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Carlo A. Pelanda
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2017-11-7

7/11/2017

Opportunità e rischi della riforma fiscale in America

Una riforma fiscale negli Stati Uniti che sono al centro del mercato mondiale merita la massima attenzione per gli impatti che può produrre nel sistema globale e sull’Italia. La riforma ha iniziato l’iter parlamentare  che la maggioranza repubblicana e la Casa Bianca vorrebbero terminare entro l’anno. Il progetto propone una decurtazione delle tasse per imprese e famiglie in una quantità non coperta da un parallelo taglio della spesa pubblica. Il punto: l’economia globale si trova di fronte alla prospettiva di una megastimolazione economica in deficit nell’area centrale del dollaro che è moneta di riferimento mondiale. Nelle bozze iniziali c’era l’intenzione di aprire uno spazio di extradeficit stimolativo di 3.000 miliardi di dollari in un decennio. In ottobre, il Senato ha approvato un atto di riconciliazione tra politica fiscale e di bilancio che limita tale spazio a 1.500 miliardi di dollari complessivi, oltre al deficit programmato, comunque un’enormità. L’idea è dare una spinta alla crescita grazie alla detassazione per produrre più gettito pur a drenaggio fiscale ridotto, e così riequilibrare il bilancio statale nel medio-lungo termine. I repubblicani più attenti all’ordine contabile, tra cui chi scrive nel suo lato americano, avrebbero preferito tagliare più spesa pubblica per evitare squilibri gestibili solo con un depressivo rialzo delle tasse se poi la crescita risultasse insufficiente a ridurre il gap di gettito e il debito pubblico, anche timore degli analisti tecnici, ma hanno ottenuto solo il dimezzamento dell’extradeficit proposto originariamente. La poca propensione a ridurre la spesa dipende dalla volontà dell’Amministrazione Trump di alzare quella per la Difesa e dal timore del Partito repubblicano di perdere le elezioni parlamentari nell’autunno 2018 in caso di troppi tagli nel settore federale. Il compromesso raggiunto ha prodotto un oggetto ibrido che decurta le tasse, ma cancella anche molte deduzioni fiscali, rendendo non ancora molto chiari i veri benefici e per chi. Comunque, il partito e Trump hanno bisogno che la riforma fiscale passi in fretta per invertire la gestione finora confusionaria sia dell’Amministrazione sia del Congresso.

La tassa sulle imprese passa dal 35% al 20% e aumenta la facilitazione fiscale per l’acquisto di macchinari. Per le persone fisiche le categorie di reddito sono ridotte a quattro: 12%, 25%, 35% e – per i redditi individuali oltre il mezzo milione di dollari – il 39,6%. Il carico fiscale per imprese e classe media certamente si riduce. Ma vengono cancellate anche molte possibilità di deduzione, per esempio sui mutui, che rendono incerti gli effetti stimolativi. Bisognerà aspettare il dibattito parlamentare, più tra repubblicani di diverse correnti e Stati che tra questi e i democratici, per capirlo. Comunque è probabile che la riforma passi e che nel breve-medio termine questa produca un picco di crescita trainato da consumi e investimenti. Se passeranno poi le proposte di deregolamentazione, pur solo relativa e più per le piccole banche, anche favorite dal nuovo Presidente dell’autorità monetaria (Fed), il picco sarà più alto.

Impatti. Non mi piace, tra i mille articoli della norma fiscale, quello che impedisce la deducibilità dei pagamenti fatti a un’affiliata estera di un’azienda americana perché appare protezionista e potrebbe inibirne insediamenti espansivi in Italia. Ma è buona per noi la norma che detassa le partecipazioni oltre il 10% di entità americane in aziende estere perché promette più investimenti diretti. Da approfondire. Sul piano macro, se lo stimolo fiscale funzionasse, ci sarebbe uno scenario di rialzo rapido dell’inflazione in dollari, che farebbe rialzare il prezzo del petrolio e l’inflazione importata nell’Eurozona con conseguente fine rapida del periodo di basso costo del denaro e (per noi) del debito. Di fronte a questo rischio l’Italia dovrebbe mettere in priorità un piano tagliadebito. In riferimento all’opportunità di un mercato statunitense in boom, il futuro governo italiano dovrebbe trovare una relazione bilaterale per favorire ancor di più le esportazioni italiane, cosa che implica un aumento della spesa militare come condizione politica per buone relazioni bilaterali chiesta da Trump. E dovrebbe portare la tassa sulle imprese sotto il 20%, anche per contrastare la concorrenza intraeuropea che sta muovendosi in tale direzione. Se lo stimolo americano fosse insufficiente, allora ci sarebbe il rischio di una recessione pesante in quel sistema con contagio globale. Può succedere di tutto e per questo bisogna osservare quel teatro con attenzione man mano che si chiarisce lo scenario. Comunque auguri agli amici repubblicani di farcela senza guai e di inaugurare un’era di calo delle tasse nelle democrazie che le salverebbe dall’impoverimento.

(c) 2017 Carlo Pelanda
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