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Carlo A. Pelanda
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2014-11-3

3/11/2014

La speranza di una Commissione più attiva e sviluppista

Il lavoro della nuova Commissione europea guidata dal lussemburghese Jean Claude Juncker non sarà certo facile. L’Unione europea non riesce a dare concrete risposte “europee” alla domanda di soluzioni ed interventi che proviene da gran parte della regione e ciò favorisce il riemergere dei nazionalismi o di posizioni nazionali rigide su quella o altro materia, bloccando l’Unione stessa. Il potere decisionale (e di veto) entro la Ue è nelle mani del Consiglio dei governi, cioè del tavolo dove siedono i rappresentanti delle nazioni, e la Commissione ha più una funzione, semplificando, di segretariato del Consiglio, con la missione di applicare i trattati siglati dagli Stati. La Ue, in altri termini, assomiglia di più ad un’alleanza tra nazioni, pur basata su strutture permanenti, che ad una vera Unione (confederazione). Infatti nella Ue convivono istituzioni sovranazionali con profilo confederale (Commissione, Parlamento, Bce per le 18 nazioni dell’Eurozona, ecc.) ed istituzioni tipiche del modello di alleanza, il Consiglio appunto, dove i poteri delle prime sono molto limitati da quelli del secondo. Ma un po’ di potere discrezionale e di proposta la Commissione lo ha. Il suo esercizio o meno dipende dalla personalità del presidente in combinazione con le circostanze. Per esempio Jacques Delors, dal 1985 al 1995, trasformò la Commissione in un vero governo sovranazionale europeo capace di condizionare i governi in un momento in cui Francia e Germania mostrarono un picco di europeismo, ora esaurito, per loro intesse nazionale. Barroso, presidente nell’ultimo e travagliatissimo decennio, ha interpretato in modo più passivo e dipendente dal volere della Germania il ruolo della Commissione in una fase di de-evoluzione della convergenza europea. Cosa possiamo aspettarci da Juncker? Merkel ha subito, più che promosso, la presidenza del cristiano-sociale lussemburghese. Ciò fa prevedere divergenze con la Germania? Non ve ne saranno di esplicite, ma Juncker ha già mostrato una posizione meno incline a sostenere l’ossessione rigorista di Berlino. Inoltre Juncker avrà il problema di tenere entro la Ue il Regno Unito che se ne vuole andare perché Londra ritiene di poter bilanciare meglio lo strapotere tedesco, la Francia ormai secondarizzata, da fuori che da dentro. Poi dovrà mostrare, motivo del suo annuncio di un piano di investimenti di 300 miliardi, che la Ue è parte delle soluzioni e non dei problemi economici, come ora. Quindi sarà inevitabile una divergenza sostanziale dal criterio tedesco, pur senza sfide aperte, simile allo stile che sta usando Draghi nella conduzione della Bce.

(c) 2014 Carlo Pelanda
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