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Carlo A. Pelanda
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Il%20Foglio

2014-12-16

16/12/2014

Perché ora possono convergere tatticamente ecosostenibilisti ed ecoartificialisti

I 195 stati recentemente riunitisi a Lima per definire l’agenda del prossimo summit mondiale finalizzato ad un trattato per contenere il riscaldamento del pianeta (Parigi, 2015) appaiono intrappolati in un’idea di fondo sbagliata: cercare una relazione armonica tra sistema antropico ed ambiente naturale, la sostenibilità, non vedendone l’infattibilità perché implica o ecolimiti stringenti per gli umani oppure modifiche comunque pericolose per la natura. Ma la rubrica osserva nel linguaggio di Lima una novità in relazione a quelli precedenti di Kyoto e Copenaghen: più enfasi sulle tecnologie a basso impatto ambientale e meno sulle limitazioni allo sviluppo. Ciò deve fare riflettere. In materia di ecoscenari il rubricante ritiene: a) non armonizzabili sistemi antropici e natura; (b) considera pericolosa la distruzione del ciclo naturale; (c) e pro-catastrofica la dipendenza degli umani dalle risorse naturali e dalla variabilità del pianeta. Per questo ha elaborato, stimolato e sfidato dal campus ad alta densità ambientalista della University of Georgia, una soluzione di econeutralità: d) rendere, nel tempo, indipendenti i sistemi antropici dalla natura massimizzando l’artificializzazione dei primi allo scopo di minimizzare la frizione di interfaccia tra i due nonché la dipendenza delle funzioni umane dalla seconda. Tale idea auto-ambientale non è finora stata accettata, anche perché percepita come trainata da una “teologia della sostituzione” dove l’Uomo prende la capacità tecnodeistica di creare universi autoriferiti in relazione di indifferenza con gli altri. Ma l’obiettivo di ridurre il riscaldamento planetario facilitando tecnologie a basso impatto ambientale è compatibile, se esteso, con quello di costruire un ambiente artificiale antropizzato che non interferisca con la natura e viceversa. D’altra parte, il principio della non-interferenza Uomo-ambiente implica pesanti riforme artificializzanti del cibo, dell’energia, dei trasporti, dell’abitare, ecc. Inoltre, è solo futuribile la capacità ingegneristica di creare (mega)habitat confinati che possano essere indipendenti da qualsiasi variazione ambientale. Ma la rubrica vede comunque la possibilità di fare qualche passo iniziale verso l’artificializzazione per scopi di eco-indifferenza. La capacità di intervenire nella materia a livello atomico, sub e nanotech, permetterà di creare tutti i materiali che si vuole senza doverli prelevare e poi rielaborare dal ciclo (geo)naturale: tale possibilità crea una base per la totale artificializzazione futura del cibo, eliminando l’agricoltura e gli allevamenti ed il loro impatto contaminante nonché sul clima. La tecnologia nucleare, se con maggiori investimenti per miniaturizzarla e renderla totosicura, può evitare sia la gran parte dei gas serra sia gli impatti da estrazione. Le città potranno essere, nel tempo, riconfigurate come sistemi a ciclo chiuso. Scenario tra 1.000 anni? Almeno 2/3 del pianeta con un ciclo naturale senza interferenze umane ed 1/3 artificializzato indipendente dal primo, calcolando 150 miliardi di persone (e 400 di automi). Più importante, il nuovo auto-ambiente umano sarà indipendente dalle variazioni ambientali cicliche o incidentali (vulcani, meteoriti, ecc.) che è l’obiettivo più rilevante dell’evoluzione antropica next. Il punto: si tratta di usare l’ambientalismo armonico, pur inconsistente, ma oggi con buon consenso, per avviare i primi passi di una futura ecologia artificiale che ancora il consenso non lo ha. In questa direzione la rubrica suggerisce una convergenza tattica tra sostenibilisti ed eco-artificialisti.

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