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Carlo A. Pelanda
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2019-7-21

21/7/2019

L’utilità economica di elezioni immediate

L’ipotesi di elezioni politiche in autunno andrebbe valutata sul piano dell’utilità economica. Nel 2019 il Pil finirà poco sopra lo zero, con però rischi recessivi in aumento che potrebbero attualizzarsi in modo pesante nel 2020. Tale rischio può essere bilanciato solo da rapidi investimenti pubblici e privati, i primi bloccati dal M5S e i secondi in contrazione per l’incertezza generata dallo scontro entro il governo tra sviluppisti e desviluppisti. Il punto: poiché nei dati si vede una maggioranza potenziale sviluppista, appare ovvio segnalare che il miglior stimolo tecnico possibile nel breve all’economia italiana è quello di indire elezioni subito per rimuovere il blocco all’azione espansiva/stimolativa del governo.

Con il mio gruppo di ricerca ho abbozzato il seguente scenario. Basterebbero lo sblocco dei progetti infrastrutturali e un indirizzo politico chiaro pro-sviluppo per ricostruire la fiducia con la conseguenza di aumento degli investimenti. Ormai è tardi per migliorare il risultato del 2019, ma si è ancora in tempo per evitare che peggiori e, soprattutto, per entrare in accelerazione nel 2020 dove l’Italia, grazie al rilancio degli investimenti e del mercato interno, potrebbe puntare ad una crescita dell’1,5% del Pil anche in condizioni di turbolenza globale e bassa crescita del mercato europeo. Se le condizioni esterne, invece, migliorassero il potenziale di crescita salirebbe oltre il 2,5%. Tale effetto sarebbe dovuto all’apertura dei cantieri, alla prospettiva di riduzioni delle tasse e, soprattutto, alla fiducia generata da una maggioranza pro-mercato che convincerebbe le aziende ad aumentare, appunto, gli investimenti privati. Se, invece, il governo continuasse a produrre incertezza, la crescita del 2020 si fermerebbe, nel migliore dei casi, allo 0,5%, sottozero in caso di continuazione della stagnazione globale ed europea. Tale scenario è una bozza macro, ma è stato costruito a partire da una matrice base di 300 variabili che descrivono il sistema economico italiano, predisposta per simulazioni. Non posso invocarne la precisione, ma sono pronto a difenderne la capacità di mostrare le conseguenze di un cambio di governo, o meno, e il conseguente significato di utilità per anticipare le elezioni.

Potrebbe il mercato temere problemi al debito italiano in caso di elezioni anticipate, come ipotizzato mesi fa dalle agenzie di rating? Dipende dalla conferma da parte della Bce del programma sia di reflazione sia di garanzia – di fatto – degli eurodebiti. Questa è probabile, oltre che per motivi tecnici in relazione al ciclo dell’Eurozona, perché la Francia sta aumentando deficit e debito oltre misura e Macron deve finanziare a debito il consenso per la sua rielezione. Potrà il mercato fuggire dall’Italia perché teme il successo di una Lega incline ad un Italexit? Questo è un rischio vero che si traduce tecnicamente in “rischio di ridenominazione” e che può destabilizzare in pochi giorni il sistema bancario, del credito e degli investimenti e quindi diventare motivo per il Quirinale di non concedere le elezioni. Ma basta che la Lega confermi con fatti, come ha già iniziato da tempo a parole, che le sue posizioni eurocritiche non implicano l’uscita dall’euro per evitare tale problema. C’è il rischio di un esercizio di bilancio provvisorio che porterebbe all’aumento automatico dell’Iva, devastante, in caso di non rapida costituzione del governo? C’è, ma proprio per questo il nuovo governo avrebbe tutti i motivi per evitarlo. Potrà il mercato temere uno sfondamento del deficit già concordato con l’Ue? I saldi dovranno essere confermati, cioè il limite al 2,1% del deficit, per evitare sabotaggi/ricatti da parte della Commissione come proxy delle euronazioni contrarie ad un’Italia più autonoma e capace di mettersi in ordine da sola. Ma tale impostazione renderà debole l’offerta, soprattutto detassante, degli sviluppisti? Per tenerla forte e credibile basta calibrare il progetto in cinque anni, migliorandolo, per esempio mettendo in priorità la riduzione del cuneo fiscale per incrementare il salario in busta paga senza aumentare il costo del lavoro e portando al 15%, gradualmente, la tassazione complessiva sulle imprese. Il rischio maggiore sembra quello elettorale, per esempio una reazione diffusa del voto meridionale contro la proposta di autonomia forte delle Regioni del Nord, ingiustamente demonizzata, che alla fine comprometta la vittoria degli sviluppisti. Pertanto dovrà essere convincente un piano di sviluppo per ambedue le Italie. Poiché è possibile, non ritengo questo rischio tale da consigliare agli sviluppisti di rinviare le elezioni, suggerendo loro, però, una larga coalizione che punti al 51% dei voti popolari e ad una stramaggioranza in Parlamento. Lo sviluppo in Italia ed una geopolitica economica che lo aiuti come posizionamento nel mondo, infatti, implica anche la trasformazione costituzionale della Repubblica da parlamentare a presidenziale, cioè la conduzione verticale di un progetto strategico nazionale, ora inesistente, motivo principale di incertezza, impoverimento, declino e mancata soluzione al problema del debito.

(c) 2019 Carlo Pelanda
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