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Carlo A. Pelanda
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La%20Verit%C3%A0

2019-1-20

20/1/2019

La ricucitura atlantica ha bisogno di una sartoria italo-tedesca

Venerdì scorso la Commissione ha proposto ai governi europei le linee guida per un accordo di libero scambio selettivo con gli Stati Uniti. Washington ha già approvato in ottobre l’avvio di un tale negoziato. Negli ultimi giorni, poi, sono aumentati i segnali di una pacificazione commerciale tra America e Cina che hanno ridotto la probabilità di implosione del mercato globale e conseguente depressione mondiale. Ma ambedue le trattative sono esposte a rischi di fallimento, limitabili solo da politiche capaci di combinare visione e pragmatismo. L’Italia può essere certamente influente nell’Ue – a cui le nazioni hanno delegato la materia dei trattati commerciali esterni – ed è utile chiarire il suo interesse nella materia.

E’ interesse nazionale oggettivo che l’Ue aumenti il numero dei trattati di libero scambio, e in particolare realizzi quello euroamericano, perché tale configurazione del mercato riduce i costi di internazionalizzazione delle piccole imprese italiane incrementandone il potenziale di crescita ed espansione. Ma la rimozione delle barriere doganali e non tariffarie in regime di reciprocità tra nazioni implica impatti concorrenziali esterni con conseguenze sul consenso per l’apertura dei mercati. Ogni nazione dell’Ue dovrebbe trattare questo tema combinando visione aperturista e tutele, ricordando che il precedente negoziato euroamericano “Ttip” (2013-16) fu congelato dagli europei perché l’Amministrazione Obama pretese aperture che non tenevano conto dei problemi di consenso nelle categorie protette dalla concorrenza esterna.      

Su questo punto la Commissione ha mostrato pragmatismo proponendo un accordo euroamericano che lasci fuori l’agricoltura, tema intrattabile nell’Ue, e includa solo l’industria, lasciando in sospeso la questione dei dazi sulle auto. Da un lato, l’impianto è molto meno ambizioso del Ttip, ma dall’altro è meglio fattibile per gli europei. Le prime simulazioni ipotizzano un aumento, a regime, del 13% dell’export statunitense ed uno di circa il 10% per l’export europeo, annotando che il secondo è più a favore della piccola industria e che la competitività delle aziende statunitensi, a parte quelle di tecnologia dell’informazione e finanziarie, è bilanciabile da quelle europee. La delicata materia dell’export di auto tedesche oggetto di minaccia sanzionatoria da parte di Washington, che è vitale per l’industria componentistica italiana, potrebbe trovare soluzione “privata” nella fusione prospettica tra Ford e Volkswagen, e altri, e in più investimenti produttivi europei in America. La Germania deve necessariamente cedere parte del surplus da export per evitare una distruttiva guerra commerciale con l’America e lo ha già segnalato mandando Jean-Claude Juncker da Donald Trump l’estate scorsa con una dichiarazione di resa, evento dal quale è poi scaturita la disponibilità statunitense a riaprire i negoziati. Ma potrà l’America accettare un perimetro negoziale che escluda l’agricoltura, anche considerando che il settore è fondamentale per la campagna elettorale delle presidenziali nel 2020? In parte dipende da come andrà la trattativa tra America e Cina: se la seconda aprirà totalmente il suo mercato ai prodotti agricoli statunitensi, come ha già fatto nel settore della soia per segnalare disponibilità, allora la pressione americana sull’Europa sarà minore. Possibile? America e Cina hanno deciso di settorializzare la guerra tra loro per il primato mondiale. Continuerà in materia di dominio tecnologico e di confronto geopolitico, ma verrà sospesa in materia commerciale perché ambedue subirebbero una catastrofe se continuasse. La Cina, in particolare, è in grave crisi economica interna e non può permettersi anche una che deprima l’export: oltre ad offrire a Trump una vittoria sulla Corea del Nord, ha proposto la cancellazione completa del suo surplus commerciale con l’America entro il 2024. I negoziatori americani pretendono entro il 2022. Ma è irrealistico: trasformare un modello economico trainato dall’export ad uno tirato da consumi e investimenti interni richiede decenni. Inoltre, a Trump basta l’impegno nominale per dichiarare una vittoria utile per le elezioni. Potrebbe andare.

Ma l’accordo euroamericano è anche un tema sia geopolitico sia di riforma dei welfare nazionali europei. L’Ue non può sperare in una convergenza con l’America se tenta di restare neutrale nel conflitto tra questa e la Cina. Così come la reciprocità commerciale implica economie più competitive. Per ambedue i temi, considerando che il modello protezionista degenerato e la pretesa di guidare un’Ue terza forza post-Nato porranno la Francia di traverso, sarà necessaria un’intesa tra Germania e Italia, che hanno interessi simili, sia per modificare l’euromodello allo scopo di favorire riforme nazionali di efficienza sia per rinnovare un’alleanza più forte con gli Stati Uniti che permetta di definire uno spazio concordato di relazioni economiche con Cina e Russia.

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