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Carlo A. Pelanda
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2019-7-26

26/7/2019

La pressione Usa sull’Iran ha uno scopo globale e non locale

Qual è lo scopo strategico statunitense nel confronto con l’Iran? Il cambio di regime è una speranza, ma difficilmente un disegno. Il nazionalismo iraniano, infatti, è diffuso e la Russia reagirebbe per difendere la sua influenza sull’Iran, cosa che Washington e Mosca, per ora, vogliono evitare. Indebolire il sostegno iraniano agli Huti, Hezbollah ed Hamas per confermare la tutela statunitense di Arabia e Israele è certamente un intento, ma non giustifica la dimensione dell’ingaggio. Costringere l’Iran a rinunciare totalmente al potere nucleare? Se ciò avvenisse, come potrebbe l’America giustificare il protettorato sull’Arabia? Così come la pressione sulla Corea del Nord ha sì lo scopo di limitarne il potenziale nucleare, ma non di eliminarlo per motivare la presenza militare statunitense nell’area. Tale politica del “garante monopolista” implica comprimere le ambizioni nucleari dei nemici degli alleati allo scopo di disincentivare Giappone e Arabia, ecc., a creare un loro deterrente nucleare, ma senza un obiettivo di denuclearizzazione totale che renderebbe inutile il ruolo di garante stesso. Questa è una strategia tradizionale che è parte della nuova, ma non la spiega del tutto.  

Una vittoria solo locale non è l’obiettivo dell’azione. Lo è il ripristino di una posizione mondiale dalla quale poter ottenere vittorie puntuative in molteplici teatri con azioni condizionanti. Per Trump poter mostrare il conseguimento di una pace tra Israele e Palestina sarebbe “stravincente” nelle elezioni del 2020 e per questo scopo servono un’Arabia bisognosa, un Iran che molli i suoi proxy nonché un compromesso con la Russia favorito dal lasciarle un dominio più diretto dell’Iran stesso perché indebolito. Così come l’affermare un potere sanzionatorio esteso comprime la divergenza europea e lancia alla Cina un messaggio dissuasivo pesante. In sintesi, l’ipotesi è che l’America voglia ripristinare il suo potere imperiale-condizionante globale e che la pressione sull’Iran sia uno strumento di questa strategia. L’America non vuole una guerra nel Golfo, ma la probabilità dipende da come Russia e Cina reagiranno. Mosca, se l’America non esagera, potrebbe, appunto, avere vantaggi. Pechino, per ora, non può rischiare confronti. Ma la divergenza tra Ue e America potrebbe incentivarle a separarle ancor di più, umiliando la seconda con l’affondamento di una portaerei, motivo di una reazione bellica o comunque globalmente destabilizzante da parte di un’America isolata e colpita. E’ un rischio remoto, ma non zero, che dovrebbe convincere l’Ue a riconvergere per minimizzarlo.    

(c) 2019 Carlo Pelanda
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