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Carlo A. Pelanda
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2002-9-18

18/9/2002

Una difficile partita sulla scacchiera dell’Onu

Era scontato, ed atteso sia dagli osservatori sia dai protagonisti, che Saddam Hussein usasse la “finestra di ambiguità” che Bush ha dovuto aprire rendendo l’Onu il luogo legittimo dove decidere la soluzione della questione irakena. Il primo ha accettato senza  condizioni il ritorno degli ispettori delle Nazioni Unite sul suo territorio con l’evidente intento di disinnescare una risoluzione del Consiglio di sicurezza che avrebbe potuto basare sull’eventuale rifiuto il motivo per un’azione bellica. Bush era consapevole di tale rischio quando si è rivolto all’Assemblea generale, la settimana scorsa. Infatti, più che il semplice ritorno degli ispettori, invocò il disarmo dell’Iraq, quindi un’azione “ispettiva” estremamente più decisa. Cercò di dimostrare che non ci si poteva fidare di Saddam, citando le ben sedici risoluzioni precedenti non rispettate dal dittatore. Pose alle nazioni del pianeta un problema di consistenza: il rispetto della legalità internazionale non deve portare all’impotenza per risolvere casi di sostanziale pericolo. In sintesi, cercò di formulare la questione in modo tale da prevenire l’ovvia contromossa tattica di Baghdad. Per altro, sarebbe stato molto peggio per l’America perseguire un’azione militare unilaterale, grazie a questo rapida nell’esecuzione, ma senza legittimità e consenso internazionali per gestirne le conseguenze successive. Quindi, saggiamente, ha dovuto cercare un ombrello multilaterale accettando il rischio di dissenso o ambiguità a livello di mandato iniziale per ridurre quello di isolamento dopo. In termini scacchistici, Bush ha aperto bene la partita con una mossa fortissima d’alfiere, come usava fare il campione mondiale Fisher. Ma Saddam ha risposto con intelligenza tattica. Come andrà avanti la partita?

Sulla scacchiera formale la mossa successiva è già in atto, anche perché predisposta. Colin Powell ha prontamente dichiarato: “abbiamo già visto questo gioco prima”. Il Segretario generale dell’Onu è parso seguirlo nella direzione determinata a non lasciare troppo spazio al dittatore: “la decisione dell’Iraq di far rientrare gli ispettori deve essere considerata come un inizio e non una conclusione, l’inizio del nostro impegno per arrivare al disarmo dell’Iraq”. Ma tali parole contengono la possibilità che l’obiettivo possa essere ottenuto senza la rimozione del regime di Saddam. Che è, invece, quello dichiarato dagli Usa. La partita è in equilibrio. Nel senso che Washington, a questo punto, non potrà rinunciare ad un mandato Onu pur avendo dichiarato che se questo non arrivasse tornerebbe sull’opzione di bonifica unilaterale. Quindi dovrà giocare la partita con i fianchi esposti alle tipiche ambiguità degli organismi multilaterali. E per questo Saddam spera realisticamente di “comprare tempo”. Se passa l’inverno indenne, in primavera ed estate sarà  difficile scatenargli addosso una forza armata a causa delle condizioni climatiche infernali dell’area. E solo un anno potrebbe separarlo dalla piena capacità nucleare. La partita è aperta.

Quali i prossimi ostacoli per lo schieramento anti-Saddam? In sede di Consiglio di sicurezza i problemi non sembrano insuperabili con la Russia. Nel recente passato si è opposta alla soppressione del regime dittatoriale di Saddam principalmente perché ha crediti enormi con questi e teme che non verrebbero pagati dai nuovi che verranno. Gli Usa hanno dato garanzie in merito e la Russia è più disponibile. Ma non al punto di compromettere le proprie relazioni con altri Paesi islamici che sono ostili alla guerra per il timore che questa scateni destabilizzazioni a casa loro. Per esempio, la mossa di Saddam è anche emersa da una perorazione riservata, ma pesantissima, dei sauditi. La Cina è abituata a monetizzare, da sempre, il proprio consenso nel Consiglio di sicurezza. Solo questione di prezzo. La Francia, che non rappresenta la UE, ma la propria tradizionale politica nazionale di bilanciamento e distinzione nei confronti degli Usa, non andrà mai totalmente contro gli interessi americani, ma avrà interesse a comprimerli per aumentare la sua rilevanza. E usarla per mantenere il rapporto privilegiato con molti Paesi islamici. Il Regno Unito seguirà gli Stati Uniti. Partita vinta? Non ancora. Potrebbe diventare critica – anche per il dibattito nel Congresso americano che comunque Bush dovrà affrontare - la dimostrazione preventiva di quali armi Saddam dovrebbe disfarsi entro un obbligo di disarmo e minaccia di guerra se non lo fa. E questo sarà difficile. Se ha bombe nucleari, oltre che biochimiche, già operative e veicoli per somministrale, allora potrà nasconderli bene a qualsiasi ispezione. A meno che non venga fatta in regime di quasi occupazione. Proprio perché da tempo Saddam è abituato a costruire armi di distruzione di massa di nascosto, la prova che le abbia e dove siano non è facile da presentare in termini certi. Infatti l’intelligence statunitense, pur sapendo più di quello che ora dice e tantissimi indizi che l’Iraq sia prossimo ad una piena capacità, non ha ancora i mezzi per dimostrarlo con certezza. E si prepara una partita difficile tra chi, secondo me giustamente, sostiene che non possiamo aspettare di vedere un fungo atomico prima di decidere e chi ritiene che senza prove certe un’azione militare sarebbe illeggittima. Per questo la partita sarà combattuta e difficile per gli Alleati.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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