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Carlo A. Pelanda
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Libero

2016-6-5

5/6/2016

Valutiamo l’interesse nazionale italiano nei casi di permanenza o uscita del Regno Unito dall’Ue. Londra, in realtà, è già formalmente fuori dal Trattato di Maastricht (1992) da quando ha ottenuto, mesi fa, nuove condizioni di associazione all’Ue: rifiuto dell’integrazione politica e monetaria e limitazioni all’importazione di norme europee. Negli anni ’70 aderì alla Comunità europea per un doppio obiettivo: garantirsi l’accesso al mercato continentale e, in convergenza con l’interesse statunitense, impedire la formazione di un superstato europeo a conduzione franco-tedesca. Cameron continua questa strategia, ma ha trovato crescenti difficoltà nel contenere l’ondata uscitista nella sua area politica e a evitare il tracollo del Partito conservatore a favore dei sovranisti dell’Ukip, questi per altro non lepenisti con progetto di nazionalismo protezionista, ma portatori di buoni argomenti di sovranità democratica. Per questo ha tentato l’azzardo: indire un referendum con il triplice scopo di costringere l’Ue a concedere mani più libere, restandovi per mantenere il diritto di veto e contrastare l’uscitismo mostrando che Londra ha recuperato una sovranità sufficiente entro l’Ue stessa. Questa strategia ha già scosso l’architettura europea: le 10 nazioni non-euro della Ue potrebbero invocare la stessa relazione meno condizionante ottenuta da Cameron. I Paesi baltici ci stanno pensando. E ne hanno i motivi perché per loro è essenziale solo l’accesso al mercato europeo integrato mentre per il resto è più utile mantenere la sovranità monetaria ed essere meno dipendenti dalla Germania e più connessi all’America perché la prima è ricattabile dalla Russia mentre la seconda ha l’interesse di inglobare gli europei orientali e baltici dando loro una protezione credibile contro Mosca e, indirettamente, contro le pretese egemoniche di Berlino. Cosa cambierebbe per l’Italia in base all’esito del referendum? Se Londra uscisse, sarebbe più facile per la Germania proporre un’Eurozona più integrata in base al “criterio tedesco”, instaurando trattati di libero scambio con le nazioni non euro. Per l’Italia, in tale scenario, ci sarebbe lo svantaggio di non potersi liberare da un modello di rigore depressivo, ma anche il vantaggio che Berlino dovrebbe attutirlo per tenere l’Italia entro la sua area d’influenza. Inoltre l’America avrebbe solo l’Italia come alleato affidabile entro un’Europa ristretta e ciò produrrebbe sostegni e facilitazioni per Roma. Se Londra restasse, l’Italia manterrebbe gli svantaggi di cui soffre ora. Londra ostacolerebbe un’Eurozona più integrata e così Berlino potrebbe mantenere il potere di fatto sulle euroregole senza doverle flessibilizzare perché avrebbe un minore bisogno della convergenza italiana per mantenere la propria area d’influenza. E avrebbe la scusa del possibile no di Londra per evitare riduzioni di sovranità entro un’Eurozona più strutturata. Infatti, Merkel non ha avuto esitazioni nello spingere Bruxelles a concedere a Londra un’associazione molto lasca per farla restare dentro. In sintesi, l’interesse nazionale italiano sarebbe favorito in caso di Brexit. Anche perché Londra e Bruxelles dovrebbero creare un nuovo trattato di libero scambio, Berlino e Parigi dovrebbero trovare un nuovo modello per tenere insieme l’Europa e l’America non potrebbe evitare di sedersi al tavolo di un negoziato complessivo che, alla fine, produrrebbe un accordo economico per integrare i mercati europei, inglese e americano, eventualità di massimo vantaggio economico e geopolitico, nonché finanziario, per l’Italia. Se Londra resta, invece, mancherà la pressione per tale riconfigurazione del sistema atlantico e l’Italia rimarrà compressa entro un’Eurozona germanocentrica. Probabilmente, in base ai sondaggi, Londra starà dentro e Roma perderà l’opportunità di una ricombinazione favorevole del sistema. Ma all’Italia resta l’opzione di spingere di più il trattato euroamericano di libero scambio, TTIP, per ottenere un sistema che tenga insieme europei, inglesi e nordamericani e che, via convergenza euro-dollaro, garantisca di fatto l’enorme debito italiano e riduca il potere della Germania nel sistema stesso. Tale possibilità è a rischio nel caso fosse eletto Trump e prevalessero i protezionismi in Europa, ma essendo interesse oggettivo per tutti è probabile che nel medio-lungo termine verrà realizzata. Roma dovrebbe essere più attiva in questa direzione storica vantaggiosa, che sarebbe anticipata in caso di Brexit.

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