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Carlo A. Pelanda
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LaVerità

2017-9-12

12/9/2017

Tecno-alfabetizzare l’Italia è una priorità

La nuova rivoluzione tecnologica, denominata “quarta” e/o “digitale”, ha una caratteristica diversa da quelle che la hanno preceduta: il cambiamento prodotto nella realtà sociale, economica e (geo)politica è molto più rapido. Inoltre, la discontinuità tra il mondo di ieri e quello di domani e così elevata da generare nella transizione del primo verso il secondo un rischio di impatto selettivo mai visto finora nella storia a livello sia di nazioni sia di individui. Il motivo è che la rivoluzione riguarda l’intelligenza (semi)artificiale e la nuova possibilità di inserirla in qualsiasi manufatto, grande o piccolo, rendendo autonome o robotizzate molte funzioni prima svolte da intelligenze umane. Ciò crea un rischio di minore domanda di lavoro per le occupazioni tradizionali perché disintermediate dalle nuove tecnologie. Tale rischio è studiato con più attenzione da 3-4 anni, con due risultati. Alcuni analisti ritengono ineluttabile una riduzione permanente del lavoro umano e raccomandano alla politica di studiare un salario sociale per il mantenimento di masse di disoccupati, per esempio l’idea di Bill Gates di tassare i robot per generare le risorse necessarie. Altri vedono l’opportunità di nuove occupazioni generate dalla rivoluzione tecnologica e raccomandano alla politica di intensificare i programmi di formazione, sia iniziale sia continua per tutta la vita, per dare a più persone gli strumenti utili a cogliere l’opportunità stessa. Non credo serva commentare la scelta della soluzione attiva e il rigetto della catastrofica opzione passiva.

Sarebbe possibile rallentare la rivoluzione tecnologica per ridurne l’impatto disintermediante? Sarebbe un suicidio oltre che infattibile. Le unità economiche che usano le nuove tecnologie acquisiscono capacità tali da costringere tutte le altre, nel mercato globale, ad adeguarsi per non fallire. Inoltre, la ricerca militare per nuove armi intelligenti può essere trasferita al mercato civile molto più rapidamente di quanto avveniva nel passato e le innovazioni civili diventano più rapidamente e direttamente armi. Per esempio, la Cina ha preso un vantaggio nel settore dei computer quantici da cui sono derivabili cervelli non più di semi-intelligenza artificiale, ma di superintelligenza post-umana, per guidare strumenti militari di superiorità strategica e tattica. La stessa tecnologia serve per robot che costruiscono altri robot, gestire il traffico di una città, costruire un cervello parallelo che aiuti quello umano per prestazioni complesse, fino all’integrazione tra i due. Un regime autoritario non ha i limiti di consenso di una democrazia e può spingere di più sia le modernizzazioni civili sia quelle militari, aumentandone l’amplificazione reciproca. La Cina lo sta facendo, la Russia sta seguendo, l’America inseguendo con affanno. L’Europa è in enorme ritardo: solo pochi giorni fa è stato stanziato un miliardo per il quantum computing. Questa dinamica è inarrestabile perché riguarda il potere e tutti gli attori devono giocare la partita o vedere la propria nazione de-sviluppata e sconfitta.         

Sarebbe possibile adeguare la società italiana che è la più arretrata tra quelle comparabili sul piano della nuova competizione? In teoria lo si potrebbe fare bene e presto per ridurre il rischio di disintermediazione del lavoro. Si tratta di tecno-alfabetizzare la popolazione, attivando un programma urgente e preliminare d’istruzione specifica per i formatori, riorganizzando i programmi educativi della formazione di base per inserirvi le competenze utili a maneggiare le nuove tecnologie e, soprattutto, creando funzioni diffuse di formazione continua che sostengano i lavoratori nell’acquisizione di nuove competenze. Sempre più aziende italiane si stanno adeguando alla nuova ciber-economia, così diventando fonti di qualificazione del capitale umano che dovrebbero essere incentivate di più, per esempio aumentando gli sconti fiscali del programma “Industria 4.0”. In sintesi, bisogna diffondere a livello di massa competenze che già esistono negli ambienti d’avanguardia. Ma c’è un problema. Tale programma educativo di massa costerebbe molto, forse 5-6 volte più la spesa educativa attuale, e per lungo tempo. Per finanziarlo i soldi ci sarebbero, ma bisognerebbe riallocare parte della spesa pubblica da impieghi improduttivi alla formazione di massa. I recenti governi hanno ridotto la spesa per l’istruzione di ben il 15% per non tagliare quella degli apparati inutili e clientelari. In conclusione, per l’adeguamento futurizzante dell’Italia la prima cosa da fare è esplicitare questo conflitto tra spesa improduttiva e quella di investimento sulla formazione di massa per risolverlo a favore della seconda. Lo sappiano le famiglie per i loro figli, ma anche per se stesse.

(c) 2017 Carlo Pelanda
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