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Carlo A. Pelanda
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2014-7-28

28/7/2014

Il governo ostacola gli investimenti

Le recenti misure del governo per sbloccare e rendere più competitivo il sistema economico nonché per correggere gli abnormi sprechi della pubblica amministrazione appaiono insufficienti in relazione all’obiettivo dichiarato pur alcune migliorative. Una, che riguarda il diritto societario, appare perfino motivo di regressione competitiva: una minoranza di azionisti potrà detenere più facilmente il controllo di un’azienda, ma in tal modo riducendo l’interesse di altri ad investire. Questa misura, in particolare, è sconcertante se si pensa che l’Italia è il settimo esportatore di beni nel mondo (il secondo in Europa) ma è al 18° posto per investimenti diretti esteri sulle aziende perché queste sono poco aperte a nuovi azionisti e, soprattutto, non contendibili. Se gli investitori esteri potessero accedere più facilmente ed in modo più tutelato all’azionariato delle nostre imprese potrebbero dare loro quel capitale per lo sviluppo che ora è molo difficile reperire nazionalmente. Invece il governo ha favorito un modello che disincentiva acquisizioni e partecipazioni. Lo ha messo sotto il titolo “competitività”, contando sul fatto che tale materia molto tecnica sfugga all’opinione pubblica, mentre il titolo giusto sarebbe “blindatura dell’inefficienza”. Se ci fosse spazio tenterei un’analisi che mostra come il sistema italiano tende ad essere autarchico o, meglio, caratterizzato da feudalesimo economico, cioè chiuso al mondo, alla modernizzazione ed alla concorrenza. Citerei a prova l’irraelistica posizione di chi ritiene una perdita il fatto che uno straniero compri un’azienda italiana mentre in realtà tale atto, come considerato ovvio in tutte le nazioni comparabili con forse l’eccezione, per altro indicativa, della Francia, comporta un aumento di valore per il territorio. Con poco spazio mi limito a segnalare ai disoccupati che tale arretratezza di cultura economica è tra le cause principali della loro situazione. A cui va aggiunta anche la tassazione al 26% dei rendimenti da investimenti diretti in aziende come se fossero rendite da investimento passivo solo finanziario. Chi rischia denaro per capitalizzare un’impresa dovrebbe essere detassato e non punito. Paradossalmente, il governo tenta di dare, per dire, 10 alle imprese in forma di incentivi, ma toglie 100 disincentivando gli investimenti. Una visione complessiva mostra che il governo sta facendo tentativi per sbloccare un’economia stagnante, ma non mette ancora al centro della sua azione l’industria, la sua competitività e possibilità di attrarre capitale di investimento. Fino a che non lo farà sarà difficile ottenere una vera ripresa.

(c) 2014 Carlo Pelanda
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