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Carlo A. Pelanda
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Libero

2007-10-23

23/10/2007

L’euro è in trappola

Cina e Giappone stanno tenendo basso il cambio delle loro monete per esportare di più. L’America sta facendo cadere il dollaro per riaggiustarsi e compensare anche con più export la tendenza recessiva (non grave) in atto. Insomma, tutti scendono e l’euro si alza. Uno dell’Esarcato, terra bellissima anche per la schiettezza della sua gente, mi ha chiesto perché mai siamo così coglioni. Il termine è molto volgare e non posso adottarlo, ma anche un morigerato dovrebbe ammettere che ci sono dei motivi per sbottare. 

 La Banca centrale europea, manovrando i tassi di interessi che influenzano i flussi di capitali/valute, cerca di mantenere l’euro molto alto affinché il rialzo prezzo del petrolio espresso in dollari venga annullato e non produca inflazione. In effetti gli importatori stanno pagando molto meno le merci, ma gli esportatori stanno soffrendo: hanno i costi in euro alto e gli incassi in dollari, yen o yuan bassi. I profitti scendono o le quote di export si riducono mettendo a rischio la crescita. Infatti la scorsa settimana i presidenti di tutte le “Confindustrie” europee hanno firmato una lettera che invocava un cambio dell’euro più moderato. L’Unione europea si sta preparando a fare pressioni sulla Cina affinché rialzi il cambio dello yuan (sottoprezzato di circa il 40%) e sull’America affinché il dollaro freni la sua caduta. Ma non otterrà niente. Pechino ha già risposto di no ad analoghe pressioni americane, stimolate da un impatto competitivo che sta impoverendo la classe media statunitense, negli ultimi tre anni. Washington lascerà cadere ancora il valore di cambio del dollaro, o comunque non lo difenderà, perché ciò stimola l’export statunitense e contiene lo destabilizzante deficit commerciale (più importazioni che esportazioni). Ma così ridurrà le importazioni dall’Europa e non certo dall’Asia. In sintesi, alla fine, saremo noi a pagare con meno crescita tutto il riaggiustamento finanziario globale. La possiamo chiamare una “trappola”. E ci siamo caduti per  colpa europea e non solo delle “turbate” di Cina, America e Giappone. La Bce potrebbe ridurre il costo del denaro - così anche salvando le tante famiglie europee in difficoltà perché non riescono a pagare i mutui a tasso variabile  – e ridurre la remunerazione degli investimenti finanziari in euro e di conseguenza il suo valore di cambio. Ma non lo fa perché preferisce la recessione/stagnazione al rischio pur minimo di inflazione. L’altro modo per difenderci dal cambio decompetitivo è quello di aumentare la crescita interna detassando e favorendo gli investimenti nonché i consumi. La Germania ha preso questa strada, la Francia la segue, ma la rigidità del modello politico economico continentale non permette riforme di efficienza sostanziali. Il governo Prodi, poi, manco le tenta. E Padoa Schioppa perfino elogia, oltre che le tasse, perfino l’euro alto, non cogliendo la differenza tra salutare forza di una moneta e trappola. Inoltre sostiene che l’euro alto educa le aziende ad operare con maggiore efficienza. Certo, licenziando. In conclusione, la situazione detta mette a serio rischio la crescita europea e fa temere che l’Italia paghi un prezzo doppio. Quindi alla fine siamo noi italiani i più zebedei. E’ urgente un ritorno al realismo: (a) premere sulla Bce affinché riduca di almeno mezzo punto il costo del denaro; (b) premere sulla Ue affinché dia alla Cina una bastonata per farle capire che non può sempre fare quello che vuole a nostro danno; (c) aumentare il coordinamento tra banche centrali del G7 per arrivare entro uno o due anni ad un riequilibrio cooperativo dei cambi; (d) mandare Tommaso Padoa Schioppa – e comunisti quali Giordano, Diliberto, Bertinotti e, perché no, qualche verde - in Cina; (e) Prodi a casa.

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