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Carlo A. Pelanda
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Libero

2011-9-13

13/9/2011

Per uscire dalla crisi è necessaria una Repubblica presidenziale

Gli appelli all’orgoglio ed alla coesione nazionale - l’Italia deve e può farcela da sola ad uscire dall’emergenza - sono molto sensati sul piano tecnico economico.  Nella nuova economia, infatti, la capacità di darsi un’architettura politica che produca disciplina di bilancio e favorisca la crescita è il criterio principale con cui il mercato valuta l’affidabilità di una nazione. Pertanto è venuto il momento di mettere in priorità nei commenti economici il fattore politico.

Le agenzie di rating hanno declassato, e gli attori economici disertato, il debito italiano non perché l’Italia abbia problemi tecnici a rifinanziarlo.  Pur in lento declino con sprazzi settoriali di rilancio dai primi anni ’90, resta una potenza economica formidabile, con patrimonio e riserve abbondanti, risparmio tra i più alti del pianeta e potenziali di rilancio ancora intatti. Il mercato ha ridotto la fiducia sull’Italia  perché valuta che il sistema politico italiano non sia in grado di cambiare il modello. Non basta, pur necessario, inserire in Costituzione l’obbligo al pareggio di bilancio. Se non si riformerà il sistema per rilanciare la crescita, il pareggio  sarà ogni anno perseguibile solo con più tasse e tagli, inducendo una deflazione endemica fino all’implosione. Questo è il punto: il mercato non crede che il sistema politico italiano riuscirà a varare politiche di reflazione capaci di bilanciare la deflazione perché vede un’architettura politica ed istituzionale inadeguata alla novità storica che ha cambiato la relazione tra politica ed economia. Questa novità è la nascita della moneta fiduciaria in sostituzione di quella ancorata all’oro. La sostituzione avvenne nel 1971, ma solo nei primi anni ’90 si cominciò a vederne l’effetto. Il capitale finanziario divenne abbondante e ciò permise il capitalismo di massa, ma ad una condizione: tutto il sistema politico e sociale doveva adeguarsi al suo ciclo. Detto altrimenti, il nuovo tipo di denaro è direttamente convertibile in politica e la politica in denaro. Perché la fiducia che regge la nuova moneta è basata sulla politica e questa per produrla deve convergere verso i requisiti del ciclo espansivo del capitale finanziario. Cioè, la qualità del capitale politico determina la qualità di quello sociale che si converte in quantità di quello finanziario che si riconverte in qualità politica e sociale, e via così. Questo è il ciclo di trasfigurazione del capitale che caratterizza la nuova società finanziarizzata. Ma la politica, dappertutto, ha enormi problemi ad adattarsi alla novità o perché non la ha capita o perché ha trovato difficile trovare un compromesso tra politiche di protezione ed il nuovo requisito di efficienza e/o ha percepito la novità stessa come un inaccettabile primato del mercato sulla politica. Luttwak, Tremonti ed io scrivemmo “Il fantasma della povertà” (Mondadori, 1995) con la comune missione di ripristinare il primato della politica sull’economia. Tremonti scelse una strategia di limitazione del mercato finanziario, Luttwak una di compromesso ed io una di complementarietà convergente tra Stato e mercato dove il primo si modifica per diventare parte essenziale del ciclo del capitale. Dopo 16 anni insisto nel proporre che sia quella giusta perché i fatti così mostrano. In tale logica sarà necessario cambiare il modello economico italiano, ma per riuscirci ci vuole il potere per farlo. Ecco perché la priorità per rendere credibile l’Italia agli occhi del mercato è quella di rafforzare il potere esecutivo e non solo quelle di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione ed avere più coesione nazionale. In conclusione, l’annuncio credibile di un progetto di Repubblica presidenziale, possibilmente con l’elezione diretta dell’esecutivo, è il principale atto di politica economica capace di ripristinare la fiducia prospettica del mercato sull’Italia e avviarne il rilancio.

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