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Carlo A. Pelanda
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2007-5-14

14/5/2007

Il successo dell’impresa italiana non è un’anomalia

La vitalità innovativa del sistema industriale italiano sorprende, ogni giorno una buona notizia in cronaca. Anni fa l’Economist titolò un’indagine sull’economia italiana con il termine “nonostante”. Nonostante un sistema politico contrario al mercato ed uno istituzionale disordinato ed opaco, nonostante le tasse troppo alte, nonostante l’inadeguatezza delle infrastrutture, ecc., l’economia italiana va. Mistero. Ma lo è veramente?    

 I dati di geografia economica mostrano che la ricchezza italiana è prodotta quasi esclusivamente nel Nord del Paese, il Sud ed il Centro con poca o nulla capacità industriale residente. Pertanto la mappa porta a ridefinire la questione: come mai l’economia funziona al Nord? Nel Nord-Ovest c’è una secolare tradizione industriale che, nonostante la crisi degli anni ‘70 ed ’80, si è rinnovata. Da un lato, il modello politico italiano non favorisce, a parte sostegni assistenziali per qualcuna, la grande industria competitiva. Dall’altro, tale tradizione ha sostenuto la formazione di piccole imprese che pensano in grande. Ciò spiega l’apparente mistero delle nostre “multinazionali tascabili”. Al riguardo del Nordest non si può parlare di “modello italiano”. La base culturale è data da una storia di mezzadria e non di latifondo. Nella prima il lavoratore del campo aveva autonomia e pensava in termini di impresa. Nella seconda, il modello tradizionale del Sud, il lavoro era totalmente dipendente. Inoltre, nel Nordest non è mai arrivato l’Iri. Negli anni ’60 i piccoli agricoltori scoprirono che producendo in un capannone vicino al campo degli oggetti questi erano ben accetti in Germania. Ma non si dimentichi che nel 1500 l’area veneta e lombarda orientale erano le più ricche d’Europa, poi decadute per l’emergere competitivo (nel tessile) dei Paesi atlantici. Quindi anche in questa parte d’Italia c’è una forte tradizione industriale. Cosa voglio dire? Che non è per nulla sorprendente come nel Nord vi sia un’alta densità di piccole e medie imprese ad alta capacità innovativa ed esportativa grazie ad una storia industriale secolare, se non millenaria. Che, a parte le capacità mercantili di alcuni luoghi, non esiste nelle altre aree italiane. Resta da spiegare come il “modello settentrionale” possa resistere all’inefficienza di quello nazionale. Ma non è un mistero. La cultura industriale-imprenditoriale ha come tratto principale la capacità di adattamento attivo mentre il latifondo porta ad atteggiamenti opportunistici, passivi. Le aziende settentrionali, semplicemente, hanno aumentato l’efficienza entro il perimetro dell’azienda per bilanciare l’inefficienza esterna. Poi c’è da dire che le statistiche non rendono la realtà. Per esempio, vi si legge che le imprese investono poco in ricerca. Ma in realtà spendono moltissimo per questa, anche perché se non lo facessero non resterebbero sul mercato. Mancando la ricerca di base residente per difetto del modello nazionale, le aziende la comprano nel mercato globale e ci inseriscono l’innovazione. Tale capacità, unica al mondo, è un adattamento, appunto, attivo ad un modello politico non favorevole. Non ci si lamenta, si fa, la cultura del fare. In conclusione, la spiegazione del mistero è che il modello statalista-burocratico “italiano” non ha contaminato troppo il Nord, terra di “liberalismo naturale” anche grazie ad un cattolicesimo attivo, dove resta forte e diffusa la cultura produttiva. Ma risolto questo mistero ne resta un altro: come mai la parte più produttiva del Paese non riesce ad influenzare la politica in modi tali da modernizzare la nazione intera? 

(c) 2007 Carlo Pelanda
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