o se genera un diverso universo di fatti dove quella specifica controfattualità perde il suo significato precedente. Ciò significa che le proprietà autocostruttiviste della chiusura generativa producono una indecidibilità intrinseca nell'interazione tra linguaggio e fatti: gli eteroriferimenú cambiano in relazione ai "salti" rielaborativi del regime canonico.

Il metautoma cognitivo, quindi, non risolve il problema dell'Empirismo

logico di ottenere una stabilizzazione logica del linguaggio allo scopo di dominare che "cosa" viene messo in corrispondenza con i fatti. Anch'esso risulta limitato da una indecidibilità intrinseca della relazione tra linguaggio e fatti stessi. Domina, tuttavia, questo problema stabilizzando il raggio dei possibili significati che un'espressione di corrispondenza può assumere: denunciandola come autorelativa ne ricostruisce la completezza sul piano dell'autoreferenza, rinunciando alla "oggettività" della completezza stessa. Questa soluzione del "punto di arresto" dell'Empirismo logico ne riapre il programma sul piano dei linguaggi di autocorrispondenza.

 

 

3.5.4. Autoselettività come dominio generativo della circolarità

 

In generale, qualsiasi macchina cognitiva tende a "mangiarsi" la controfattualità creando nuovi fatti su cui la macchina stessa può "ri-chiudersi" (es.: la possibilità della condizione di Lakatos relativa al controllo empirico di una convenzione è sempre indecidibile se organizzata nell'ambito di un linguaggio eteroreferenziale che dota i "fatti" di un potere selettivo di carattere oggettivo).

Questo problema può essere meglio apprezzato se si vede, metaforicamente, una qualsiasi macchina cognitiva come un "treno che costruisce da se i propri binarii".

Per esempio la matematica è un treno di questo tipo quando costruisce se stessa lungo l'asse dell'infinito numerico autogenerato.  Il linguaggio costruisce i suoi sviluppi attraverso la "nominazione" di un qualsiasi oggetto sulla base autoriferita della propria ecologia ricorsiva .

Questi treni cognitivi autocostruentesi non possono essere aperti a criteri osservativi di oggettivismo eteroreferenziale in quanto il tipo di chiusura che compiono sull'osservatore - utente è una "spugna" che ne assorbe la capacità di discriminare il piano di realtà costruita dalla macchina e quello esterno ad essa in riferimento al primo. L'osservatore, cioè, non regola la propria posizione in riferimento allo strumento di osservazione in quanto questo ultimo non possiede un linguaggio di autocorrispondenza che espliciti come la visione prodotta sia autoconvenzidnale. Senza questa regolazione l'osservatore è forzato a trattare un problema di generalità attraverso un linguaggio locale di cui sono oscuri sia confini che selettività topologica specifica.  Il problema della decidibilità del linguaggio è qui ulteriormente complicata dall'assenza di dominio della circolarità locale, ma infinitamente estendibile sul piano autocostruttivo, delle convenzioni osservative.

 

CONTINUA