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Carlo A. Pelanda
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2019-10-18

18/10/2019

Nuova ecologia artificiale per evitare il conflitto tra ambiente e sviluppo

Nel concetto di capitale è implicita l’assunzione che nel futuro questo aumenterà, ma anche quella che non ci siano limiti allo sviluppo né alle risorse ambientali. Da quando (anni ’70) è emersa la consapevolezza dei limiti ecosistemici, è nato e si inasprito sempre di più un conflitto tra capitale-sviluppo-lavoro e protezione dell’ambiente. Il concetto di sostenibilità fu ideato per eliminarlo, allo scopo di non dover licenziare operai per salvare una foresta, generando l’idea che con date cautele lo sviluppo poteva essere compatibile con l’ambiente. Ma negli anni ’90 la ricerca mostrò che i costi ambientali dello sviluppo erano esclusi dai calcoli standard e che se fossero stati inclusi sarebbe emersa la loro insostenibilità ambientale. Quando la cultura verde si trasformò in importante fattore elettorale la politica avviò crescenti ecotutele, ma seguendo una linea sia confusa sia troppo limitativa. Per esempio, l’idea di “fermare” il cambiamento climatico riducendo un po’ di emissioni è un’illusione, anche pericolosa perché ritarda un più realistico ecoadattamento. Altre ecomisure hanno effetti superficiali. Il punto: il macroscenario fa ipotizzare che l’espansione antropica metterà sempre più in crisi il ciclo naturale del pianeta. Pertanto, o si riduce la biomassa umana e lo sviluppo o si trasforma l’ambiente, artificializzandolo, per renderlo compatibile con lo sviluppo stesso. Questo non è solo massa demografica, ma consumo incrementale di risorse ambientali pro-capite che alla fine rende inconciliabile l’armonizzazione tra sviluppo e ambiente senza interventi su uno dei due.

Chi scrive opta per una nuova ecologia che non solo limiti gli impatti ambientali, ma anche modifichi l’ambiente e il ciclo delle risorse basiche naturali (acqua, aria, cibo) per rafforzare il primo – per esempio rigenetizzando sistemi vegetali per rafforzarli – e renda illimitate le seconde, per esempio moltiplicando i desalinizzatori. Da diecimila anni l’agricoltura ha già fatto una cosa simile: artificializzazione dell’ambiente per utilità antropica. Ora servirà una infrastrutturazione del pianeta, in secoli, che riduca la vulnerabilità alle variazioni climatiche, calde o fredde, nonché renda, appunto, illimitate le risorse basiche. La tecnologia inizia ad esserne capace. Si può immaginare la reazione demonizzante degli ecoconservatori, tra cui molti ostili al capitalismo. Questi dovrebbero considerare che il loro ecometodo non salverà comunque la natura e comprometterà la profezia ottimistica del capitale su cui si basa non solo la finanza, ma, soprattutto, il lavoro. 

(c) 2019 Carlo Pelanda
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