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Carlo A. Pelanda
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2000-9-16

16/9/2000

Dall’economia del petrolio a quella dell’idrogeno

Lo scenario petrolifero corrente mostra due possibili finestre di crisi entro il 2001. Nei prossimi cinque mesi, quando la domanda di energia per riscaldamento avra’ un picco, c’e’ il rischio che il prezzo del petrolio schizzi verso i 40 dollari al barile. A tale livello, le economie sia americana sia europea subirebbero uno shock non facilmente assorbibile, anche se la prima e’ in grado di contenere gli effetti inflazionistici dei costi energetici molto meglio della seconda grazie ad una maggiore efficienza tecnologica e finanziaria del suo sistema industriale. L’America potrebbe andare improvvisamente in recessione e l’Europa seguirla a volo perche’ la sua crescita attuale e’ quasi totalmente trainata dalle esportazioni in quel mercato. Per evitare tale scenario agghiacciante sara’ necessario tenere il petrolio sotto, o almeno vicino, ai trenta dollari. E Washington si e’ mobilitata - gli europei sono sfortunatamente  irrilevanti in tale materia -  pronta ad azioni di emergenza: uso delle riserve strategiche per calmierare il momento di picco, pressioni pesanti sull’Opec. Bastera’? Probabilmente si’. Ma se passeremo l’emergenza invernale senza guai catastrofici, subito dopo dovremo affontare una prospettiva altrettanto allarmante, pur diluita nel tempo. Se il petrolio restera’ sui 30 dollari al barile per tutto il 2001 e’ quasi certo che la spinta inflazionistica sul piano dei prezzi dell’energia, aggiunta a quella dovuta alla crescita economica in atto, rendera’ necessario alzare i tassi monetari (il costo del denaro) oltre la misura che puo’ reggere la continuazione dell’espansione. La crescita americana potrebbe rallentare molto di piu’ di quanto ora si prevede (dal 3,2% al 2,5) compromettendo anche quella europea (dall’atteso 3,5% ad un pressoche’ stagnante 2,2% - simulato dal Fondo monetario – o perfino peggio). Che sarebbe la porta di entrata ad una fase di recessione globale verso la fine del prossimo anno. Per evitare tale seconda emergenza sarebbe necessario riportare stabilmente il prezzo del petrolio tra i 28 ed i 24 dollari al barile, considerata quota di sicurezza. Ci riusciremo? Non sara’ facile. Se la crescita mondiale continua ad un ritmo superiore al 4%, la domanda di petrolio eccedera’ le possibilita’ tecniche di estrazione da parte dell’offerta, anche convincendo i paesi produttori a tirar fuori il massimo. Probabilmente si riuscira’ a trovare un qualche compromesso limitatitvo. L’Opec non ha alcun interesse a gettare il pianeta in recessione. Il petrolio scenderebbe attorno ai dieci dollari – come successo alla fine del 1998 a seguito della crisi asiatica – ed i paesi produttori ne soffrirebbero mortalmente. D’altra parte non sara’ semplice coordinarli per raggiungere e mantenere il prezzo di sicurezza detto sopra. Soprattutto – qui il punto – in ogni caso e’ ormai  chiaro che c’e’ un conflitto insanabile tra petrolio e crescita economica. La cui soluzione non puo’ piu’ essere rimandata, anche per dare fiducia al mercato (ora notevolmente scosso) che nel futuro l’espansione economica non sara’ limitata da costi energetici crescenti, da rischi di guerre petrolifere e ricatti collegati. E tale soluzione e’ una sola: far finire l’epoca della dipendenza dal petrolio il piu’ presto possibile.

Tecnologicamente e’ possibile. I motori e generatori possono essere alimentati dall’idrogeno - inesauribile e posseduto per capcita’ tecnica e non per privilegio territoriale - in modo sicuro ed ecologicamente amichevole (uscirebbe ossigeno dal tubo di scappamento di un’auto alimentata da “fuell cells”). Tale nuova tecnologia dell’idrogeno e’ gia’ applicata sperimentalmente e si prevede che nel 2020 circa il 25% del fabbisogno energetico mondiale per l’autotrazione potra’ essere coperto in tal modo. Lasciamo qui da parte il contributo che altre fonti di energia potrebbero dare alla sostituzione del petrolio perche’ costringerebbe ad analisi tecniche non contenibili in questo spazio. Concentriamoci sull’idrogeno, la nuova e benvenuta H-Economy. Possiamo accelerare la transizione? E di quanto? Da una parte, la tecnologia, se sostenuta da investimenti adeguati, potrebbe raggiungere il seguente risultato teorico entro il 2015: 80% del fabbisogno energetico coperto dall’idrogeno (e altro non-petrolifero) nei venti paesi piu’ avanzati del pianeta. E’ una simulazione astratta generata dal mio gruppo di ricerca, Globis. Ma se andassimo cosi’ veloci, i produttori del petrolio avrebbero l’interesse ad alzarne alle stelle il prezzo gia’ da subito, rendendo endemico lo shock petrolifero. Evidentemente ci vuole un accordo politico internazionale di grandi dimensioni per bilanciare lo scenario. Ma ritengo, pur tenendo conto di tale rischio e degli interessi dei paesi produttori (per lo piu’ ancora sottosviluppati), che tale accordo debba basarsi sulla fortissima determinazione degli occidentali nel definire una data finale per la cessazione della O(il)-Economy. E cio’ richiede una coesione come non mai tra europei ed americani (e giapponesi). Determinazione anche necessaria per convincere il mercato che la sostituzione verra’ realmente fatta. Senza tale certezza politica, infatti, le industrie ed il sistema finanziario non potrebbero sostenere gli enormi investimenti per passare dal ciclo del petrolio a quello dell’idrogeno. E gli Stati non potrebbero ancorare ad un comune sostegno cooperativo le politiche per finanziare la transizione di milioni di lavoratori verso un nuovo tipo di piattaforma energetica (dall’autotrasportatore che deve cambiare la cisterna in modo da portare idrogeno invece che gasolio all’autoriparatore che deve imparare a lavorare su nuovi motori). Una transizione piena di difficolta’. Inserendole nello scenario simulato, il risultato piu’ realistico ed allo stesso tempo migliore (per velocita’) e’quello di poter avere attorno al 2025 la completa sostituzione del petrolio nei paesi piu’ avanzati. Con un effetto traino per il resto del mondo, a partire dal 2015 circa, sempre piu’ accelerato. Tale da abrogare finalmente il petrolio sul pianeta entro il 2040. Non sarebbe male. Ma tutto comincia dalla capacita’ politica dell’Occidente di cooperare ed essere determinatissimo. Questa e’ la sfida.

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