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Carlo A. Pelanda
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2003-9-1

1/9/2003

Una ripresa a scalini

La ripresa economica in America terrà o meno? Se lo chiedono con la stessa ansietà sia gli osservatori americani sia quelli europei. I secondi perché solo l’effetto locomotiva degli Usa può far sperare in un rimbalzo, via più export, dell’eurozona caduta in recessione, pur lieve, nei mesi scorsi e senza forza propria di crescita per la nota rigidità del modello economico nei suoi Stati principali (Francia, Germania ed Italia). Che ora la politica comincia ad aggredire, ma con speranze di effetti solo a medio termine, non certo a breve.

I dati americani paiono rassicurare: il Pil nel secondo trimestre è cresciuto più (3,1% annualizzato) di quanto inizialmente calcolato (2,4%). E pare, in base all’aumento della spesa (0,8%) e dei redditi (0,2%) delle famiglie, che i consumi resteranno robusti. A ciò si aggiunge una certa ripresa degli investimenti aziendali: non solo ricostruzione delle scorte, ma anche nuovi computer, ecc. A cui corrisponde un aumento dell’indice che misura la propensione delle imprese ad acquistare beni utili a più produzione. Ed una relativa buona salute – per la prima volta dal 1995 in poi – del settore manifatturiero. Questi ed altri dati fanno prevedere che nel terzo trimestre la crescita sarà ancora più robusta, buona promessa per il quarto e per l’intero 2004.

Ma tendenze simili si sono già viste almeno due volte nel biennio passato per poi ricadere in una situazione di semistagnazione. Ciò alimenta la paura di un’altra falsa ripartenza. E tale sentimento incerto, per esempio, lo si nota nei comportamenti degli investitori in Borsa. Gli indici sono saliti notevolmente da inizio anno e continuano a farlo. Ma ad un certo punto si incassa il profitto non pensando che possano farlo di più o stabilmente, aspettando di vedere cosa succede prima di reinvestire. Se i valori tornano a salire o non scendono di molto, allora il mercato si convince che la crescita potrà fare uno scalino in più e rinnova l’investimento azionario. Appunto, sembra una ripresa a scalini, a piccoli passi uno per volta, guardinghi. Atteggiamento che sostiene un’ipotesi: l’economia reale americana è effettivamente di nuovo in moto, ma le delusioni precedenti e due anni di incertezza hanno lasciato il segno in termini di difficoltà nel riprendere la fiducia al riguardo di una nuova fase di crescita solida e duratura, senza interruzioni.

E’ solo un fenomeno psicologico o c’è anche qualche motivo concreto? Pare più psicologico che altro. Ma “psicologico” non è un termine che descrive una dimensione minore dell’economia. Il “sentimento” del mercato è il fattore principale che ne determina la direzione. Quindi dobbiamo chiederci che cosa deprime gli americani al punto da non voler ancora credere pienamente ai segnali di un’economia reale che va piuttosto bene e che promette meglio. Domanda non cervellotica visto l’andamento degli indicatori che misurano l’ottimismo della popolazione in relazione alle prospettive economiche. Questi oscillano in maniera anomala di mese in mese. La tendenza complessiva è verso il rialzo costante del numero di persone che è ottimista, ma attraverso su e giù che mostrano un’innegabile incertezza. Certamente su questo incide l’ansia per una ripresa economica che ancora non ha l’effetto di riassorbire la tanta disoccupazione creata nel biennio precedente (l’indice è sopra il 6%, per l’America tanto). E non lo fa per l’ovvio motivo che le imprese, nei momenti brutti del mercato, tagliano il tagliabile. E prima di rimettersi ad assumere ci vuole almeno un anno di crescita che convinca le aziende a mosse più espansive, tra cui nuovo personale. Ma se c’è la crescita reale questo problema andrà man mano riducendosi. Tuttavia un motivo d’ansia per i lavoratori, anche di alto livello, resterà: le imprese, durante la crisi, hanno imparato a spostare ancor di più le produzioni in Paesi a minor costo del lavoro. E non giocattoli, ma chip, computer, telefonini e altri aggeggi ad alta tecnologia. La California ne sta soffrendo in modo tale da registrare un’erosione della sua ricchezza strutturale (la distruzione di Silicon Valley come centro mondiale delle imprese tecnologiche). Quindi la gente sente che il problema del lavoro e della qualità salariale potrebbe diventare endemico in settori dove non si pensava ciò potesse avvenire. Ma va anche registrato, per esempio in base al dato espansivo delle vendite di auto e del tipo di segmento, che prevale la quota di popolazione che prova ottimismo.

In sintesi, lo scenario indica una tendenza verso il ritorno della fiducia, ma a scalini. Come se il mercato avesse bisogno di una conferma ogni volta che fa un passettino. E tale atteggiamento potrebbe far esagerare il significato degli inevitabili rallentamenti pur in una fase di ripresa. Per esempio, in settembre le Borse sono tipicamente poco vitali per motivi tecnici ed una caduta degli indici in riferimento ad un ottimismo non ancora consolidato potrebbe far scattare un effetto delusione che riporterebbe tutto indietro. Questa è la vulnerabilità di una ripresa a scalini. Ma, in conclusione, mi sento di dire che la forza dei fatti, questa volta, è superiore alle paure e quindi è molto probabile che le seconde si ridurranno. Annuncio di bel tempo, per fine anno, anche da noi.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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