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Carlo A. Pelanda
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LaVerità

2017-6-20

20/6/2017

Un governo troppo leggero e sospettabile

Vorrei segnalare che il governo manipola la realtà e che è sospettabile di strane operazioni. Gentiloni sta citando con toni trionfalistici la recente revisione al rialzo delle stime di crescita del Pil 2017 da parte del Fondo monetario internazionale: dall’iniziale previsione dello 0,8% a quella aggiornata di 1,3%. Ma si è dimenticato di citare l’avvertenza scritta nel medesimo rapporto del Fmi: poi nel 2018-19 la crescita italiana ripiomberà all’1%, probabilmente sotto, per diversi problemi, tutti riconducibili all’inerzia riformatrice. L’Istat ha avvertito che il rialzo delle stime è dovuta a una contingenza specifica e non a una tendenza consolidata. Pertanto un governo serio avrebbe dovuto comunicare che senza cambiamenti sostanziali della politica fiscale in senso stimolativo, e senza una riduzione forte del debito e dei suoi costi enormi, l’Italia resterà intrappolata in una stagnazione endemica – questo mostrano i dati - cioè nel declino, pur essendo uscita dalla crisi recessiva acuta. Ma il Premier non l’ha fatto, così esibendo una manipolazione da politico qualsiasi e non un comportamento da governante, manipolazione per altro piuttosto grezza.
Modi molto più raffinati per manipolare la realtà, invece, sono rilevabili nelle dichiarazioni e nelle linee d’azione del ministro dell’Economia, Padoan. Ha comunicato come grande vittoria la concessione ottenuta dall’Ue, nel recente vertice Ecofin, di ridurre il taglio del deficit programmato per la legge di bilancio 2018 dallo 0,8% allo 0,3%, ottenendo la libertà di indebitarsi per lo 0,5% del Pil, circa 9 miliardi. Lasciamo stare che la vera vittoria sarebbe stata quella di poter annunciare un taglio della spesa inutile di 10 miliardi e, caso mai, di ottenere dall’Ecofin un permesso di indebitamento finalizzato a ridurre sostanzialmente le tasse. Infatti, è comprensibile che un governo dipendente da una maggioranza di sinistra che prende i voti prevalentemente dal popolo assistito – dipendenti pubblici e operatori nei mercati protetti – non sia così incline a fare tagli massicci di spesa assistenziale e clientelare che colpirebbe i propri elettori. Ma resta una verità inquietante. Un paio di governi fa l’Italia ha accettato clausole di salvaguardia nel caso non riuscisse a rispettare gli obiettivi di pareggio di bilancio formalizzati nei trattati intergovernativi di compattazione fiscale: scatto automatico di un aumento dell’Iva. Ora, dopo la recente riduzione del deficit programmato per il 2017 di circa 3,4 miliardi, resterebbero da coprire tra i 15 e i 16 miliardi per evitare tale aumento. Circa 9, appunto, sono stati graziati per il 2018. Quindi ne restano 6 da coprire, probabilmente con nuove tasse, per restare entro il deficit ammesso nel prossimo anno. Quali? Probabilmente aumenti dell’Iva intermedia e, il grosso, di tasse sulla casa, magari con la scusa della riforma del catasto. Ma il PD ha escluso aumenti delle tasse indirette e sulla casa. Pertanto Padoan potrebbe aver concordato con l’Ecofin la raccomandazione di alzare l’Iva e le tasse patrimoniali - la linea europea è quella di spostare le tasse dai fattori produttivi ai patrimoni - o per forzare il PD stesso, o, più probabile, coprirne la marcia indietro, con lo slogan: è l’Europa che lo vuole. Non è ancora chiaro. Ma è chiarissimo che l’Italia dovrà alzare le tasse perché non vuole tagliare la spesa. Aver definito un grande successo questa interazione tra governo, maggioranza ed Ecofin è una manipolazione della realtà, pur raffinata.
Il sospetto. L’Ue si è mostrata insolitamente lassista con l’Italia. Da un lato, non vuole sollecitare l’antieuropeismo in fase elettorale. Dall’altro, che Francia e Germania mollino qualcosa senza chiedere una contropartita è impensabile. Nei punti trattati in sede di Ecofin c’è una forte raccomandazione a privatizzare beni pubblici ed è realistico pensare che sia stata concordata con il nostro governo. Due ipotesi. Prima: Padoan deve mostrare che riduce il debito almeno di qualcosa e quindi si fa dire dall’Europa che l’Italia deve vendere aziende pubbliche per usare il ricavato a tale scopo. Se il diritto dello Stato a condizionare la proprietà di aziende strategiche (Golden share) sarà pienamente formalizzato, allora non c’è un grosso problema. Ma è ancora in bozza. Ciò attiva una seconda ipotesi: il governo ha concesso ad attori francesi e tedeschi di acquisire il controllo di aziende strategiche italiane, ora di proprietà a maggioranza statale, e forse altre private di rilevanza sistemica, in cambio di un atteggiamento morbido dell’Ue sui conti italiani. Se così, la nostra cessione di sovranità sarebbe totale. Non ho elementi per scegliere, ma il sospetto è fondato e merita un’indagine approfondita.

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