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Carlo A. Pelanda
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2017-7-11

11/7/2017

La pericolosa svolta peronista di Renzi

La buona notizia è che nel sistema politico i temi concreti cominciano a sostituire il chiacchiericcio politichese. A Renzi va riconosciuto il merito di questa svolta. Ma la cattiva notizia è che il programma di politica economica abbozzato dal segretario del PD diverge dall’interesse nazionale e dal realismo economico, destando preoccupazioni gravi qualora tale partito vincesse le elezioni. Per questo è importante e urgente elaborare a destra un progetto economico più consistente.
L’Italia ha un grave problema: crescita troppo bassa per riassorbire la disoccupazione e sostenere l’enorme debito pubblico. L’attuale crescita del Pil 2017 verso l’1,3% è trainata dall’esterno senza alcun contributo rilevante da parte dei consumi e degli investimenti interni e tende a tornare – secondo stime dell’Istat e del Fmi - verso l’1%, o perfino sotto, nel 2018-19. Con tali numeri, anche se migliorassero un po’, riesploderà la mina del debito appena il mercato fiuterà la fine del programma della Bce che ne protegge temporaneamente la fiducia, comprandone decine di miliardi al mese, e pretenderà un maggior premio di rischio per rifinanziarlo, così degradando l’affidabilità del sistema finanziario complessivo italiano e deprimendo il ciclo di capitale necessario alla crescita. Renzi non pare cogliere questa emergenza con orizzonte 2018 e la priorità di evitarla. Ha proposto, infatti, di rifiutare in modo conflittuale i trattati che richiederebbero la riduzione rapida dell’ammontare di debito pubblico che eccede il 60% del Pil e di forzare uno spazio di deficit al 2,9% per cinque anni, non è chiaro per cosa. Ma, visto che ha usato lo spazio di indebitamento ottenuto quando guidava il governo in deroga ai parametri Ue, e in violazione dell’obbligo al (quasi) pareggio di bilancio inserito in Costituzione nel 2012, per spesa pubblica clientelare o comunque assistenziale più che per stimoli fiscali e investimenti, si può sospettare che voglia mantenere il medesimo approccio dissipativo. Infatti, lo stesso Calenda lo ha criticato, marcando che l’extradeficit avrebbe un certo senso solo se fosse tutto impiegato per investimenti e detassazioni. Per onestà va detto che c’è un vago riferimento alla riduzione del debito, con questo forse intendendo uno scambio con l’Ue: il debito lo riduco un po’ vendendo patrimonio, forse, ma in cambio mi concedi il deficit per finanziare il consenso e non mi imponi di tagliare la spesa. Tale approccio “simil-peronista” è sbagliato perché terrebbe l’Italia in stagnazione, vulnerabile a recessioni e a rischio di insolvenza:
Vediamo la giusta strategia. Obiettivi: crescita media attorno al 2% per un periodo prolungato e del 3% nel prossimo biennio per favorire un riassorbimento più rapido della disoccupazione e per segnalare la sostenibilità del debito. Ambedue gli scopi implicano un abbattimento preliminare del debito vendendo patrimonio, anche per solo 100/200 miliardi, e l’impegno credibile a non aumentarlo sia riducendo il deficit annuale, soprattutto, tagliando spesa, considerando che quella inutile è di circa 30 miliardi. Per evitare l’imposizione di trattati europei depressivi bisognerebbe mostrare una stabilizzazione contabile dell’Italia in altri modi. Per esempio, negoziare con l’Ue, invece di litigare in condizioni di debolezza, un periodo di detassazione stimolativa e investimenti in deficit fino a un massimo del 2,5% annuo per almeno sette anni, cioè un’iniezione di liquidità nel mercato interno pari a circa 20 miliardi per sette anni, equivalente a 140 miliardi, di più considerando il maggior incremento del Pil e dello spazio stimolativo nel bilancio nonché il minor costo del debito per miglioramento dell’affidabilità. Tale proposta presuppone un confronto con l’Ue non basato su una sorta di meridionalismo accattone, ma sulla credibilità del riequilibrio, considerando che se il mercato vedesse l’Italia litigare con l’Ue ne sconterebbe un rischio maggiore. E se c’è da litigare, lo si fa in modi segreti e veramente cattivi, non aperti e visibili. Il punto chiave è uno spazio di sicurezza basato sul taglio strutturale della spesa pubblica di almeno 30 miliardi, cosa che Renzi cerca di schivare e che rende la sua bozza inconsistente.
Francamente non riesco a capire come Renzi pensi di evitare guai all’Italia il cui debito spaventa il mercato chiedendo più indebitamento, senza tagliare la spesa, e mantenendo vago l’uso delle risorse in deficit facendone sospettare un impiego dissipativo invece che produttivo. Anche se avversario, non è bene per l’Italia che il leader di un partito rilevante mostri una tale inconsistenza, sommandola a quella perfino peggiore delle stelline e ai silenzi delle destre. Lo prego pertanto di rivedere la sua bozza in senso più realistico anche per costringere le destre a esserlo di più, in una competizione tra offerte politiche solide e non peroniste a favore della reputazione dell’Italia.

(c) 2017 Carlo Pelanda
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