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Carlo A. Pelanda
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2015-8-3

3/8/2015

L’Eurozona non si riformerà e dovranno farlo le nazioni

I problemi di instabilità e di poca crescita dell’Eurozona hanno cinque cause principali: a) i modelli economici delle nazioni principali sono basati su un tipo di redistribuzione fiscale della ricchezza che ne soffoca la creazione; b) le euroregole obbligano gli Stati al pareggio di bilancio ogni anno impedendo così il finanziamento in deficit temporaneo di tagli delle tasse o di investimenti pubblici, cioè stimoli fiscali; c) lo statuto della Bce definisce la sola missione di difesa del valore d’acquisto della moneta contro l’inflazione, ma non prevede, diversamente dall’America, il ricorso a politiche monetarie pro-crescita e di tutela dell’occupazione, se non in casi di deflazione violenta, logica irrazionale perché impone l’evidenza di una megacrisi prima di poter intervenire; d) l’assenza di un eurogarante dei debiti nazionali li rende di fatto denominati in moneta straniera ed esposti a valutazioni di rischio specifico invece che in relazione all’Eurozona tutta, esponendo gli Stati in difficoltà a problemi aggiuntivi; e) l’assenza di una politica economica integrata che bilanci le differenze nazionali di situazione rende l’area monetaria intrinsecamente instabile. Non sorprende che in queste condizioni il Fmi abbia previsto un futuro di crescita insufficiente per l’Eurozona e che il mercato sia incerto sulla sua continuità. Né può sorprendere che in questa eurogabbia l’Italia, appesantita dal megadebito e con un modello più dissipativo ed inefficiente degli altri, riesca a crescere meno della media europea. Inoltre, il peso del debito italiano è maggiore perché ha mantenuto la sovranità sul debito stesso, ma cedendola sui mezzi per ripagarlo (bilancio e moneta) senza avere dall’eurosistema strumenti di flessibilità per ridurlo. E non sorprende il fatto che fiocchino proposte di riorganizzazione del sistema per non farlo implodere. Ma ritengo improbabile che quelle di maggiore integrazione politica per riparare i difetti b,c,d,e, detti sopra trovino consenso. Quindi la soluzione degli eurodifetti resterà a carico delle nazioni: ciascuna dovrà ritrovare crescita tagliando debito, spesa e tasse con politiche proprie. Chi ci riuscirà non avrà problemi a restare in un eurosistema pur maldisegnato. Ma lo sforzo per riuscirci implica lo smontaggio dello Stato sociale, il trasferimento di milioni di persone dai mercati protetti a quello competitivo. L’Italia potrebbe farcela perché, pur disordinata, resta una potenza industriale e dovrebbe farlo per evitare il declino. Ma la politica riuscirà a gestire le tensioni sociali di questa transizione?

(c) 2015 Carlo Pelanda
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