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Carlo A. Pelanda
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Libero

2013-3-19

19/3/2013

Il mercato annusa la fine dell’euro
(Versione revisionata)

Più che la crisi di Cipro è la strana gestione della crisi stessa da parte della Troika (Ue, Bce e Fmi) che preoccupa il mercato finanziario. L’idea di un prelievo forzoso consistente dai conti correnti bancari – tra l’altro vietato dalle norme europee - per ridurre l’indebitamento di questa piccola nazione e come condizione per un sostegno europeo di 10 miliardi segnala la non-volontà di interventi sistemici e risolutivi. Per esempio, la crisi bancaria e di credibilità spagnola è stata gestita con efficacia da un intervento del fondo salvastati europeo con una condizionalità minore ed una promessa di copertura totale. Ora, invece, il mercato inizia a dubitare della volontà/capacità della Bce di agire in tale ruolo promesso con affermazioni assolute da Mario Draghi nell’estate del 2012. Ciò accende il rischio che il mercato torni a scontare la dissoluzione dell’euro e che, nel frattempo, i titoli di debito italiano subiscano un deprezzamento calcolato sulla possibile svalutazione della nuova lira in relazione al futuro nuovo marco, cosa che riporterebbe lo spread verso il 7% e oltre, rendendo insostenibile il costo di rifinanziamento del debito italiano stesso. In particolare, il dubbio del mercato non è tanto sulla volontà di Draghi di ergere la Bce a salvatore di ultima istanza dell’eurobaracca, ma sul fatto che la Germania glielo lasci fare. Vera o falsa, nel mercato si è diffusa la convinzione che l’anomalia del caso cipriota sia dovuta ad un veto tedesco ad impegnare troppo il fondo salvastati, ed a farlo senza punizioni eclatanti, in quanto Merkel è a ridosso di una campagna elettorale dove dovrà mostrare agli elettori durezza verso i disordinati mediterranei. Inevitabile che il pensiero degli attori di mercato corra all’Italia: se va nei guai – e nella situazione politica corrente dove si combinano instabilità e possibile stile di governo comunistoide con sapori desviluppisti appare probabile, cioè una caduta del Pil oltre il 2% nel 2013 ed una disoccupazione verso il 15% - allora Ue e Bce chiederanno agli italiani di arrangiarsi. Ma in tal caso, dove mancherebbe il garante di ultima istanza per un debito enorme, nessuno nel mercato si sognerebbe di comprare titoli italiani. La loro mole potrebbe superare le capacità tecniche della Bce di garantirli e di assicurarne il rifinanziamento a costi sostenibili e ciò porterebbe all’insolvenza dell’Italia. Tale situazione non provocherebbe l’uscita di Roma dall’euro, ma la dissoluzione dell’euro stesso. Questo, semplificato, è lo scenario (percepito) che collega il caso cipriota alle sorti dell’euro, passando per il caso italiano, e che lunedì notte ha scosso i mercati asiatici con riverberi su quelli occidentali nella mattina. Poi nel pomeriggio la tendenza catastrofica si è attutita perché: (a) probabilmente la Troika, accortasi dell’errore che destabilizza il sistema bancario, ha messo qualche cuscinetto; (b) in questa fase il mercato borsistico sta spingendo una bolla, non ha alcuna voglia che questa sia interrotta e quindi chiede solo un minimo di rassicurazioni prospettiche e non un massimo; (c) sono circolate analisi più fredde che mostrano capacità di ultima istanza singole e combinate della Bce superiori al debito complessivo dell’Eurozona; (d) si prevede che i nein totali della Germania durino fino alle elezioni (settembre) e che poi Berlino mollerà per evitare il tracollo dell’euro. Poi ci sono stati interventi tecnici rilassanti sul mercato da parte delle Banche centrali non solo europea e ciò, più che i messaggi e le ipotesi, ha un po’ calmato le acque. Il punto: ma resta il ritorno del dubbio sulla tenuta prospettica dell’euro. Questo fatto non permette errori all’Italia perché basterebbe una sola stronzata, tipo un governo di minoranza della sinistra, per trasformare il dubbio in certezza. Attenzione.

(c) 2013 Carlo Pelanda
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