Societ?/title> </head> <body> <TABLE border=0 height=69 width=620> <TR> <TD height=65><A name=Societ?<BIG><FONT color=#ff0000 face=Arial><STRONG>Societ?/STRONG></FONT></BIG></A><FONT face=Arial size=4><B> <P>Economia. Come vincere le sfide della globalizzazione<BR>Pelanda: investire sui cittadini</B></FONT></P><FONT face=Arial> <P>di <B>Alessandro Bettero</B></P> <P><EM>Emergenza occupazione. Crisi delle borse. Qualit?della produzione. Giustizia sociale. Nel libero mercato vince chi privilegia il "capitale umano". Obiettivo: lo Stato della crescita.</EM></P> <TABLE border=0 width="100%"> <TBODY> <TR> <TD width="30%"><IMG alt="P10.gif (45572 byte)" height=334 hspace=20 src="P10.gif" width=223></TD> <TD vAlign=top width="70%">"L’Europa non deve seguire necessariamente un modello americano di sviluppo per avere il liberismo e il capitalismo di massa. Nella tradizione europea c’è sempre pi?Stato, e questo non ?un male". Il professor Carlo Pelanda ?gi?consulente scientifico dell’ex segretario dell’Onu, Perez De Cuellar, e tuttora docente di <I>International Futures</I> (Economia e scenari internazionali) e <I>Political Ecology</I> all’Universit?della Georgia di Athens (Usa) ?ha un’idea precisa dei parametri di cui Italia ed Europa devono tenere conto se non vogliono perdere il treno della globalizzazione dell’economia mondiale. Un fenomeno che chiama in causa la fragilit?finanziaria dei Paesi emergenti, ma anche le obsolete istituzioni politiche e sociali del vecchio continente.</TD></TR></TBODY></TABLE> <P>"In Europa ?osserva Pelanda ?c’è l’idea che lo Stato debba proteggere l’individuo invece che investirci sopra per renderlo pi?competitivo. E il risultato ?che la ricchezza dell’Europa emigra altrove mentre aumenta la disoccupazione nel nostro continente; una disoccupazione che ?prevista in crescita nel 1999 e nel 2000. Oggi l’economia globale richiede che tutti i Paesi siano competitivi, e la competizione avviene tra chi ha le tasse pi? basse, la scuola migliore, ecc. In sostanza, laddove l’individuo ?messo nelle condizioni di avere un pi?alto valore di mercato. Purtroppo l’Italia, cos?come l’Europa, ?un po?indietro. Questo lo si vede nella quantit?di disoccupati. In tutta Europa la media dei disoccupati ? superiore al 10 per cento. Negli Stati Uniti, invece, la disoccupazione ? scesa ultimamente ai minimi storici, cio?al 4,3 per cento!"</P><B> <P>Msa. Chi ci guadagna di pi? e chi ci rimette, nel mercato globale?<BR>Pelanda.</B> Negli ultimi 8-9 anni, circa 2 miliardi e mezzo di persone sono passate da economie comuniste (e quindi isolate dal mercato internazionale) oppure semplicemente sottosviluppate, all’economia capitalistica globalizzata. E hanno sicuramente migliorato la loro condizione economica. Poi, ?un discorso pi?lungo vedere se hanno migliorato la loro condizione umana. Secondo me, il mercato globale porta ricchezza a tutti. Bisogna, ovviamente, correggere alcuni aspetti. I maggiori problemi che abbiamo sia di ingiustizia sociale che di instabilit?finanziaria nel processo turbolento di formazione del mercato globale, sono caratterizzati fondamentalmente dalla libert?del capitale di andare dove fa pi?profitto. Molti problemi nascono perch?istituzioni e Paesi non sono in grado di ricevere questa economia pi?sofisticata. ? chiaro che per partecipare all’economia globale, un Paese deve avere sistemi di trasparenza, di controllo di polizia, per evitare dei processi economici occulti o illegali che creano dei disastri, i quali, a loro volta, ricadono sulla gente, perch?una crisi finanziaria genera una recessione nell’economia reale. </P><B> <P>E la giustizia sociale?<BR></B>Questo ?un tema pi?delicato. Perch? ogni processo di modernizzazione implica fatica, specialmente nei processi iniziali di sviluppo capitalistico e di passaggio da una un’economia rurale a una industriale; implica una fase di sfruttamento e di ingiustizia. In questo momento non siamo ancora in grado di valutare, per una questione di tempi, quale sia stata l’evoluzione della condizione umana dopo i primi sette, otto anni di funzionamento dell’economia globale in tutto il pianeta.</P><B> <P>La crisi delle borse brasiliane pu?ripetersi ancora, ed espandersi per "effetto domino" anche ad altri Paesi del Sudamerica, replicando quanto ? gi?accaduto l’anno scorso sui mercati finanziari asiatici?<BR></B>Il pericolo c’è, nel senso che se una grande economia emergente comincia a svalutare, quelle che sono toccate hanno anch’esse una pressione svalutativa; per due aspetti: uno pratico, cio?il problema della competitivit?delle esportazioni; e uno pi?psicologico del mercato finanziario globale: la crisi di un Paese tende a ridurre la fiducia del mercato in generale sui Paesi emergenti; quindi il mercato tende a ritirare i propri capitali d’investimento da questi Paesi emergenti. Nel caso brasiliano la questione della fiducia c’è, ma non ?cos?marcata com’è stato per la crisi asiatica dell’anno scorso. Possiamo dire che il mercato globale si ?vaccinato contro le crisi di fiducia. Cio?il mercato comincia a capire che ?proprio la sua natura planetaria a creare una maggiore instabilit? Per cui ci sono meno impatti quando avviene una crisi di questo tipo. </P> <P>Mentre Argentina e Brasile sono i Paesi pi?avanzati del Sudamerica, ce ne sono altri maggiormente in difficolt? Per esempio il Venezuela che, a prescindere dal disordine interno, ha visto entrare in crisi i bilanci statali, poich?dipende parecchio dalle risorse petrolifere (e il prezzo del petrolio ?molto calato). La stessa cosa succede in Messico dove per mantenere il consenso, il governo non pu?comprimere oltre una certa misura la spesa pubblica, e deve destinare parte di questa a risolvere problemi di base della popolazione, cio?addirittura programmi di alfabetizzazione. Per cui questi Paesi, peraltro anche molto indebitati, sono a rischio continuo di una crisi di sfiducia che porta via loro il capitale e li manda in tilt. Cos?sono molto esposti e molto vulnerabili alle variazioni che avvengono nella loro area geo-economica.</P> <P>Da tutto questo si evince un dato negativo: i fatti mostrano come passeranno ancora parecchi anni prima di arrivare a capire come si pu? dare un minimo di stabilit?a questo sistema globale.</P><B> <P>L’Italia, cos?com’è organizzata, riuscir?a sostenere, sul piano politico, economico e produttivo, le sfide imposte dalla globalizzazione?<BR></B>Mercato globale significa pi?concorrenza, soprattutto sul piano della qualit?dell’istruzione, delle merci, dei processi industriali, della cultura. Per questo ci vorrebbe una politica che aiutasse di pi?il mercato nazionale a svilupparsi. L’Italia non ha modernizzato gli aspetti tecnici delle istituzioni, cio??ancora uno stato abbastanza ottocentesco. E, poi, c’è alla guida del Paese una sinistra che non ?"amichevole" nei confronti dei requisiti richiesti dalla competizione del mercato globale. Questo suo "non essere amichevole" si vede nei fatti: tiene le tasse molto alte, il che riduce gli investimenti di capitale; tiene molto rigido il mercato del lavoro: se io assumo e non posso licenziare, ?ovvio che non assumer?nessuno e lo andr? a fare in altri Paesi che me lo lasciano fare, e questo crea disoccupazione. Oggi non ?pi?possibile tutelare in forme antiquate la ricchezza della popolazione.</P><B> <P>Per l’Italia, ma anche per altri Paesi europei esistono due fenomeni correlati da affrontare: quello dell’occupazione e quello del cosiddetto <I>welfare state</I>. Tra le due alternative: uno stato sociale e un regime di libero mercato, e quindi di alta mobilit?della forza lavoro, come avviene per esempio negli Usa, quale opzione dovrebbero scegliere Italia ed Europa per assicurare sviluppo e benessere ai propri cittadini?<BR></B>Fondamentalmente occorrerebbe non perdere la natura sociale dello Stato, perch?questo ?un bene, ma bisogna trasformare il concetto di socialit? Al momento lo Stato ?sociale perch?incentiva il finanziamento passivo degli individui: cio?sono un cittadino, non ho voglia di fare cinquanta chilometri per andare a trovare un altro lavoro, mi dichiaro disoccupato e lo Stato mi d?molti soldi, e questo mi incentiva ad essere un po?pigro, oltre a sprecare denaro, il che comporta l’aumento delle tasse e quindi un danno al mercato privato e alla sua dinamicit? </P> <P>Senza perdere il concetto che una comunit?deve assicurarsi che un individuo viva il meglio possibile, bisogna per? d’altro canto, costringere gli individui ad essere un po?pi?attivi. Per cui la comunit? cio?lo Stato, dice al cittadino: "io ti finanzio, ti aiuto, non ti lascio solo, ti pago un corso di ri-formazione se le tue competenze non sono sufficienti, ti do le risorse affinch?tu sia in grado di lavorare meglio, di essere pi?mobile sia intellettualmente che fisicamente per cercarti un lavoro, per fare la tua vita dignitosa, ecc..., ma tu in cambio mi devi dimostrare che sei pi?attivo sul piano economico". Si tratta di trasformare il contratto sociale di tipo europeo-continentale, cancellando le garanzie passive, cio?l’assistenzialismo, e trasformarle in garanzie attive. Insomma, i soldi pubblici devono essere finalizzati alla crescita continua del "valore di mercato" dell’individuo. Sull’argomento sto scrivendo un libro: <I>Dallo Stato sociale allo Stato della crescita</I>.</FONT></P></TD></TR></TABLE> </body> </html>